Il centravanti smemorato

scritto da Beppe Tritone
Scritto 10 giorni fa • Pubblicato 7 giorni fa • Revisionato 7 giorni fa
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Autore del testo Beppe Tritone

Testo: Il centravanti smemorato
di Beppe Tritone

Nella nebbia che all’alba s’arrampica su per San Pellegrino in Alpe, nebbia che ha la stessa
pazienza di una gatta anziana e la stessa perfidia di un barista che ti dà il resto in caramelle,
viveva e giocava Adelmo “Testa di Vapore” Vignoni, centravanti del dopolavoro locale. Un
centravanti che, fino a due mesi prima, segnava come un poeta ubriaco di rime, ma che ora… ora
non ricordava più nulla. Né gli schemi, né i compagni, né soprattutto cosa ci facesse un pallone a
rotolare verso di lui come un cane affettuoso.
«Adelmo» gli diceva l’allenatore, un ex ferroviere dalla voce fischiata «tu devi fare goal. Ti ricordi?
GOAL. Quel coso che si fa tirando la palla dentro la rete!»
Adelmo lo fissava come si fissano le equazioni di fisica quantistica o il menu di un ristorante troppo
caro: con grande rispetto e nessuna comprensione.
La faccenda si complicava perché il campo del dopolavoro era letteralmente diviso a metà dal
confine: fasce toscane a sinistra, difesa emiliana a destra, con il centrocampo sospeso in una specie
di limbo amministrativo. Quando la partita rallentava, si sentiva persino un lieve fruscio: erano i
moduli burocratici che tentavano di capire da che parte compilarsi.
Il campionato di Promozione 1980-81, girone toscano-emiliano, non aveva mai visto una cosa
simile. E il pubblico, formato per il 70% da parenti, per il 20% da gente che passava lì per caso e per
il 10% da mucche curiose, non sapeva se ridere o preoccuparsi.
Durante una partita particolarmente tesa, Dopolavoro San Pellegrino contro Virtus Lama di Sotto,
Adelmo ricevette un lancio perfetto. Lui si voltò verso il pallone, sgranò gli occhi, e per un attimo
fu come se nella sua testa si accendesse una lucina. Una lucina piccola, stanca, ma coraggiosa.
«Io… credo che questo coso serva a…?» mormorò.
Si mise a correre. Gli avversari si aprirono davanti a lui come sipari di un teatrino montato male. La
folla trattenne il fiato. La porta era lì, enorme e invitante. Adelmo alzò il piede, pronto al tiro.
Poi si fermò.
«Ma dove sto andando esattamente? In Toscana o in Emilia?» chiese ad alta voce.
Il pallone gli rimbalzò sulla caviglia, cambiò direzione, colpì un difensore, rimbalzò di nuovo, superò
il portiere e finì in rete rotolando con la grazia di una mela che casca dal tavolo.
Silenzio. Poi un boato.
Era goal.
Un goal casuale, assurdo, forse illegale, e sicuramente soggetto a disputa tra i due confini. Ma pur
sempre goal.
Adelmo si guardò intorno e sorrise. «Forse mi sto ricordando qualcosa» disse.
E l’allenatore, commosso come un abete il 26 dicembre, lo abbracciò gridando: «Sì! Ti sei ricordato
come si fa: basta non pensarci!»
Da allora Adelmo Vignoni tornò a segnare, ma sempre in modi improbabili, un rimbalzo qui, una
deviazione là, una caduta plateale col piede sulla linea di confine che faceva confusione persino ai
guardalinee.
E così, in quell’anno strampalato, il dopolavoro di San Pellegrino in Alpe concluse il campionato con
un record singolare: la squadra con più goal segnati senza che il centravanti ricordasse mai
esattamente come aveva fatto.
Una gloria modesta, ma pur sempre gloria. E, come si dice in montagna, meglio un goal smemorato
che un’altra domenica di nebbia senza niente da raccontare.

Il centravanti smemorato testo di Beppe Tritone
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