Un tesoro inaspettato

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Sono le poesie in dialetto Romanesco di un mio prozio.
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Testo: Un tesoro inaspettato
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In ogni caso, il signor Dino Massa da bravo bancario non sapeva disegnare e tenete conto che già di mattina a buona ora aveva bevuto. Era questo un effetto collaterale del pensionamento che però non aveva convinto mio padre che alla sua richiesta, erano le nove e trenta del mattino, di un bicchiere di vino aveva ripiegato, convincendolo, su una sambuca che tanto lui non beveva. Vi risparmio la sua eterna lamentela a proposito di Vanda, sua moglie che era la cugina di mio padre. La ragione di questa visita era nientemeno che la piccola raccolta di poesie del suocero, lo zio di mio padre morto da poco. La sua permanenza nella copisteria quella mattina si era prolungata, il tempo di almeno un paio di viaggi al bar nel mezzo del quale aveva disegnato una rosa per il frontespizio della raccolta e aveva scritto, di suo pugno questa piccola dedica che io trascrivo integralmente maiuscole comprese:

‘Nel Suo ricordo, per quanti lo conobbero, amarono e stimarono, perché loro di più possono apprezzare capire, valutare e giudicare quanto talento, genialità e sensibilità vi può essere in questa piccola e modestissima raccolta delle Sue ultime composizioni.

E come scrisse e pubblicò uno scrittore di fama in suo libro per una poesia di Paolo che troverete inserita: ((UN OPERAIO HA RUBATO UN RAGGIO AL SOLE DELLA POESIA..UN RAGGIO DIALETTALE, MA CHE CALORE)).’

Convento Francescano

‘Na carareccia, tutti peticozzi,

breccole, calcinacci, sassi aguzzi:

ma che pazienza, poveri fratozzi!

Spunta er convento: dù finestre arte,

un Cristo che t’aspetta a braccia aperte,

e poi.. tutto silenzio, in ogni parte.

E m’avvicino pè sentì ‘na voce

Ma tutto dorme in armonia de pace;

par ch’er Cristo suda sulla croce.

Ne sto momento nun trema ‘na fronna,

né l’artarino, sotto la capanna

piagneno l’occhi belli a la Madonna.

Credo che solo l’ellera cammina,

a quanto pare è peggio de la liana,

quello che trova agguanta e l’inturcina.

Dico.. so capitato fra l’incanto:

‘na funtanella goccia a stento a stento

Come fossero lacrime de pianto.

C’è un frate solo, drento ar refettorio,

‘na luce verde viè dal lucernario,

pare comme è descritto ar “Purgatorio”.

Comme in quel pezzo..”duolo strinse nui

Me guardò fisso, come dì: che vuoi?

Lo monno è cieco e tu vien ben da lui”.

La campanella della chiesoletta

sona tre o quattro tocchi e se riazzitta:

nun vò spezzà sta pace benedetta.

L’ora più bella se ne va cor sono:

quell’eco dorce se ne va lontano,

parla de rimembranze e de perdono.

Io me ne vado, mentre se fa sera,

scommetterebbe, fra ste quattro mura,

se convertisce l’anima più nera.

Il famoso scrittore del quale non conosco il nome, ha messo questa postilla alla poesia:

“Raggi tanto luminosi i poeti moderni dovrebbero rubarne a fasci: la vera poesia può compiere grandi miracoli, primo fra tutti, quello di fondere il gelo dell’egoismo.

Ma le Muse non passeggiano per Via Veneto: scalze e nude si sono rifugiate nelle grotte e piangono sul disadorno altare della Natura. Sono cittadine indesiderabili su questa terra: e se qualcuno si ricorda di loro lo fa per violentarle, imbellettarle e poi sparpagliarle, invereconde e convenzionali, sui marciapiedi della metropoli”.

Un tesoro inaspettato testo di davi55
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