In cima alla pietraia

scritto da Fresia
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Testo: In cima alla pietraia
di Fresia

IN CIMA ALLA PIETRAIA

Al limitare del villaggio, cominciava una strada sterrata che si inoltrava nel bosco e che consentiva il passaggio ai mezzi dei taglialegna.
Giunti nei pressi di uno stagno, la strada finiva e lì aveva inizio uno stretto e ripido sentiero che si inerpicava tra alberi d’ogni specie, alte erbe e fitti cespugli di rovi.

Da generazioni, in paese si raccontava una leggenda, la quale diceva che quel sentiero portasse su un grande sperone roccioso nascosto dalla vegetazione e abitato da spiriti della foresta.
Incuriositi, molti  si erano avventurati verso quel luogo misterioso, ma ad un tratto il sentiero spariva lasciando il posto ad una pietraia estremamente scoscesa e instabile. Ad ogni passo avanti, infatti, ne seguivano spesso due indietro e coloro che, nel corso degli anni, avevano tentato di salire, avevano finito per desistere. A dire il vero, l'ascesa non era poi così impossibile, ma dopo alcuni metri tra quei sassi sconnessi, tutti venivano assaliti da un certo timore che impediva di continuare.
Negli ultimi tempi, inoltre, si andava dicendo che da lassù giungessero degli strani rumori, talvolta una sorta di voce spettrale, quasi un sibilo acuto piuttosto inquietante e che prima di allora nessuno aveva mai sentito. 

C’era chi supponeva che si trattasse di un insolito e sconosciuto fenomeno acustico, chi paventava l’ effettiva presenza dei leggendari spiriti o addirittura di qualche anima dannata e chi, per non dare l'impressione di essere troppo sensibile o credulone, riteneva che fosse esclusivamente suggestione.
Leopold, invece, non credeva nè ai fantasmi nè alle altre teorie e pensava che quei rumori fossero i versi di qualche animale che si era spinto nella zona dello sperone roccioso. Forse non si trattava di un animale autoctono e l’idea di poter trovare in quei boschi una specie non comune solleticava la sua voglia di scoprire.

Dopo aver percorso la strada forestale e l’ impervio sentiero, Leopold intraprese l’ascesa della grande pietraia, ma inevitabilimente finì per scontrarsi con le difficoltà che altri abitanti del villaggio avevano riferito.
Il giovane si fermò per riflettere, non era sua abitudine arrendersi.
Avrebbe riprovato, a qualunque costo voleva arrivare in cima alla pietraia, ma quando avanzava di un passo, ne seguiva uno indietro e risultava piuttosto difficile proseguire.

Ad un tratto, cercando un appiglio toccò una  grossa pietra, ma questa, a causa dell’ instabilità, si staccò rotolando verso il basso insieme ad altre. Aveva rischiato di farsi molto male, ma per fortuna non gli era accaduto nulla. 
Leopold interpretò la cosa come un buon auspicio e ciò lo invogliò a continuare.
Avanzava con passi tremendamente incerti su quei sassi che si muovevano pericolosamente, non c’era proprio nulla a cui aggrapparsi, eppure non voleva mollare. Non guardava in alto e nemmeno si girava per verificare quanta parte di quell’ accidentato percorso avesse già conquistato, era concentrato solamente sui propri piedi che sfidavano i pericolosi movimenti delle pietre e l’ immane fatica data dalla notevole pendenza del terreno.

Mancavano ormai pochi metri alla sommità della pietraia, quando il ragazzo si sentì colpire da un' improvvisa sassaiola. 
Non poteva trattarsi di una normale caduta di sassi, ma non poteva nemmeno essere causata da un animale. Chiunque avrebbe pensato agli spiriti della leggenda, ma per il giovane era più che evidente che lassù c’era qualcuno che aveva intenzione di intimorirlo e di impedirgli di salire.
Leopold non arretrò e, quando quella anomala pioggia di pietre finì, egli guardò verso l’alto, notando delle strane costruzioni tra la vegetazione. Parevano piccole piramidi e confermavano la presenza di qualche essere umano.

Il ragazzo mosse gli ultimi passi e si ritrovò sullo sperone di roccia, al cospetto di un uomo alto e macilento, dai lunghi capelli che gli ricadevano sulle magre spalle in ciocche unte e irregolari. Indossava abiti logori i cui colori erano celati da una sporcizia di lunga data.
Il suo aspetto era talmente malandato e debole che egli non ne ebbe paura.
“Chi sei?”, gli chiese, sperando che quell’uomo lo comprendesse.
Lo capiva, lo capiva perfettamente e,quando iniziò a parlare, Leopold ebbe la netta senzazione che non fosse affatto una sorta di selvaggio come gli era parso all’ inizio. 

