
Contenuti per adulti
Questo testo contiene in toto o in parte contenuti per adulti ed è pertanto è riservato a lettori che accettano di leggerli.
Lo staff declina ogni responsabilità nei confronti di coloro che si potrebbero sentire offesi o la cui sensibilità potrebbe essere urtata.
Sono uno psicologo clinico, specializzato in disturbi della memoria, stati alterati di coscienza e fenomeni dissociativi. Per ragioni di riservatezza — e forse anche per istinto di sopravvivenza — ho scelto di rimanere anonimo.
Per oltre vent’anni ho lavorato in studi pubblici e privati. Poi, a un certo punto della mia carriera, ho iniziato a incontrare casi che semplicemente non trovavano posto nei manuali. Erano pazienti che, secondo i criteri ufficiali, non mostravano sintomi patologici. Eppure, portavano con sé fratture profonde, invisibili, nella struttura stessa della realtà.
Questi casi non potevano essere trascritti nei referti. Sarebbero stati archiviati come fantasie, distorsioni, o più semplicemente, ignorati. Né avrei potuto condividerli in un congresso medico senza cadere nel ridicolo.
Eppure c’era qualcosa di lucido, coerente, nelle loro narrazioni. Così ho iniziato a scrivere un diario separato, un vero e proprio archivio di anomalie. Un atlante clinico dell’impossibile.
Lo chiamo il mio "Diario ai margini della realtà". E ciò che segue è la raccolta dei casi più significativi.
Cartella paziente N°47: L’uomo che cambia il passato con le parole.
“Ogni volta che racconto un ricordo, il vero fatto sparisce. Rimane solo quello che ho detto.”
(dichiarazione spontanea del paziente, seduta n°2. )
1. Appunti preliminari.
Il soggetto si presenta con abiti ordinari e modi gentili. Non soffre di amnesia, né di confabulazione nel senso clinico. I suoi racconti hanno una coerenza interna straordinaria. Ma quando chiamo in causa qualcuno per confermare i fatti — amici, familiari, colleghi — le versioni non coincidono. Mai. Eppure, dopo che il paziente racconta un episodio, i testimoni stessi iniziano a dubitare del loro ricordo. È come se la sua narrazione riscrivesse il passato: non solo nella sua mente, ma anche in quella degli altri.
Seduta n°1 Il paziente (guardando fuori dalla finestra con voce calma): “C’era una volta un’estate in cui mio padre mi insegnò a nuotare nel lago. L’acqua era verde scuro, e c’erano libellule ovunque. Mi teneva sotto le ascelle e diceva: “Non si nuota contro l’acqua. Si nuota con lei.”
Io: “E questo successe davvero?”
Il paziente (si volta lentamente, occhi lucidi): “No. Mio padre aveva paura dell’acqua. Non è mai entrato in un lago. Ma adesso che l’ho detto, è così che è andata.”
Riflessioni (personali e non condivisibili in contesto clinico) Non ho mai creduto nella plasticità del tempo - o almeno non nella sua modificabilità retroattiva. Eppure per il paziente cambia qualcosa. Non nel passato oggettivo, forse, ma nella sua presenza nel presente. E’ come se ogni ricordo raccontato diventasse la versione ufficiale dell’evento, sostituendo silenziosamente ciò che era con ciò che è stato detto. Questo enigma mi ossessiona: cosa succede, esattamente?
Ipotesi di lavoro: Non si tratta di delirio, ma di un potere narrativo radicale.
Ho scartato fin da subito l’idea che il paziente fosse un semplice mitomane o un soggetto con disturbi di confabulazione. Non mostrava i segni tipici: non cercava attenzione, non costruiva menzogne plateali e prive di logica, non insisteva mai su dettagli incoerenti. Al contrario, i suoi racconti erano coerenti, lineari e incredibilmente contagiosi. Non si trattava di delirio, ma di un potere narrativo radicale. Era come se la sua narrazione avesse un peso specifico diverso. Una forza plasmante che non solo influenzava chi ascoltava, ma modificava persino i dettagli più resistenti: oggetti, fotografie, testimonianze. Questo potere narrativo radicale non è inteso nel senso simbolico o psicologico. Piuttosto, è come se le parole del paziente avessero la capacità di riscrivere la tessitura della realtà, scavalcando la memoria individuale per incidere direttamente nel tessuto della verità condivisa.
