Buche

scritto da Diodata
Scritto 28 giorni fa • Pubblicato 28 giorni fa • Revisionato 25 giorni fa
0 0 0

Autore del testo

Immagine di Diodata
Autore del testo Diodata

Testo: Buche
di Diodata

BUCHE

Aveva sempre constatato con rammarico che nel suo paese non si erano conservati i ruderi degli antichi edifici. Tanti centri della  regione vantavano la presenza di mura, di maschi e di bastioni; nel suo, invece, i segni delle fortificazioni, che pure erano state erette in epoca medievale, si potevano cogliere soltanto nelle cronache del tempo e nei libri degli storici. E dire che i conti di Cunio e gli Estensi avevano dotato la cittadina di una torre, di una rocca a pianta quadrata e di una cinta muraria con tanto di fossato, ma nulla era rimasto. Anche altre vestigia erano andate abbattute nel corso degli anni.
Fosse rimasta almeno la ciminiera della vecchia fornace, simbolo della Rivoluzione Industriale, dello sviluppo di inizio Novecento: la ciminiera in mattoni rossi ricordava l’era del vapore, ne rappresentava il segno di potenza come le torri nel Medioevo.
La diffusione dell’energia elettrica aveva causato prima l’abbandono e poi l’abbattimento del camino fumante che, purtroppo, non era stato annoverato tra i beni archeologici da salvaguardare.
Connesse all’attività della fornace, in cui, un tempo, veniva utilizzato combustibile vegetale, mentre la ciminiera scaricava in alto i fumi per ridurre i danni dell’inquinamento, erano rimaste le cave. Le cave di estrazione dell’argilla, trasportata con le carriole, erano ciò che rimaneva.
Le cave da tanti anni, ormai, erano delle buche aride, asciutte, dove si depositavano ben pochi centimetri di acqua, essendo subentrata una stagione siccitosa che faceva pensare al deserto. 
Buche. La sua casa, costruita sotto l’argine di un canale di scolo, in cui ora s’intravvedeva un rivolo, stretto stretto, distava una manciata di metri da quelle buche polverose e desolate.
La  casa era moderna. Il padre l’aveva progettata ispirandosi al funzionalismo organico di Wright, avendo sposato l’idea che l’opera architettonica deve adeguarsi al paesaggio naturale. Pertanto, non aveva accolto i consigli di chi lo invitava a modificare l’altimetria del terreno, su cui costruire l’edificio, utilizzando cumuli di argilla per creare un utile dislivello. Il genitore aveva respinto la prospettiva di veder sorgere su una collinetta la propria abitazione che voleva, invece, adagiata sul piano naturale; perciò, si era limitato a far erigere un basso scantinato.
Poi, i cambiamenti climatici avevano fatto sì che in tutti si sopisse la memoria delle copiose piogge di un tempo e ci si orientasse, invece, a risolvere i problemi causati dalla siccità e dunque dal bisogno di irrigare.
A volte, lui si sorprendeva a pensare come tutto fosse in evoluzione e come molto di quello che, in precedenza, era stato considerato utile, meravigliosa invenzione o scoperta, era destinato a essere dismesso e abbandonato, o al più a divenire un bene da museo o testimonianza del passato, semplicemente da ammirare come le rocche e i castelli.
Inaspettatamente, in quelle notti di maggio uno scrosciare pesante, rumoroso e insistente, fece pensare che la pioggia tanto attesa stava diventando, incredibile a dirsi, nefasta.
Agitato nel letto, tese l’orecchio percependo l’acqua che cadeva sulle tegole con lo stesso fragore di una serie infinita di secchiate. Si rigirò più volte sotto le lenzuola, impaziente del giorno.
Alle prime luci dell’alba si avvicinò alla finestra che dava sui campi e li vide allagati. Guardò verso il giardino e intravvide delle pozze.
Decise di portare la macchina nella parte più alta cioè in un’area di sosta della strada e di spostare le cose preziose, conservate in garage, nello studio del padre posto al piano rialzato.
L’acqua continuava a salire in seguito all’esondazione dei due fiumi, che delimitavano il territorio, e alla colmata dei fossi e dei canali: i venti centimetri nello scantinato diventarono trenta, poi quaranta, poi cinquanta, poi … 
Dai paesi vicini giungevano sconfortanti notizie di allagamento di strade, di pianterreni e di primi piani in cui i mobili galleggiavano nell’acqua torbida.
Lui temeva per i mobili antichi, autentici e di pregio, con cui il padre aveva arredato rigorosamente gli interni dell’abitazione ispirata all’architettura funzionalista, ora attorniata da una laguna dentro la quale ci si poteva calare solo con gi stivali alla coscia. Rabbrividì pensando all’infelicità del luogo in cui era stata edificata la casa, che non aveva  la missione eroica dell’arca di Noè ma faceva presagire il triste, delittuoso danneggiamento di oggetti preziosi.
S’incupì, tremò. Guardò la fila dei santini, posti sul credenzone antico, autentico, davanti ai quali la madre, quando era in vita, si inginocchiava formulando richieste di grazie. Lui non aveva mai osato rimuoverli. Si fece il segno della croce. Formulò una remota preghiera.
Andò avanti e indietro per tutto un giorno, convinto del peggio.
E, invece, l’acqua si arrestò. Non giunse a lambire il piano abitato ma si abbassò. Nel giro di poche ore lui poté uscire con gli stivali al ginocchio e procedere a una perlustrazione.
Lo scolo oltre l’argine era al livello della strada, ma scorreva. I campi erano inondati ma l’acqua, soprattutto intorno alla casa, si era mantenuta a un livello relativamente basso. Si chiese il perché, dato che tutti i fiumi e canali avevano tracimato e quella era una zona nevralgica: continuò a interpellarsi, finché non capì.
Le buche: erano state le buche che si erano riempite d’acqua trasformandosi in piccoli laghi, le buche, le vecchie cave, avevano protetto la casa...
Se non fosse stato per quelle buche, disseminate nel territorio, tristi scavi abbandonati, divenuti invasi, si sarebbe trovato… no, non osava nemmeno pensarci.


Buche testo di Diodata
8

Suggeriti da Diodata


Alcuni articoli dal suo scaffale
Vai allo scaffale di Diodata