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Nel mondo, coesistono diversi stili di vita, anche molto diversi tra di loro.
Oggettivamente parlando, c’è gente che vive meglio e gente che vive peggio, tanto che generalmente si suddividono i Paesi del mondo in tre categorie: primo, secondo e terzo mondo.
Quando si pensa a quest’ultimo categoria, il terzo mondo, si pensa quasi sempre all’Africa, il continente che più di tutti è diventato l’emblema della povertà e dell’arretratezza economica negli ultimi decenni.
I motivi di ciò sono facilmente intuibili: nel corso degli ultimi secoli, il continente è stato continuamente sfruttato, prima dagli imperialismi, poi dalle multinazionali.
Tutto inizia con la scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo nel 1492, con la quale difatti nacque un nuovo fenomeno geopolitico, appunto, il colonialismo, o imperialismo: i più importanti regni dell’Europa di quel tempo inziarono ad invadere nuovi territori, al fine di sfruttarne le risorse naturali.
Ad oggi, sono pochi i territori ancora sotto il controllo di qualche passata potenza coloniale: dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, si volle creare un nuovo assetto globale, per evitare il ripetersi degli orrori accaduti fino ad allora, motivo per cui venne fondata l’ONU, che nei suoi primi decenni di vita fece della decolonizzazione una sua prerogativa.
Uno Stato quando diventa indipendente non deve così più sottostare al suo ex-padrone, ergo, le risorse vengono utilizzate solo da lui, e l’economia naturalmente torna a livelli da primo o secondo mondo.
Il problema risiede però nel fatto che il colonialismo ha originato un nuovo sistema di economia, il globalismo, che se da un lato ha agevolato gli scambi fra parti del mondo molto distanti fra di loro, dall’altro ha fatto nascere dei giganti per quanto riguarda questo mondo.
Stiamo parlando delle cosiddette multinazionali, aziende che hanno sedi in più parti del mondo, e che quindi non sono confinate nello Stato dove sono nate.
Queste aziende hanno, in un certo senso, sostituito le potenze coloniali, e questo è il motivo del mancato sviluppo economico del continente africano: queste terre non hanno fatto in tempo a vedere la fine del processo di decolonizzazione che si sono ritrovate a dover subire lo stesso identico trattamento, se non di peggio, da parte delle multinazionali.
Quando di parla di multinazionali bisogna tenere conto soprattutto di un fatto, ovvero che il loro valore sul mercato si avvicina molto a quello di Stati del primo mondo, e in alcuni casi questo limite viene pure superato, e, come tutti sappiamo, il soldo apre le porte per tutto, motivo per cui è impossibile, almeno per ora, per i Paesi africani arrivare, sotto un punto di vista economico, vicino all’Europa.
E’ impossibile per loro riscattarsi, ribellarsi.
Le condizioni in cui sono trattati gli africani sottomessi a questo tipo di neocolonialismo è vergognoso: lavorano un numero spropositato di ore al giorno e vengono pagati una miseria.
Non c’è da sorprendersi quindi se l’idea arcaica che il figlio equivale a forza lavoro in più lì esiste ancora, tanto che nelle fabbriche in cui vengono, a tutti gli effetti, schiavizzati gli africani ci sono anche, appunto, bambini.
Dal punto demografico potrebbe essere visto come un bene, dato che ci sono Paesi come il nostro che hanno una differenza nascite-morti che va addirittura in negativo, ma il problema sta nel fatto che mancano, naturalmente, delle garanzie per quanto riguarda la sicurezza, ma non solo: non è tutta colpa dell’uomo se il continente ha così poco sviluppo.
In Africa c’è il deserto più grande al mondo, il Sahara, e il clima, ovviamente, è molto instabile.
Non sono per niente rari, infatti, i periodi di siccità, che ostacolano il normale proseguimento della catena alimentare, e proprio un periodo di siccità è causa dell’attuale carestia, una delle più gravi degli ultimi decenni, se non la più grave.
Tutti noi avremo visto almeno una volta nella vita l’immagine di un bambino africano con la pancia gonfia, paradossalmente proprio per il fatto di non mangiare da settimane: la fame, naturalmente, aumenta la debolezza fisica di una persona, e per certi aspetti anche quella psicologica, motivo per cui le zone africane sono anche terreno fertile per malattie spesso letali, come la malaria o l’ebola, che non riescono ad essere debellate anche a causa, ancora, della povertà.
