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La sera ch’ormeggia, abbraccia la mia fragilità.
Segretamente mi strazia e strilla nel petto
quando punteruoli di stelle m’entrano dentro,
infinitesimali, lacerando membrane d’innocenza.
T’offro questo mio sentire come la foglia
s’offre al vento e caparbia prende il volo
senza conoscere rotta, velocità o destinazione.
Ma il mio dolore è muto e il tuo sentire
s’è fatto sordo, astutamente sordo.
Non sei più il soffio soffice che giunge da ponente,
ti sei fatto Bora, scostumata e indifferente.
E sto dentro questo limitare di confini
ch’io non ho mai tracciato
ma che son lì, spinati, a segnare
la dissonanza disarmonica
di un fiore reciso dimenticato nel prato.