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Finchè morte non ci separi,
un sussurro le inondava i timpani con un andamento incessante
tentava di evacuare ciò che rimaneva del suoi silenzi tentando di strapparli alla morsa di quel fragore costante
ma quella frase le rimbombava in testa nel medesimo modo in cui le correnti animano i mari. Finchè morte non ci separi,
il sussurro si fece lamento, il lamento si fece voce, la voce si fece grido
una carezza letale che le si accostava con fare infimo.
un grido silenzioso, personale, un grido che le partiva dal padiglione e vibrava in tutti i suoi capillari.
Finchè morte non ci separi,
le sue iridi riversavano all’esterno le acque putrefatte che la stavano annegando
le parole le si scagliavano addosso ferendola con il loro tono di risentimento inveendo
i segreti che celava con gelosia le si erano incarniti dentro,
provenivano da una regione remota dove lei era sempre riuscita a domarli nonostante la costante dello scontro
e si facevano strada soffocando ogni briciolo di vita che incontravano
perché quella stessa ormai apparteneva a loro e la resistenza costituiva solo uno sforzo vano
attorcigliandosi attorno ai suoi ultimi pensieri tranquilli e rendendoli amari.
Finchè morte non ci separi,
erano tornati con un bisogno indifferibile di emergere in superficie
procedevano fermamente alimentati da quelle parole sudicie
non badavano ad alcun ostacolo sventrandola ferocemente
come legionari al ritorno da anni di gavetta straziante
guidati dalla pura motivazione di riscuotere i suoi mutismi primordiali
scatenando in lei il ricordo di tutti quegli ascolti mancati, bisogni viscerali.
e verso quei segreti provava un amore radicato,
puro e infantile, ma fondamentalmente immotivato;
Finché morte non ci separi.
Si guardava i dorsi delle mani dipinti da faglie in costante movimento tellurico,
spostava lo sguardo verso gli avambracci e percepiva la morsa del panico:
le stava appresso lasciandole qualche micrometro di vantaggio,
ma la distanza si riduceva con un andamento accelerato perché lei di scappare non ne aveva il coraggio;
e si lasciava travolgere dai dubbi che si diramavano in decine e decine di frange,
l’ossigeno le si incastrava nella gola raschiandole la faringe
tanto che il dolore che aveva provato anni prima si incarnava ora nel semplice atto dell respirare;
e rifletteva su cosa l’avesse spinta a cominciare:
non si trattava di una dipendenza e ne era pienamente cosciente;
non si trattava nemmeno di un bisogno giustificatamente impellente;
era solo un grido d’aiuto che strillava tagliente,
ma quando qualcuno lo percepiva il grido si nascondeva sotto un manto di menzogne intessute silenziandosi prontamente.
Finchè morte non ci separi,
perchè niente poteva trapelare da quelle microscopiche fessure impercettibilmente immense;
l’unica cosa che produceva un rumore, in quel perenne trambusto erano le sue arsure
e lei le accoglieva perchè con il loro frastuono mutavano quelle lamentele che is facevano sempre più dense.
In pubblico si copriva per abbindolare i suoi cari
mentre il rimbombo le strillava “finchè morte non ci separi”.
Aveva bisogno di semplicità, di scaraventare le sue idee su un foglio dando voce a quella fobia
senza preoccuparsi della forma, delle rime, della metrica abbandonando il lettore alla pura arbitrarietà della polisemia.
rifugiandosi nella confusione della libera interpretazione
per timore di essere compresa pienamente da altre persone.
Finché morte non ci separi;
contava ogni respiro, ma si torturava trattenendo il fiato in quelli pari;
le avevano sempre ripetuto di stare zitta,
si sentiva inspiegabilmente sola nonostante attorno a lei percepiva la presenza fisica dei suoi familiari. Derelitta;
l’avevano pregata di non parlarne con anima viva,
e così una volta uscita l'unico sfogo era rifiondarsici, perchè la sua anima aveva sviluppato un’indole recidiva,
costretta a nascondere una verità che era troppo ingombrante per essere accolta nel suo esile corpicino,
custodendo quell’enorme fardello anche da chi le stava più vicino;
ed era bizzarro il modo in cui se ne prendeva cura,
trattandolo con estrema gelosia mascherandolo con un qualcosa di cui avere premura,
spiegando la sua innata voglia di parlare e la sua contraddittoria espressione superficiale
armandosi di artefici vari;
Ma lei lo aveva fatto e continuava a farlo ripetendosi “ finché morte non ci separi”.
Ora le chiedevano come mai non parlasse, il che a lei risultava estremamente estrosa come richiesta,
come se quell’incubo vissuto fosse congelato per tutti, ma solo per lei continuasse,
provocandole quel dubbio che solo l’ignoranza innesta.
Aveva ricevuto istruzioni e continuava a rispettarle
perchè se in un gioco da tavolo infrangi le regole che senso ha avuto impararle?
Le parole le si rifugiavano tra la lingua e il palato
e gli artefici tentavano di strappargliele, ma alla loro vista queste arretravano con uno scalpitio immoderato;
perchè lei non voleva farle uscire, non riusciva, non tentava e rimaneva muta,
imprigionata nelle sabbie mobili del silenzio autoprotettivo che l’aveva cresciuta.
E per quanto si impegnasse a cercare un miglioramento non faceva altro che affondare sempre più in profondità
fino a perdere anche l’ultimo raggio di luce che trapelava nel suo io più buio riaffidandola a quell’abitualità;
per quanto cercasse di mantenerlo vivo, la notte arrivava sempre e la luce l’abbandonava all’oblio
lasciandola completamente spoglia dentro un’armatura inscalfibile.
Delle grida esasperate non rimaneva altro che un flebile fruscio,
confuso, sospirato, indecifrabile.
Forse incolpava tutto questo solo per dare una spiegazione urgente
al degrado dei suoi comportamenti taglienti esternamente e laceranti internamente.
I ricordi l’avevano abbandonata come meccanismo di autodifesa,
tentava di rattoppare quella coscienza fratumata seguendo i rimasugli della sua immagine passata, limpida e coesa,
ma questo tentativo disperato di salvataggio l’aveva catapultata in un’affannosa e irrefrenabile ricerca di verità,
di motivazioni, di spiegazioni, collegamenti stanca di quell’anonima immunità.
una persecuzione letale
alla ricerca di un mezzo per liberarsi da quel legame fatale,
un rapporto autodistruttivo cui tutti i suoi nervi concorrevano ignari
recitando: “Finché morte non ci separi”.