Per renderci conto della povertà africana basta vedere un dato molto semplice: il prodotto interno lordo, o PIL, che indica sostanzialmente la ricchezza di uno Stato o di un insieme di Stati.
Al 2020, il PIL dell’intero continente africano equivale a 2,33 miliardi di dollari, simile a quello della sola India, che invece ha un PIL di 2,59 miliardi di dollari.
Il fatto che un solo Paese abbia un valore maggiore di un intero continente è molto indicativo per quanto riguarda la povertà di quest’ultimo, eppure dei metodi per uscire da questa situazione ci sarebbero, se si accompagnano a soluzioni anche di carattere politico-sociale.
La povertà di uno Stato determina difatti anche il non poter investire sul futuro, quindi nè sull’istruzione nè sul lavoro.
Se manca istruzione, c’è praticamente l’anarchia: lì non sono scontati i diritti umani che per noi occidentali invece lo sono, e la criminalità la fa da padrone, ma su questo ci tornerò dopo.
Per esempio, le donne non sanno di avere gli stessi diritti degli umani, e con molta probabilità crescono pensando di meritarsi quello che subiscono praticamente quotidianamente.
Senza l’istruzione manca ovviamente anche il concetto di pace come bene da mantenere e guerra come cosa da evitare.
Le guerre possono essere causate da svariati fattori, ma sarebbe da soffermarsi in particolar modo su uno di questi: la religione.
E’ dall’11 settembre 2001, giorno dell’attentato alle Torri Gemelle, che gli Stati Uniti hanno iniziato una serie di conflitti nelle terre del Vicino e Medio Oriente e del Nord Africa, considerati come luoghi di origine dei terroristi responsabili dell’attacco, e da quel giorno il terrorismo non ha fatto che espandersi ancora di più, proprio per controffensiva verso questa reazione da parte americana.
Tutti si ricorderanno la paura che abbiamo provato tutti noi occidentali durante tutta la metà del decennio appena concluso, quando sono avvenuti una serie di attentati di matrice islamica verso le principali città europee.
Questo comportamento intollerante verso le religioni che non siano l’Islam si chiama jihad, e sotto alcuni punti di vista è come se fosse una nuova Crociata.
Il che si collega ad un’altra problematica legata all’Africa: la migrazione.
Le condizioni di vita sono veramente miserabili, come ho appena spiegato: che sia per le condizioni economiche, sociali o per la guerra, bisogna aspettarselo che un abitante scappi via in cerca di una vita migliore.
Anche noi italiani lo abbiamo fatto agli inizi del 1900, trasferendoci in massa verso proprio gli Stati Uniti.
Una considerazione importante da fare è che una situazione economica sfavorevole non equivale ad una situazione sociale altrettanto sfavorevole, come anche il contrario: per esempio, la Cina è una dittatura, ma risulta essere uno dei Paesi più ricchi al mondo.
Proprio la Cina fa parte di un patto economico fra cinque Paesi, il BRICS, acronimo che indica chi ne fa parte: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica.
Questi sono alcuni fra gli Stati maggiormente sviluppati al mondo, e proprio quest’ultimo, il Sudafrica, ha fatto un passo molto importante qualche decennio fa.
Alle elezioni del 1994, infatti, ha vinto Nelson Mandela.
Con lui è finito il cosiddetto “apartheid”, la segregazione razziale dei bianchi nei confronti dei neri, basata sul nulla.
Politiche simili, se non peggiori, ci sono state e continuano ad esserci ancora ad oggi.
Basta pensare al genocdio in Ruanda, avvenuto proprio nel 1994.
Cose del genere accadono proprio perchè manca la consapevolezza di quello che sta accadendo, ancora per il discorso della scolarizzazione.
Tutte le dittature basano la propria esistenza sulla propaganda, e per far sì che la propaganda funzioni bisogna far sì che venga impartita fin dalla tenera età, altrimenti il cittadino si rende conto di quello che gli accade intorno ed è molto più facile per lui unirsi ad altre persone che non la pensano come il regime e che si vogliono ribellare.
