La necessità del silenzio

scritto da innuendi
Scritto 16 giorni fa • Pubblicato 15 giorni fa • Revisionato 15 giorni fa
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Testo: La necessità del silenzio
di innuendi

A volte mi chiedono se la necessità di stare da solo mi pesa, come se fosse una malattia, un difetto di fabbrica. Io sorrido, tanto non capirebbero un cazzo. Non è che non mi piaccia la compagnia, è che certe presenze, con il loro chiacchiericcio insipido, fanno più rumore del silenzio. E allora mi rifugio nella quiete sospesa, dove la mente si fa limpida e i pensieri, invece di scappare, cominciano a parlarmi.

Per me la solitudine non è isolamento, è una sorta di manutenzione dell’anima, una specie di tagliando che devo fare per disintossicarmi dal caos. È quel momento in cui spogli la mente di tutte le menzogne e ti racconti la verità, perché solo così puoi sopravvivere. C’è chi la teme perché, appena si trova senza i rumori umani, sente il proprio vuoto urlare. Io lo guardo in faccia, quel vuoto, forse con un po’ di cinismo, e poi ci faccio pace.

Il buon Nietzsche diceva che “chi non può restare solo è schiavo di un altro.” E aveva ragione. Solo chi sa stare con sé stesso, nudo e senza distrazioni, può incontrare davvero l’altro. Gli altri invece vanno in giro a riempirsi di gente, di notifiche, di schermi incollati al viso. Non stanno vivendo, stanno solo evitando di ascoltarsi.

Questa mia profonda necessità di quiete, questa sensibilità che mi fa percepire il superfluo come un peso, la sento a volte come un difetto, un’anomalia. Eppure, proprio in questa nudità spirituale trovo il mio più grande appagamento.

Certe sere, quando il mondo si spegne e rimane il rumore del vento, capisco quello che intendeva F. Pessoa: “Vivo senza compagnia, come chi ha letto tutto e ricorda tutto.” Ed è in quei momenti che sento la volontà di connettermi al mondo in modo autentico. Sto bene quando posso ammirare le nuvole scure che si incendiano al tramonto, o all’alba davanti al mare, dove il silenzio, le onde e quella palla rossa che si affaccia, mi riempiono di un senso di appartenenza che nessuna folla può dare. O quando la mattina corro a perdifiato tra i boschi e respiro come non mai. Sto bene quando riesco a connettermi con gli altri a un livello cerebrale, perché la solitudine mi ha insegnato a non tollerare interazioni superficiali.

C’è una dolcezza strana in quel sentirsi malinconico ma lucido, come se la malinconia fosse una forma più intelligente di felicità, nutrita dalla contemplazione del vero. La solitudine non è per tutti. Ci vuole fegato per guardarsi dentro senza usare l’anestesia. Gli altri scappano, io resto. Non per eroismo, ma per necessità lucida.

Alla fine, quando sei solo e ti ascolti davvero, non solo senti il mondo respirare dentro di te, ma riscopri la tua collocazione in esso. E capisci che non sei mai stato solo: eri solo troppo circondato per accorgertene.

In culo al mondo.

@G.L ottobre 2025

La necessità del silenzio testo di innuendi
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