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Sono venuta al mondo in una casa dove la luce filtrava a stento, e quando lo faceva, cadeva fredda come un coltello. Non ricordo il primo abbraccio: forse non c’è mai stato. Ricordo invece la febbre, compagna fedele fin dall’infanzia. Scorreva nelle vene come un fiume lento e rovente, e mi costringeva a restare immobile, prigioniera di lenzuola umide e stanze senza vento.
Fu così che imparai a viaggiare senza muovermi. Il soffitto diventò cielo, le ombre sulle pareti, creature silenziose che venivano a farmi visita. Il mondo fuori era un continente inesplorato, e io lo osservavo da dietro vetri appannati, come un oracolo esiliato nella propria torre.
Mio padre aveva mani di pietra e silenzi che schiacciavano. Non parlava: ordinava. Quando la sua voce rompeva l’aria, era per ferire. Mia madre, invece, parlava troppo, ma solo per riversare spine. Nessuno di loro sapeva cosa fosse un rifugio, e così io ne inventai uno dentro di me.
Ero una bambina di febbre e paura, ma nelle notti insonni scoprivo di avere un potere segreto: potevo ascoltare il suono dell’anima. Ne raccoglievo i frammenti, li custodivo come perle nere, e li trasformavo in parole. Forse è per questo che scrivo ancora: per rimettere ordine nel caos antico, per dare forma alla tempesta.
Non avevo amici, se non quelli invisibili. A volte, guardandomi nello specchio, vedevo i miei occhi cambiare, diventare più scuri, quasi fossero un mare profondo in cui si specchiavano tempeste lontane. Un giorno, capii: non ero destinata a essere come gli altri. Ero condannata – o forse benedetta – a portare il peso di ciò che vedevo e sentivo.
Oggi so che la bambina febbricitante, rinchiusa tra quattro mura e genitori ostili, è diventata ciò che chiamano Medusa. Non il mostro della leggenda, ma una donna che ha imparato a pietrificare ciò che la ferisce, a trasformarlo in arte. Ho scoperto che i serpenti nei miei capelli non sono altro che pensieri vivi, che sussurrano storie a chi ha il coraggio di ascoltarle.
Sono cresciuta nell’ombra, ma l’ombra non mi ha uccisa. Mi ha insegnato a guardare oltre il velo delle cose, a vedere la crepa nella pietra, la lacrima nella risata, la bellezza nel dolore. E così vivo ancora, scrivendo dal mio esilio volontario, lasciando che la febbre della mia anima incendi le pagine e trasformi la mia prigione in un regno.