L'uomo disse di non voler rivelare il proprio nome, ma affermò di essere stato un soldato.
“Dapprima ho ucciso perché dovevo, non perché fossi convinto della guerra che stavo combattendo”, spiegò, quasi volesse giustificarsi. 
Aggiunse, però, che aveva ubbidito a ordini terribili e che insieme ai suoi compagni si era macchiato di orrendi crimini che, nonostante fossero esecrabili, erano elogiati dai superiori. 
“Ero diventato un duro, un uomo senza pietà e senza paura, una macchina di morte e distruzione come molti altri che combattevano con me quella guerra. Ma non ero più umano, in realtà. 
Un giorno fuggii, mi rifugiai in questo luogo a fatica accessibile, ma che tu hai voluto raggiungere. Per questo meriti di conoscere la mia storia". 
L'uomo cominciò a raccontare di battaglie sanguinose, di imboscate, di soldati e di civili trucidati, di violenze d'ogni genere e, mentre parlava, le lacrime scorrevano sul suo volto scarno ed emaciato.

Dopo aver ascoltato attentamente quella raccapricciante narrazione, Leopold disse che spesso si sentivano strani versi provenire da lassù e chiese spiegazioni al riguardo. “Non sento mai nulla di strano”, rispose l’uomo, "e io evito i rumori forti per non rivelare la mia presenza. Questo è il regno del silenzio, se escludiamo i suoni della natura”.
Il ragazzo domandò, inoltre, se avesse costruito lui quella sorta di torri fatte di pietre sovrapposte.
L’uomo annuì e disse che gli avrebbe spiegato il motivo di quelle costruzioni, ma aveva bisogno di riposare, gli mancavano le forze per continuare a parlare. 

Leopold comprese quella necessità e, mettendo a tacere la propria curiosità, si sedette guardandosi intorno. 
C’era un’ incredibile quiete lassù, una pace che mai aveva percepito così grande.
Mentre il giovane abbracciava il paesaggio con lo sguardo, si chiedeva come il soldato si procurasse da vivere in quel luogo isolato, che offriva ben scarse risorse. Riteneva che, senza essere visto, ogni tanto dovesse per forza scendere a valle.

Ad un tratto, l' uomo, che  dormiva sotto le frasche di un albero, cominciò ad agitarsi. Si mise a parlare nel sonno, emettendo urla incredibili e versi acuti che sarebbe stato difficile ritenere umani, se Leopold non li avesse sentiti provenire da quella bocca.
Stava sognando e quei rumori inquietanti, che qualcuno aveva detto di aver sentito, non potevano che essere la sua voce, non c’era alcun dubbio.
Avrebbe voluto svegliarlo, ma non era certo che fosse la cosa migliore da fare. Rimase lì, semplicemente ad attendere.

Dopo un po’ il soldato si scosse e si mise a sedere spalancando gli occhi e ansimando.

“Eri agitato” disse il ragazzo, “credo che tu abbia avuto un incubo”.
Il disertore rispose che, dopo gli orrori della guerra, gli incubi erano una compagnia costante per lui.
"Hai mai pensato di tornare alla tua vita di sempre?", chiese Leopold, "la guerra è ormai finita e forse riusciresti lentamente a recuperare un po' di normalità".
"Non mi è possibile", rispose l'uomo, "mi hai chiesto per quale motivo accumulo pietre quassù e ora è giunto il motivo di darti una spiegazione".
Il soldato raccontò che, durante uno dei suoi sogni, gli era stata affidato quell' incarico. Disse di non sapere chi gli avesse parlato, ma di sapere esattamente ciò che doveva fare e perché.
"Questo conflitto", disse, "può anche essere terminato, ma le ostilità e le crudeltà non finiranno mai su questa Terra. Esiste un' unica speranza ed è riposta esclusivamente in me". 
Egli spiegò che ogni sasso simboleggiava una vittima e aggiunse che solo se  fosse riuscito a realizzare una costruzione impiegando il numero di pietre corrispondente ai morti di tutte le guerre, ogni violenza nel mondo sarebbe finita per sempre.
"Questo è completamente assurdo!", esclamò Leopold sconcertato ma, constatando la determinazione dell' uomo, capì che la sua mente, che gli era parsa piuttosto lucida, era invece preda della follia. La guerra lo aveva distrutto e probabilmente non sarebbe più tornato la persona che era.
Pensò che di quella convinzione folle avesse bisogno per continuare a vivere e, pur non sapendo se fosse giusto, decise di non replicare e di non chiedere al soldato di accettare aiuto. 
A breve, avrebbe affontato la discesa per tornare al villaggio ed era certo che mai avrebbe dimenticato quell'incontro e che non avrebbe rivelato a nessuno quella presenza in cima alla pietraia.

In cima alla pietraia testo di Fresia
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