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Non resta nulla.
Non di te, non di me.
Solo un silenzio denso
che soffoca anche il ricordo
di ciò che fu chiamato amore.
Un tempo gridavo il tuo nome,
ora non ho più voce.
Il dolore ha consumato ogni suono,
ha levigato l’anima come una pietra
che non ha più angoli,
né identità.
Le notti non feriscono più:
per ferire, occorre un cuore,
e il mio l’ho seppellito
nel punto esatto in cui smettesti di appartenere a questo mondo.
Da allora sono una forma vuota,
una carcassa di memoria
che avanza per abitudine
tra estranee ore.
Non prego, non imploro, non sogno.
La speranza è un lusso che non mi riguarda più,
un oggetto appartenuto a un altro essere,
in un’altra vita,
su un altro pianeta dove io ero vivo.
Di te rimane solo ciò che il tempo
non riesce a portarmi via:
la consapevolezza crudele
che nulla avrà mai più la tua misura.
Non c’è conforto in questo —
solo una certezza fredda, minerale,
contro cui nessun sentimento può resistere.
Così mi dissolvo, lentamente,
senza gesto, senza grido, senza redenzione.
Un giorno non ricorderò più il tuo volto,
poi non ricorderò di averti amata,
e infine non ricorderò di essere mai esistito.
E sarà allora,
quando non sarò più nessuno,
che il mondo potrà finalmente continuare
senza il peso muto
di ciò che resta di me.