L'attesa

scritto da Inferno delle città
Scritto 44 anni fa • Pubblicato 2 mesi fa • Revisionato 2 mesi fa
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Sono passati molti anni ormai, la composi tutta di getto e di seguito, senza mai averla corretta, sull'interno bianco delle quattro copertine del diario nell'ora di lezione al liceo (1981), avevo 16 anni
- Nota dell'autore Inferno delle città

Testo: L'attesa
di Inferno delle città

La morte avviene, sta all'ombra del sogno

La morte spira, flebile come brezza, da oriente

il solco dei pensieri non uccide, ma spegne

come tolta corrente da intima memoria d'elaboratore

La morte nasconde il suo velo di morte

e la morte punteggia il secolo di morte,

la morte che coglie la sua morte

La morte avvince

ma c'è anche chi muore senza il suo aiuto

sulla lama di rasoio, dosato nei termini del Codice

La morte distratta, che cuce fogli d'ortiche

La morte abbuia, gongola sul feto dell'ulcera

abbina al duplice oblio l'eco infranta di topica

La morte viene di soppiatto, la morte vera

La presagisci nell'ossa e l'accogli buona compagnona

La morte del dovunque noi siamo

Morte aduna Morte, e i morti dove sono?

Morienti siamo noi, scappati dal regno dei morti viventi

Morienti moriremo, unica salvazione: che viva la Morte

Ai dubbi, ai dubbi in fasce e ai dubbi antichi

non c'è vita che tenga - sciolgono everest gli Amori -

ma la morte, la morte viene dolce e soporifera

e non chiede altro che di vivere in noi,

noi ossuti viaggiatori come cavie del macrocosmo

La morte rabbocca vitreo esile vitro d'olivastra tintura

e immonda s'abbuffa d'immobili immondizie

ma la morte non costa, né frutta interesse

Ora ti sembra di essere, e vivi in una sembianza apparente

- inscolpiscono i segni le fibre - disconfuso d'ogni ente

poi Morte sfuma tua fumogena Vita

the loosing the dying the unbearable charge

La morte è il poliedrico dado sul collo

Quante facce apparenti!

Mors frugifera mens, allele in noi dalla alba che venne

Si odono strani tonfi giganti e lugubri forti

folate fondono l'arroventato fondale

di fosca foggia ferruginosa - affastellate applaudono 

avulse platee -

Soffi, son soffi, ma di che?

Nell'oblio la morte rispinge l'effimero soffio

La morte scatena tempeste e bore e monsoni

- chi sa se dietro vento percepito v'è meno intensa brezza? -

Indi la morte ripristina parmenideo vuoto

e deserto e silenzio e taiga falcidiata all'ultimo lichene

La morte delle trabeazioni a innesto polimorfo

e delle inquisitività a sfondo smorto

Quel che luccica e quel grieve sussurro

quel modesto disporre d'opzioni

quel grandioso mirare all'eterno, quell'incolto germoglio virente

quel miserabile stuolo d'aporie giganti

quel multiplo impaccio d'ossianica memoria

quell'infermo dimorare in occluse cellette

quell'iniezione di scarafaggio nelle tempie

quest'istanze d'orpelli

quell'ime sozzure suspicienti l'osmosi

quel canto di lira dischiuso

quel boreale impianto d'irriverenti promesse a sé,

e quel perso indirizzo di astri

- le coordinate spesso echeggiano sulle inutili lamiere di sempre -

quell'invecchiate stagioni scolpenti imponderabili

siderei silenzi sugli arcani del mondo

quell'ilarità sospette d'oppio, e quel doppio susseguirsi

incostante

la morte dissipa e distrugge

La morte che fugge

La morte silente

La morte che stende il suo vello elegante

La morte universale emolliente biodegradabile in sé

Io non morii mai così come ora, poiché

di morte naturale non si muore, solo si scolora:

quel ch'uccide

quel ch'uccide è l'innaturale morte artificiale del vivere

La morte è il rarefatto coltello sul tavolo

che lo scegli per non morire

L'attesa testo di Inferno delle città
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