Io sono quell’ultima sigaretta nel pacchetto

scritto da Andreskesh
Scritto 18 giorni fa • Pubblicato 18 giorni fa • Revisionato 18 giorni fa
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Testo: Io sono quell’ultima sigaretta nel pacchetto
di Andreskesh

Una sigaretta avanzata è tutto quello che ho.

È piegata, la carta un po’ umida, come se avesse assorbito tutto ciò che non riesco più a dire.

Sta lì, in un pacchetto accartocciato accanto a un bicchiere di vodka che sa di mani tremanti e notti troppo lunghe.

La stanza sa di fumo freddo e alcol versato male.

L’aria è spessa, immobile, come se anche lei stesse cercando di dimenticare qualcosa.

Sul tavolo, un posacenere colmo di mozziconi.

Fuori piove da ore.

Il suono della pioggia rimbalza sui vetri e scivola giù lento, come il tempo.

Mi passo una mano tra i capelli.

La pelle delle dita sa di nicotina e solitudine.

Davanti a me, un pacchetto accartocciato: una sola sigaretta rimasta.

La guardo.

È piegata di lato, come un corpo che ha smesso di reggersi in piedi.

E in quel momento capisco: io sono quell’ultima sigaretta nel pacchetto.

Accendo lo Zippo.

La fiamma esplode breve, arancione, poi si piega al respiro della stanza.

Il primo tiro brucia la gola e scava dentro, ma in qualche modo calma.

La brace illumina il bicchiere accanto: la vodka diventa un piccolo incendio liquido.

Bevo.

Un sorso, poi un altro.

La vodka scende lenta, graffia, accende qualcosa che somiglia alla vita.

Ogni goccia è una bugia dolce: promette calore, regala vertigine.

E io la lascio fare.

Fuori, la pioggia non accenna a smettere.

I lampioni ed i riflessi lucidi sull’asfalto, disegnano immagini non nitide ed incomprensibili.

Qualcuno passa, un’ombra, un passo solo, poi niente.

Torno dentro me stesso.

Nel fumo vedo linee che si spezzano, figure che si dissolvono.

Forse sono i ricordi che cercano una via d’uscita.

Sul frigorifero, una fotografia.

Lei ride. Io la guardo.

Dietro, un cielo chiaro e un bicchiere nella sua mano.

Lo stesso bicchiere di adesso, ma allora era pieno di luce.

Ora contiene solo ombre.

La sigaretta si consuma piano.

La cenere cade sul pavimento e disegna piccoli paesaggi di nulla.

Ogni tiro è più corto, più urgente.

Sento il cuore battere nelle tempie, il respiro farsi pesante.

Il fumo si infila ovunque — nei pensieri, nei ricordi, nei rimpianti che non ho mai detto ad alta voce.

Bevo di nuovo.

La vodka è quasi finita, ma resto a stringere il bicchiere come si tiene una promessa che non si può mantenere.

Il vetro è tiepido ora.

Ci vedo dentro il riflesso della brace: un punto rosso che pulsa, resiste, poi si spegne.

Proprio come tutto il resto.

Resto seduto.

La testa appoggiata al muro, gli occhi fissi sul soffitto.

La stanza respira con me: lenta, esausta, rassegnata.

L’odore del fumo si mescola a quello dell’alcol e della pioggia entrata da una finestra lasciata aperta.

È un odore vivo, denso, quasi umano.

Come se ogni cosa qui dentro avesse imparato a soffrire in silenzio.

La sigaretta è finita.

Ne resta solo un mozzicone, ancora caldo, che fuma da solo nel posacenere.

Lo guardo bruciare fino all’ultimo istante, fino a quando anche la cenere si arrende.

E penso che forse aveva ragione lei, quando diceva che certe cose non si spengono mai del tutto — si fingono morte, ma sotto qualcosa continua a bruciare.

Mi alzo.

Spengo la luce.

La città resta fuori, il buio dentro.

Cammino fino alla finestra e respiro l’aria fredda, piena di pioggia e malinconia.

Chiudo gli occhi e sento ancora il sapore del fumo, della vodka, del suo nome mai detto.

E lì, nel silenzio più onesto che conosca, capisco una cosa semplice, definitiva:

Come se ogni cosa che brucia,

prima o poi,

volesse ricordarti di essere stata viva.

Io sono quell’ultima sigaretta nel pacchetto testo di Andreskesh
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