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La ragazza si aggirava per il piazzale assolato dell’Autogrill, trascinando uno zaino quasi più pesante di lei tra le pompe di carburante e l’ingresso del bar. Sembrava stesse cercando qualcosa, o più probabilmente qualcuno, con un’espressione vagamente sgomenta sul volto.
Marcello, appena sceso dall’auto, si soffermò a osservarla incuriosito, chiedendosi cosa le fosse successo e, ovviamente, notando che era giovane e carina.
«Adesso di colpo ti piacciono le bionde?», chiese la sua compagna di viaggio – ovviamente mora – aggiustandosi gli occhiali sul naso.
«Ma no, Irene. Mi stavo solo chiedendo cosa le fosse successo.»
«Guarda che stavo scherzando», riprese lei sorridendo. «Secondo te posso essere gelosa di una ragazza che fra dieci minuti ti lascerai alle spalle e non vedrai mai più?»
«Sembra nei guai.»
«Perfetto. È bionda, è carina, è nei guai e, soprattutto, non sono affari nostri.»
«Mi chiedevo soltanto se…»
«Dai, qualcuno l’aiuterà, stai tranquillo. Invece noi, se non ci sbrighiamo, perderemo anche il traghetto delle undici. Non farmi pentire ulteriormente di essere partita con te», chiuse lei, iniziando a dirigersi verso il bar. Lui non poté far altro che seguirla.
«Vado in bagno, mi puoi prendere un caffè?», disse Irene per poi allontanarsi verso la coda – per fortuna non troppo lunga – dei servizi.
Marcello ordinò due caffè a una cassiera dall’aria annoiata e si guardò attorno. Gli tornarono in mente i soliti versi, come sempre, ma era difficile trovare poesia in quel luogo: l’ambiente era tutt’altro che deserto, la soda fountain – non era nemmeno sicuro di sapere cosa fosse esattamente – aveva lasciato il posto a frigoriferi pieni di bottiglie a prezzi da inflazione e nessuna ragazza dietro il banco era “bionda senza averne l’aria”.
La ragazza che aveva visto fuori, quella con lo zaino, era bionda senza averne l’aria. Si chiese come mai gli fosse rimasta così impressa, cosa avesse visto di particolare in lei. Certo, era piacevole a vedersi, bella in un modo non vistoso, ma c’era qualcosa di più…
Avrebbe voluto condividere quelle riflessioni con Irene, ma era sicuro che lei non avrebbe capito. Forse se fosse stata l’Irene dei primi tempi, ma ora…
Poi la vide, era rientrata nel locale, sempre trascinandosi dietro faticosamente quel fardello troppo grande per lei.
Cercando di non farsi notare, si fermò a guardarla: era giovane, poteva avere forse un paio d’anni meno di Irene, e proprio come Irene era non troppo alta e gradevolmente minuta; portava un paio di shorts, scarpe da tennis, una camicia color kaki a maniche corte e i capelli lunghi. Aveva l’aria di una figlia dei fiori trasportata lì dagli anni Settanta, o forse di un elfo dei boschi.
La ragazza si avvicinò al bancone e, con una certa rassegnazione nella voce, chiese se avessero visto l’uomo di circa trent’anni che guidava un’Audi rossa, l’uomo con cui era arrivata lì. Ovviamente nessuno era in grado di aiutarla, ma sembrava che lei se lo aspettasse, che quello fosse un ultimo disperato tentativo. Il suo compagno di viaggio, era ormai evidente, era ripartito senza di lei.
«Ancora quella ragazza?», chiese Irene raggiungendolo al bancone del bar. «La tua è una fissazione.»
«Te l’ho detto, mi incuriosisce», rispose lui sorseggiando il caffè.
«Se fosse meno avvenente, ti incuriosirebbe meno.»
«Non lo nego, sarei quanto meno ipocrita altrimenti. Ma non è solo questo. È arrivata con un uomo che però se ne è andato, lasciandola qui.»
«Ma che brava persona…»
A pochi metri di distanza, come per confermare le parole di Marcello, la ragazza stava spiegando alla cassiera annoiata la sua situazione: era scesa dall’auto per andare in bagno mentre lui faceva rifornimento; quando era tornata, aveva trovato solo lo zaino appoggiato alla pompa, e nessuna traccia né dell’uomo, né dell’Audi.
