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Un giorno, mentre guardavo un mio quadro, mi persi nei suoi colori.
Rappresentava un tramonto, un semplice ma intenso tramonto.
-Ahhh… quanto mi era mancato vedere i tramonti.-
In carcere non mi era permesso o almeno così credo.
Chissà quanto sarebbero state più belle le pareti della cella, se fossero state colorate con un rosso cocente, così da divampare tutta la noia che fino ad ora faceva parte del mio quotidiano.
Un arancione bruciato, per ricordare i meravigliosi tramonti, quelli che si guardano con estrema malinconia nel petto. Amavo i tramonti ed in carcere non è possibile vederli, se non attraverso un “occhio” barrato sul mondo, comunemente chiamato finestra.
Mi ricordo una volta da ragazzo andavo spesso al lago a vedere il tramonto con i miei amici.
Il colore arancio, che si fondeva con gli occhi di ognuno di noi, dava una sinfonia leggera, come il blues.
In molti dicevano che fossi pazzo, anche gli amici più stretti.
Ma io non ero pazzo, ero sempre stato ossessionato da un qualcosa di irraggiungibile per molti, ma per me, era una cosa che si poteva toccare con mano. La perfezione.
Secondo molti la perfezione è un concetto mentale irraggiungibile o ancora peggio inesistente.
Siii, avete capito bene, INESISTENTE!
Però sapevo che da qualche parte nel mondo o solamente nella mia mente, si nascondesse qualcosa di perfetto.
Ma ahimè, lo sapevo soltanto io.
D’altronde, già al tempo dei Greci si poteva osservare come il grande maestro Policleto, avesse stilato dei punti fondamentali per richiamare la perfezione nell’arte e nelle espressioni di tutte le opere di quel periodo.
La passione per la pittura mi aveva portato a pensare che nella vita, non basta essere ricchi e famosi o essere circondati da belle muse danzanti, ma è necessario essere perfetti per arrivare all’apice della soddisfazione di noi stessi.
E fu così che intrapresi il viaggio platonico alla ricerca della perfezione.
La notte calò e con la sua oscurità avvolse le mie carni.