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Ho visto il merlo acquaiolo
spiccarsi dal parafulmine:
al volo orgoglioso, a un gruppetto
di flauto l'ho conosciuto.
[...]
E un labbro
di sangue farsi più muto.
[E. Montale, "Da una torre"]
I
Probabilmente non quello acquaiolo,
ma il tuo labbro più muto
diventava ugualmente,
quando con lo sguardo fisso
alla parete bianca (o al crocifisso)
con voce stanca
mi chiedevi: "hai visto che bello?"
Che cosa papà? "Il merlo…"
Ma siamo in ospedale, papà ricordi?
E annuivi con gli occhi.
Eppure era là…
Ero io – scusa papà – a non vederlo.
II
Papà ricordi.
Ricordi papà gli angolosi giorni
di pena passati parlando
appena, appena, parole pesanti
spinte dalle tue labbra
consunte e secche, senza
più pianti da piangere nei tuoi occhi
pieni d’apparizioni?
Fuggitivi e lontani
apparivano, sparivano, un merlo
una beccaccia…
E iniziavi la tua caccia con lacci
da bracconiere: "Mi passi il coltello;
è nella giacca… lo riesci a vedere?
Sbrigati che mi scappa… scappa…scappa…
Scappava chissà dove.
Dove il silenzio si rompeva
della tua voce, e più non s’udivano
le sporche parole di chi sapeva
non saperti guarire:
quei "Tanto deve morire… MO-RI-RE…
Sta morendo non vede…
Questo è il nostro lavoro, cosa crede…"
Io? Non a voi certo. A quel merlo
piuttosto…
Ma questo voi non potete saperlo.