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È un'isola, una donna:
distesa sul respiro del mare.
Nata dal plasma di ferite antiche,
difesa contro alghe di catrame
dall'amorevole errare delle onde,
dondolii dolci di culle
che la sospingono oltre soglie, febbri, mutazioni.
La solcano ombre immani di nubi,
linfa che mormora alle voglie del sole;
i suoi capelli d'anemone, preda dei venti,
il ventre gravido d'una balena
cui fanno scorta folli ali d'uccelli.
Profilo in emersione da sotto un velo o sudario,
segreti i golfi di velluto e silenzio.
Solo linee spezzate, quando sguardi la calpestano.
Se allucinata dal chiaro di luna ti denudi,
come polline diffusa a fiore delle correnti,
resisti o sprofondi nel rovescio del mondo?
Ha nome la tua fame o è la deriva
al guinzaglio teso d'una pena
senza carezze, senza memorie, senza porti?
tra scie di rifiuti e pesci morti...
Ti curvi sul tuo cuore: troppo tardi.
C'è chi, centenario, la vide veleggiare in cielo.