L’albero delle cose lanciate sopra - storia 2

scritto da Strabik92
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Narrativa autobiografico-educativa/Testimonianza pedagogica
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Testo: L’albero delle cose lanciate sopra - storia 2
di Strabik92

Il pallone da basket di Ludovico

Impigliato tra le cortecce dell’albero c’è un pallone da basket. È consumato, con le cuciture un po’ allentate, ma conserva la sua forma piena, quasi a voler dire che, nonostante i colpi ricevuti, resiste.

Quel pallone appartiene a Ludovico.

Ho conosciuto Ludovico nel 2020. Magro, altissimo, con una chioma di capelli che sembrava sempre in lotta con il vento, appariva subito come una figura imponente. Nonostante le difficoltà motorie e la fatica nel parlare, attorno a lui aleggiava un’aura di forza, quasi di potenza trattenuta a fatica. Non a caso, tra noi adulti era conosciuto come “lo stritolatore”: quando ti abbracciava, non sapeva misurare la sua energia, e il suo slancio affettuoso finiva col diventare una stretta che toglieva il fiato.

Dietro quell’abbraccio troppo forte, però, c’era una storia complicata. Una madre che non lo aveva voluto, che non era riuscita a desiderarlo davvero. Un padre appena intravisto, senza alcuna presenza nella sua crescita e associato a ricordi negativi. Per fortuna c’era la nonna: il suo porto sicuro. Ludovico con lei non aveva dubbi: la chiamava “mamma”, perché di fatto era stata entrambe le cose. Una donna che sapeva tenergli testa e al tempo stesso proteggerlo, regalandogli quella stabilità che altrimenti gli sarebbe mancata del tutto.

Ludovico portava addosso la fatica di chi non ha avuto un inizio facile. Il suo corpo, magro ma alto, sembrava a volte inadeguato a contenere tutta la forza che esplodeva nei gesti. Anche le parole gli costavano: le sillabe uscivano lente, spezzate, e spesso lui preferiva lasciare parlare i silenzi, accompagnandoli con sguardi intensi. Ma nonostante questo, ogni volta che entrava in una stanza si percepiva la sua presenza.

Il punto di svolta fu il basket. Non un basket qualunque, ma un percorso di basket inclusivo. Quel pallone tra le mani diventò uno strumento di equilibrio: gli insegnò a misurare la forza, a gestirla, a usarla non più solo per stringere senza misura, ma per passare, tirare, costruire un gioco insieme ad altri.
Ricordo bene il racconto del suo educatore familiare a una partita: Ludovico tirò al canestro, il pallone rimbalzò incerto e poi entrò. Il suo sorriso, largo e luminoso, era la prova che stava imparando a trasformare la potenza in gioco, collaborazione, successo condiviso.

Ci sono stati anche momenti più delicati. Ludovico aveva bisogno di parlare, di capire, di confrontarsi con ciò che sentiva dentro. Un giorno ci raccontò di come fosse stato difficile contenere la rabbia e quanto spesso la sua forza travolgesse gli altri. Lentamente, abbiamo lavorato insieme, con pazienza, a riconoscere i segnali della frustrazione, a fermarsi prima che l’impulso diventasse travolgente, e a trasformare l’energia in movimento, sport, parole.

Abbiamo affrontato anche temi complessi: sessualità, curiosità sul mondo digitale, domande su internet. Ludovico era curioso, intelligente, e voleva capire tutto ciò che vedeva attorno a sé. Il confronto non è stato sempre semplice, ma fondamentale per accompagnarlo in autonomia e responsabilità.

Oggi, Ludovico è il più grande di tutti al centro. Ha fatto passi da gigante: parla molto meglio, gestisce la rabbia con strumenti concreti, sta imparando le autonomie quotidiane, può spostarsi da solo e prendere decisioni più consapevoli. Non ha perso la forza che lo contraddistingue, ma ora sa come trasformarla in risorse, non in difficoltà.

Il pallone da basket rimane lassù sull’albero, sospeso come simbolo di rinascita e maturità. Ricorda che l’inclusione e il lavoro educativo non sono solo concetti astratti: sono strumenti concreti che permettono a ciascuno di scoprire capacità, resilienza e fiducia in sé.

Ludovico mi ha insegnato che educare significa guidare, accompagnare, contenere e liberare allo stesso tempo. Che ogni ragazzo ha la propria energia da imparare a usare, e che con cura, ascolto e fiducia anche chi parte con grandi difficoltà può trasformare la propria vita.

Perché ogni ragazzo, se trova il suo pallone, può scoprire che non è solo “lo stritolatore”, ma un costruttore di futuro, un ragazzo che cresce con forza e consapevolezza.

L’albero delle cose lanciate sopra - storia 2 testo di Strabik92
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