Le mie osservazioni hanno rivelato quanto segue:
- Induzione del dubbio: Quando il paziente racconta un episodio, le persone presenti iniziano a dubitare della loro versione. E nel giro di pochi minuti, spesso senza rendersene conto, sostituiscono il loro ricordo con il suo.
- Alterazione fisica: Gli oggetti stessi sembrano obbedire a questa riscrittura. Ho documentato fotografie che cambiano soggetto, lettere che appaiono e dettagli ambientali modificati, come se la parola fosse una forma di editing del mondo fisico.
- Sovrascrittura della realtà: I suoi racconti non sono caotici, ma strutturati come un file di backup sovrascritto su quello originale. Il file precedente si perde nell'oblio, come se non fosse mai esistito.
Premessa metodologica:
A partire dalla seduta n°7, ho deciso di integrare le osservazioni cliniche con tentativi controllati di verifica empirica. Ovviamente, la natura del fenomeno osservato – la “riscrittura narrativa” – sfugge ai metodi tradizionali. Tuttavia, ho ritenuto opportuno documentare almeno le variazioni percettive e mnemoniche nei soggetti esposti alla narrazione del paziente.
Esperimento Test del ricordo condiviso.
Ho chiesto al paziente di raccontare un episodio della sua infanzia (giocava con un cane bianco sotto un grande albero di gelsi). Ho chiesto poi ad un osservatore (assistente) di descrivere il racconto ascoltato, prima e dopo aver interagito direttamente con il paziente.
Osservazioni: All’inizio l’assistente riferiva dettagli generici: “Un cane bianco, giochi all’aperto.” Dopo 24 ore, l’assistente ha aggiunto spontaneamente nuovi dettagli mai menzionati dal paziente: il colore dell’albero, il nome del cane, la sensazione del vento. Alla verifica, il paziente conferma di aver raccontato quei dettagli, benché il verbale registrato lo smentisca categoricamente.
Conclusione parziale: Il racconto non solo si diffonde come memoria, ma si autoalimenta, inglobando dettagli aggiuntivi che diventano parte del “vero” narrativo condiviso.
- Esperimento Test dell’oggetto modificato
Ho chiesto al paziente di descrivermi una fotografia immaginaria di un viaggio mai avvenuto: Lisbona 2018. Successivamente, ho lasciato il mio taccuino aperto sul tavolo e mi sono assentato per dieci minuti.
Osservazioni: Al mio ritorno, ho trovato una sorpresa inaspettata. Sul taccuino era comparso un disegno a matita: una barca sul fiume Tago, accompagnata dalla scritta "Lisbona 2008". Nessuno, all'infuori di me, in quei dieci minuti aveva avuto accesso allo studio. Ho fatto analizzare la grafia: corrispondeva inequivocabilmente a quella del paziente.
Ipotesi: La narrazione di quest’uomo non si limita a influenzare la memoria altrui; è in grado di manifestarsi fisicamente sugli oggetti esposti alla sua influenza. È come se la storia acquisisse un vero e proprio peso materiale.
Conclusione clinico-teorica
Le osservazioni sistematiche condotte sulle prime sette sedute con il paziente n. 47 convergono nel delineare un costrutto psicopatologico inedito, che propongo di denominare “ontoplastìa narrativa radicale” (ONR).
Sebbene questo fenomeno condivida tratti superficiali con le confabulazioni non amnesiche e i falsi ricordi socialmente indotti (cfr. Bartlett, 1932; Loftus, 2003), si distingue nettamente per tre caratteristiche emergenti. Queste, prese congiuntamente, non trovano attualmente collocazione nei manuali diagnostici:
1) Potere riscrittorio inter-soggettivo: La narrazione del paziente non si limita a sostituire retroattivamente il suo vissuto mnestico. Esercita invece un effetto di riconfigurazione coerente sulle rappresentazioni di terzi, arrivando a produrre convergenza testimoniale e riorganizzazione dei tracciati mnemonici altrui.
2) Plasticità oggettuale documentabile: Oltre all'infezione della memoria sociale, abbiamo rilevato modificazioni su supporti materiali (taccuini, fotografie). Questo è compatibile con un processo di esternalizzazione della traccia narrativa, ipoteticamente mediato da meccanismi psicosomatici non riconducibili a fenomeni motori inconsci o volontari.
3) Assenza di motivazione mitomanica: I protocolli di valutazione clinica (MMPI-3, PDI-40) non evidenziano pattern di ricerca di gratificazione narcisistica né indici di pensiero magico primario. La coerenza interna del discorso e l'assenza di incongruenze contestuali escludono un quadro confabulatorio tradizionale.