Prima dell’uscita del simulacro del Santo Patrono in processione per le vie del paese, il parroco celebrò le funzioni religiose solenni in una chiesa parrocchiale gremita di fedeli travolti dal caldo, nonostante la relativa frescura delle prime ore della sera. Al termine delle funzioni liturgiche, una grande folla attendeva l’uscita del santo sul sagrato della chiesa, mentre all’interno gli esponenti della congregazione del Santo Patrono, deputati a trasportare in processione sulle spalle il simulacro, cercavano di traslocare la statua dal palchetto costruito sopra l’altare, a terra. L’operazione si rivelava faticosa e delicata: la statua aveva un certo peso e c’era il pericolo che si rovinasse. La chiesa era addobbata con panni e con fiori; un’intensa illuminazione elettrica rendeva tutto più nitido, e le statue degli altri santi, immalinconite per il fatto di non essere al centro dell’attenzione, si sforzavano di fare buon viso a cattivo gioco. Il simulacro del Santo Patrono barcollava pericolosamente e sembrava non volesse scendere dal palchetto per andare in processione. I congregati prendevano accordi su quali mosse eseguire per calare giù il santo, ma c’era sempre qualcosa che non funzionava e che bloccava l’operazione. L’anziano sagrestano si portava le mani alle tempie ogniqualvolta vedeva oscillare il santo, temendo il peggio.
Dopo vari tentativi, finalmente la statua venne calata a terra. Dopo una breve pausa, i congregati si caricarono il simulacro sulle spalle e uscirono dalla chiesa, facendo attenzione a non provocare un urto tra la testa del santo e la parte superiore del portale d’ingresso. La facciata della chiesa era adorna di luminarie, così come tutto il sagrato. Anche il corso principale era percorso da luminarie che creavano uno splendido tunnel luminoso dando l’illusione di essere nel paese di bengodi. Nelle ore serali, poi, l’effetto era amplificato.
Il simulacro del Santo Patrono fu accolto da grandi applausi; la banda cittadina intonò le note adatte all’occasione. Il parroco si asciugava il sudore della fronte. E dire che la processione non era ancora iniziata.
Davanti al santo procedevano i bambini abbigliati da Prima Comunione, il chierichetto che portava il Crocifisso, alcuni membri più anziani della Congregazione e il parroco. Le ragazze del coro, il sindaco con assessori e consiglieri comunali, la banda, gli alfieri di varie associazioni civili e religiose con i rispettivi labari, i fedeli penitenti che procedevano a piedi nudi e la folla di paesani seguivano la statua.
Mentre la processione procedeva per le vie cittadine, molte persone, soprattutto anziani o invalidi, sostavano sulla soglia d’ingresso delle loro abitazioni o sui balconi o alle finestre per ammirare il santo, rivolgergli qualche preghiera e quindi farsi il segno della croce. Su molti dei balconi erano stese delle lenzuola o delle coperte in segno di saluto e di rispetto al santo. In alcune vie e piazze erano collocate numerose batterie di fuochi pirotecnici che finivano per impregnare l’aria di un odore acre di polvere da sparo unito ad un fumo fastidioso. Anche gli abiti erano ormai impregnati di quell’odore e c’erano alcuni giovinastri che si divertivano a stare il più vicino possibile alle batterie nel momento in cui queste esplodevano, muovendosi nella stessa direzione della fiammata esplosiva, così che non si capiva bene se erano loro ad inseguire i fuochi o i fuochi ad inseguire loro. In ogni modo la bravata non era priva di pericoli. Molti andavano per così dire “in trasferta” in altri paesi confinanti, nei giorni di festa, per ripetere la bravata.
Il fumo dei fuochi d’artificio rischiava di compromettere le qualità vocali del coro. Le ragazze del coro cantavano armoniosamente ed era un piacere ascoltarle, accompagnate dalla banda cittadina che di tanto in tanto sbagliava qualche nota, ma nessuno se ne accorgeva.
La processione era agli sgoccioli. Il Santo Patrono si trovava già nel sagrato della chiesa in attesa della batteria finale che avrebbe preceduto il rientro in chiesa del simulacro.
Ai congregati spettava il compito di far rientrare la statua cercando di evitare la decapitazione del santo. Il rientro andò liscio; ora occorreva rimettere il simulacro sul palchetto provvisorio sovrastante l’altare. Si ripeté più o meno la stessa scena dell’uscita. Dopo vari barcollamenti e colpi di spavento, soprattutto per l’anziano sagrestano, i congregati riuscirono finalmente ad issare la statua. La chiesa, rimasta orfana per qualche ora del suo santo, sembrava si fosse ripresa dalla malinconia accogliendo i fedeli come si accolgono gli invitati nella casa dello sposo.
LA PROCESSIONE DEL SANTO PATRONO testo di Francesco Palladino