Per non parlare della questione criminalità: sia quella organizzata, quanto quella dei piccoli ladri, risulta inversamente proporzionale al benessere economico di un Paese.
Una persona ricca non ha bisogno di andare contro la legge, perchè sa che non ne varrebbe la pena.
Per esempio, il Sud Italia, già da qualche secolo, si trova in uno stato economico alquanto peggiore rispetto al Nord, e la cosa si nota molto facilmente.
Tutti sappiamo cos’è la mafia, ovvero una rete di criminalità organizzata che si comporta come una sorta di Stato alternativo su cui contare laddove lo Stato reale non riesce a soddisfare i bisogni dei cittadini.
La mafia viene così vista come una sorta di speranza per gli abitanti delle zone povere, sia economica, sia di giustizia: un ragazzino non riesce ad arrivare a fine mese, e decide di entrare nel mondo dello spaccio della mafia locale.
Oppure una persona generica subisce un torto da qualcun altro e, sapendo che sullo Stato non si può contare, si affida al mafioso locale.
Spesso la mafia viene tollerata, se non in un certo senso incentivata, dallo Stato stesso, che vede spesso suoi rappresentanti collusi con le attività criminali, e anche per questo risulta difficile abbatterla.
Detto ciò, abbiamo capito che sostanzialmente le potenzialità per rendere l’Africa simile all’Europa di oggi ci sono, ma non si riescono a renderle realtà.
Quando nell'Unione Europea c’è un problema, la stessa aiuta lo Stato in difficoltà.
Stesso discorso vale per l’Africa, ma in verità per qualsiasi patto politico-economico.
Per questo è nata l’Unione Africana, con uno scopo simile a quello dell’UE: far fronte comune contro le avversità del continente, oltre ad eliminare le dogane e favorire il commercio.
Il problema è che la sua presenza si sente poco, e quindi è difficile riuscire a riscattare l’immagine di quello che ad oggi è considerato l’emblema della povertà, e che ad oggi ha, come già, un PIL al di poco inferiore rispetto a quello indiano, quindi in condizioni normali sicuramente sarebbe una potenza economica non indifferente.
Per quanto riguarda il lato sociale, è importante prima di tutto comprendere il funzionamento dell’ONU.
Uno degli organi più importanti di questa associazione è senza dubbio il Consiglio di Sicurezza, l’organo che prende tutte le decisioni più importanti per quanto riguarda le questioni di pace.
Essendo l’ONU nata a Seconda Guerra Mondiale nemmeno finita, i cinque vincitori più importanti si sono arrogati il diritto di essere membri permanenti di questa parte dell’ONU, al contrario di tutto il resto dei 193 Paesi membri.
Questi cinque Paesi (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Regno Unito), si sono anche arrogati il cosiddetto diritto di veto, ovvero il potere di bloccare una decisione praticamente presa all’unanimità dal resto del Consiglio di Sicurezza con il voto contrario di solo uno di loro.
E’ il motivo per cui, per esempio, la stessa ONU non riesce a prendere provvedimenti contro la Russia per quanto riguarda la questione ucraina.
E’ così facilmente intuibile che le questioni di pace e di guerra sono nelle mani di cinque Paesi, che fin da prima del secondo conflitto mondiale avevano una certa rilevanza nella scena politica internazionale.
Basti pensare che il Regno Unito e la Francia sono state due tra le più importanti potenze coloniali di sempre, e che quindi hanno rallentato (e non poco) il processo di decolonizzazione, tanto che l’ultima colonia inglese che ha ottenuto l’indipendenza è stata Hong Kong, soltanto nel 1997.
Detto ciò, aiutare gli Stati africani è una cosa che stanno già facendo alcune ONG, specialmente a livello sanitario-umanitario, ma è evidente che un ente privato non avrà mai i soldi e il potere che invece ha un organo sovranazionale, che invece ha un potere che non è per nulla indifferente: quello di decidere il futuro del pianeta, sotto qualsiasi punto di vista.
Detto ciò, l’Africa non sarà simile all’Europa nel breve periodo, ma probabilmente tra qualche decennio sì, quando gli Stati del continente riusciranno a creare una coalizione forte e stabile e quando verrà riconosciuta l'importanza del continente stesso a livello internazionale, ma anche quando la situazione climatica e naturale si placherà.