«Dobbiamo fare qualcosa?»
«Come ti ho già detto, Marcello, non sono affari nostri. Non ti preoccupare, una soluzione la trova sicuramente. Anzi, rimettiamoci in moto: abbiamo già perso troppo tempo.»
«Tranquilla, siamo in perfetto orario.»
«Da quando tu e le parole “in perfetto orario” siete compatibili?», chiese lei con una quasi impercettibile nota acida nella voce.
«Va bene, dai, andiamo», cedette lui, dando ancora uno sguardo alla ragazza. «Al solito hai ragione tu, non sono affari nostri.»
Risalirono in auto, avvicinandosi alle pompe di carburante. Marcello scese nuovamente dall’auto per fare il pieno.
Aveva quasi finito quando, all’improvviso, la ragazza bionda gli arrivò alle spalle, sorprendendolo.
«Scusate», chiese lei, con la voce quasi rotta dal pianto, «mi dispiace disturbare, ma non so come fare altrimenti. Potreste darmi un passaggio fino alla stazione dei treni più vicina?»
«Ehm…», rispose lui leggermente imbarazzato, «Mi dispiace, ma andiamo un po’ di fretta.»
«Vi prego», continuò lei, con un’espressione sempre più affranta, «non vi farò perdere molto tempo, e voi sembrate brave persone. Siete brave persone, lo so…»
«Ci spiace tanto, signorina», intervenne Irene attraverso il finestrino, «purtroppo abbiamo un traghetto da prendere, non possiamo proprio uscire dall’autostrada… perderemmo troppo tempo.»
«Capisco, scusate se vi ho disturbato», rispose la ragazza, cercando di nascondere la delusione dietro un sorriso e riprendendo a trascinare lo zaino verso un’altra auto.
Marcello rimise a posto la pistola della pompa, risalì in auto e accese il motore, guardando nello specchietto retrovisore la ragazza che riceveva un altro rifiuto. Poi, dopo uno sguardo eloquente di Irene, riprese la marcia, più lentamente di quanto avrebbe dovuto.
«In fondo stiamo andando in vacanza», disse. «E di traghetti ce n’è uno ogni ora.»
«A parte che l’idea di questa vacanza settembrina “per riposarci un po’ lasciandoci alle spalle i problemi” è stata soltanto tua, continuo a non capire questa tua fissazione per lei.»
«Non saprei, ma guardala: secondo me, stasera è ancora qui; oppure sarà costretta a accettare il passaggio di qualche altro galantuomo», disse lui, accostando prima della corsia di uscita.
Irene si voltò indietro, mentre la ragazza riceveva un terzo rifiuto, questa volta meno gentile. Marcello vide l’espressione sul suo volto addolcirsi.
«Dai», incalzò, «la portiamo alla stazione e dopo ce la possiamo pure dimenticare.»
«Non so se sei cretino o cosa, quando fai così, e evidentemente l’imbecillità è contagiosa», rispose lei. Subito dopo Marcello la vide uscire dall’auto e gridare in direzione della ragazza: «Signorina, prego, venga qui.»
La giovane si avvicinò a loro con tutta la fretta che il suo bagaglio le permetteva, sul volto un sorriso luminoso.
«Grazie, davvero, mi avete salvato», disse aprendo lo sportello, sollevando faticosamente lo zaino e gettandolo sul sedile posteriore, per poi sedersi.
«Ciao, io sono Marcello», disse lui voltandosi ancora a guardarla.
«E io sono Irene, la sua ragazza», riprese l’altra, come per marcare – sia pure con un sorriso – il territorio.
«Ciao Marcello e Irene», rispose la ragazza sorridendo ancora e appoggiandosi con i gomiti agli schienali dei due sedili anteriori. «Che bellissimi nomi. Irene in greco vuol dire pace; Marcello non ricordo, probabilmente viene dal latino, ma fa subito pensare ad Anita Ekberg nella fontana di Trevi.»
«E tu come ti chiami?», chiese Marcello, immettendosi nella rampa d’uscita.
«Io sono Sara; in ebraico vuol dire principessa, ma proprio per questo non mi sembra adatto a me. Chiamatemi Sally.»