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Di sfuggita uno sguardo, l’anziano con il suo fuoristrada e il cappello di chissà quale marca di mangimi, torna a casa. È sudicio, è storto, nel suo quotidiano gironzolare per campi e faccende, lui è fiero, anche nel paese abbandonato, lui comunque è fiero, ma anche stanco, fino alla fine del giorno. Come lui tantissimi altri, l’uomo che vaga a braccia penzoloni, la bocca leggermente aperta, la barba incolta e un pigiama come vestito. Mentre ascolto l’elenco dei servizi ormai mancanti da tempo, un paese finisce alla fine della strada, subito dopo il cimitero, dove la morte è ordinata, semplice, pulita.
Un cielo sporco di nuvole grigie insicure, fa da cappa a questi viaggi, mentre l’occhio cade sulla gamba sempre più magra, sorretta ormai da pasti saltuari e sbagliati. Poche parole rimbalzano tra due bocche, impastate di mattino e già da qualche bicchierino, ne sento l’odore, che porta come un profumo inconsapevole. Il sopracciglio si alza, fa fatica ad abituarsi ad uno spazio vuoto, non vede il capello bianco posato sul maglione, non fa nulla, meglio risolvere tutto in fretta, bisogna andar via, anche se il bene rimane appiccicato lì, a tutti noi.
La sera è un miraggio lontano, il pomeriggio è un macigno sulla lucidità di tutti noi, è fiacco, fa fatica a ingranare, si sofferma, perde tempo, ma poi arriva davvero la sera, ed è un pasto che si consuma lentamente, mentre altre vite si affacciano sui discorsi, non ne comprendiamo le sfumature, in qualche modo, benevolmente, giudichiamo. Il primo freddo blocca il corpo, i meccanismi al suo interno, ma si sciolgono subito dopo una pisciata ed un altro bicchiere, arricchito di chiacchiere di circostanza e poco sentimento. Non posso vedere gli altri fili invisibili, ma avverto che ci sono, sorreggono esistenze fragili, chinate sui display, fanno scorrere il tempo in cianfrusaglie di poco conto, distraggono velocemente, non lasciano niente, non lasciano scampo.
Riaffiora una lucidità ad un orario insolito, mi precipita qui, poi mi allontana, poi distrae un bisogno, che viene soddisfatto, ma si stancano gli occhi ed il corpo che ora reclama solo un letto, ma c’è una parte che trascina qui queste dita, che pigiano danzando sulla tastiera, raccontando un altro giorno fatto di cose, di polaroid che ora posso strappare perché non uscite bene, ma anche di ingombranti sguardi che ignorano ogni cosa. Non c’è capo, né coda, al di fuori della formula ormai imparata a memoria, come una mansione. Ma va bene anche questo, ora sono più contento, poiché ho riversato qui altri momenti, una visione lontana dai soliti periodi di villeggiatura, curati e filtrati e ammassati su profili digitali dimenticati troppo in fretta.