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La luce del sole colorava la pietra d’Istria con l'ombra dei leoni di bronzo rampanti a decoro della fontana monumentale. Gli ombrelloni di un elegante bordeaux riparavano i tavolini di un affollato bistrot.
Anche i tavoli del locale a fianco, disposti a semicerchio intorno alla imponente “Torre dell’orologio” erano occupati.
Si sedette ad un tavolo a fianco della fontana. L’acqua zampillava.
La prospettiva lo affascinava ogni volta.
I due loggiati sovrapposti delimitavano la ampia piazza del Popolo sino alla piccola piazza Della legna.
In sottofondo una musica jazz si diffondeva avvolgendo il sommesso chiacchiericcio.
Un piccione gli zampettava tra i piedi.
Si guardò intorno. Era l’unico ad essere seduto da solo. Era normale. Non era mai stato socievole, se non nei limiti puri della buona educazione. Difficilmente si inoltrava nei percorsi della reciproca conoscenza. Il suo comportamento era molto simile a quello del piccione. Zampettare con discrezione e cibarsi degli altrui sentimenti senza chiedere. Prendere solo ciò che cade inavvertitamente e renderlo prezioso, vivo. Era abile nel riciclo degli scarti. Se li faceva bastare. Sorrise. Gli sovvenne il testo di “Bastan poche briciole” di Tony De Falco.
Eppure, quando gli servirono il bicchiere umido per la freschezza del liquido, anche il suo cuore ebbe alcune contrazioni fredde e il suo sguardo si inumidì. Ora si sentiva un piccione di vetro freddo e umido. Fragile, viscida e silenziosa si aprì una voragine buia come la bocca di Venom.
Gli mancava. Già, si accorse che desiderava la sua compagnia ora. Che desiderava guardarla. Anche se non era né bella nè elegante.
Un silenzio di ossuto orgoglio li aveva separati.
Si sentiva comunque vivo, anche senza di lei. Anche senza le briciole.
Gli bastavano i ricordi.
E forse anche a lei.