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Ho un sogno, forse un abbaglio, rimasto in balia del vento,
mi risuona dentro come nota afona, orfana d’accento
e immagino un grand jeté o altro passo di danza
imbragato in un fermo immagine privo d’eleganza.
Ho l’anima brillata da un artificiere esperto nel disinnesco,
fantasticavo approntasse uno spettacolo pirotecnico,
inaridita, si protegge succhiando da questa stasi,
ma per la sete sospende il sentire, con le sue fasi.
Dei nostri dialoghi, divenuti ricordi,
rimbombano nell’etere solo sfasati accordi
risuonanti soli, defraudati dei canti,
ogni dire bruciato, bruciati gli istanti.
E gli origami di parole dette
e la cura nello sceglierle sempre liete,
son ridotti in cenere, dopo essere state arse
dal rogo di promesse che il mutismo ha mutato in farse.
E io che avevo creduto nella ricomparsa delle aquile
e nell’innocenza dell’anima avevo approntato l’ali,
volo caparbia sulla vetta e come d’uso strido,
obbligata a sentire solo l’eco del mio solitario grido.