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Era un piantagrane di quelli che non demordono, di quelli che ti fanno una testa così, per averla vinta, di quelli che gli dai ragione, pur di toglierteli dai piedi. Quando arrivava, lo si notava subito, aveva una camminata decisa, che risuonava sul marciapiede come una tromba, una specie di corno da battaglia. Alcuni facevano finta di non vederlo, di non conoscerlo, di essere affaccendati, perché se ti agganciava con i suoi discorsi, eri proprio finito, eri perso e non ti sollevavi più, non ne uscivi, restavi lì a doverti sorbire tutte le sue lamentele, con tanto di descrizioni minuziose e domande che pretendevano risposte e anche immediate. Non potevi tergiversare o scusarti.
Qualcuno ci aveva provato.
‘Scusami, mi devi scusare, devo lasciarti ho dimenticato che devo andare in posta a paga…’
‘Perché tu vai ancora in posta? Ridicolo! Guarda che puoi pagare con l’app, adesso c’è l’app, puoi fare tutto: pagare, vedere il tuo conto, spedire anche … e continuava, senza neppure respirare a tenerti incatenato alla sua lunga filippica, sui vantaggi delle ultime tecnologie. Quando capitava il giorno ‘in verso’, sì, avete capito bene, il giorno ‘in verso’, se lo trovavi e, per un attimo, ti eri dimenticato di voltargli le spalle e girare sui tacchi, ti attaccava il bottone della poesia. Era il momento più difficile da disinnescare, perché si basava tutto sul suo stato depressivo, sulla sua situazione al limite del vivibile, su tutte le paturnie umane e disumane che sopportava, e anche, notare bene, sulla comprensione, sull’ordine. L’ordine doveva essere rispettato, un ordine che non poteva permettersi di sgarrare neppure di una virgola e se non eri preparato a controbattere o a battere in ritirata, ti attanagliava con l’ordine costituito, con la politica, il mondo che non va, le notizie al tg, con la spiritosaggine di una battuta…la battuta, capite? Alla battuta, intanto, c’era sempre lui.
Un ometto piccolo, insignificante vestito di un ordinario prestabilito, con un occhiale simmetrico, uno sguardo asociale, una voglia di sesso sulla guancia, erosa dal risentimento che si stava allargando e lo stava deturpando. Deturpato nell’intimo, snaturato, povero nei sensi, ormai avvizziti e quindi sperduti, nella sua inutile immaginazione di consessi erotici, fantasiosi, mai avverati, avversati dalle femminucce che aveva incontrato, piccolette mal vestite, rintronate dai dispiaceri, avvezze solo al pizzo sulla spesa, una rata da pagare o un foulard da indossare, annodato sotto il collo e il culo ben pasciuto, strizzato nel pantacollant dai colori inverosimili, tonanti, chiassosi. Come le loro voci starnazzanti. Ma lui andava in bianco. Un bianco pruriginoso, lattiginoso, previsto, nonostante quella roba fosse interessante, a cui non controbatteva, che non criticava, anzi, l'adorava. La adorava, con il suo olfatto preparato e se si avvicinava, lui voleva quella roba e farsela. Non ci riusciva, mai. Alla fine, lui era convinto di tenere il gioco, alla fine era la realtà che mentiva, non era giusta, c’era un errore da qualche parte, lui lo sapeva bene, era tutto sbagliato, nella trama e nell’ordito.E continuava imperterrito a cercare di dire la sua, giusta, temibile e assoluta verità. Perché lui lo aveva già detto, lui lo aveva già capito e se ne infischiava se poi restava solo a guardarsi la punta delle scarpe e a pulirle, di continuo, come se quel sottile granello di polvere spudorato, potesse smentirlo. Ma belle, ma belle...le sue scarpe!
Qualcosa ti aveva spinto ad arrivare a lui, ma non la stai raccontando giusta, stai sbagliando tutto, devi ricominciare, tracciare meglio.
C'è il lato umano, dove lo hai messo il lato umano? Perché non parlare della sua infanzia così infelice, dei tanti abbandoni, di quel giorno in cui l’hanno messo all’angolo, o dietro la lavagna? Senza contare che è sempre stato cristiano, un devoto cristiano e che si commuoveva sempre davanti a un film? Dove hai lasciato la sua orribile storia di abusi, la sua psiche che andava a pezzi, il suo languido peregrinare di case famiglia? Perché non dire che era solo, tragicamente, unicamente solo e non aveva nessuno con cui scambiare un gesto, un piccolo gesto di affetto, di calore, un’emozione? Volete che lo assolva? Finirei a farla breve, finirei a giocarvi un brutto tiro, finirei a togliervi la curiosità e io non voglio togliere la curiosità. Ma se volete…
Quel giorno l’omuncolo uscì e incontrò Teresa..Non era grassa, non aveva pantacollant che la strizzassero come una salsiccia, ma un sorriso e un cagnino piccolo, molto piccolo, che finì nei piedi, sopra le sue belle scarpe e gliela fece lì senza parlare, senza neppure un 'bau' di scuse.
Per poco non inciampò. Per poco, una convulsione lo tramortì. Non ebbe il tempo di pulirle.
‘Lei sa vero che i cani piccoli hanno delle peculiarità…’ Fu lei a parlare così con una voce, una tromba, un corno da battaglia, incantatrice.
La guardò stranito.
Anche Teresa lo guardò stranita e si zittì. Lo guardò bene, lo fissò negli occhi, arrivò sino alla punta delle scarpe. Che scarpe!
L'omuncolo sorrise e la prese sotto braccio.