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Cronache mattutine nell’ennesimo giorno delle ultime cose, ultime cose, ultimi sguardi al vecchio albero qui davanti, ultima visuale al mattino presto della vita di quartiere che è stata il mio quotidiano in questi ultimi quattro mesi o poco più, ultima passeggiata nella giungla dietro casa, ultimi odori familiari per Ohana, si ricomincia altrove, questa volta in tre, siamo assieme, e quanti giorni delle ultime cose ho vissuto, io che conduco una vita randagia che ogni volta mette radici un poco più in profondità, si parte, ancora un trasloco, ancora scatoloni pieni, e un’altra occasione per lasciare indietro qualcosa, che sia una maglietta consumata o un pensiero che non serve più,
e mentre penso a queste partenze che si moltiplicano come cerchi nell’acqua mi sorprendo a riflettere su come tutto si ripeta e tuttavia si trasformi nella propria ripetizione, perché ripetiamo gli stessi gesti, gli stessi rituali, diciamo a noi stessi gli stessi pensieri, e forse la differenza sostanziale tra chi si trascina nella vita e chi vi fluttua aggraziatamente sta nello scegliere con cura ciò che si decide di ripetere ogni giorno, poiché tutto è ciclico e ogni ritorno è una nuova domanda che ci viene posta, e ci chiede cosa siamo diventati, chi stiamo diventando, e che cosa, momento dopo momento, ci concede la forza di immergerci a capo fitto e cuore aperto in un giorno ulteriore, forse identico a quello precedente,
forse è la curiosità rinnovata, quella degli occhi giovani e del cuore che non ha ancora imparato a irrigidirsi, e certo i pensieri non mancano mai, ne abbiamo un’abbondanza quasi offensiva, ma ciò che conta è tentare ogni giorno di trasformarli in nuvole, lasciarli passare come vapore che non pesa e non trattiene, e in questo gesto semplice si nasconde una forma silenziosa di salvezza,
e bisognerebbe dedicare un pensiero speciale al tempo che consegniamo a noi stessi ogni giorno, perché il lavoro visibile va e viene, cambia faccia e nome, decade e si ricostruisce, ma il lavoro interiore non conosce stagioni di crisi, ed è proprio nei momenti che chiamiamo crisi che dovrebbe allargarsi, invadere, abitare ogni spazio possibile, senza chiedere permesso,
per parte mia, crisi vere non ne riconosco, non ora almeno, e tuttavia il cuore a tratti si fa più pesante, a tratti si spaurisce senza sapere esattamente di cosa, forse per il peso inestimabile e illusorio del tempo, a cui ho già dedicato inchiostri generosi, e ancora ne dedico, al tempo che passa e che non ritorna, a quel fluire che somiglia a un fiume e a una folla insieme, fiume di persone e di vite che scorrono, e io mi dico contento e mi dico grato per quelle che, per ora, decidono di restare un poco più a lungo.