Quel semaforo lo odiavo. Non riuscivo mai, e dico mai, a prendere il verde…mi accontentavo anche del giallo, premevo l’acceleratore per evitare che scattasse il rosso, ma era inutile, il colore del sangue puntualmente appariva proprio mentre stavo sulla soglia dell’incrocio e, a malincuore, mi fermavo. Dico a malincuore perché il rosso durava esattamente tre minuti e venti secondi, l’avevo cronometrato un giorno che ero particolarmente impaziente. E avrà pure avuto il suo motivo, cioè che durasse tanto il rosso, perché il semaforo era posto su incrocio particolarmente complesso, un quadrivio che dava l’accesso a strade di grande viabilità e traffico. Ogni mattina dovevo attraversarlo obbligatoriamente e quando stavo quasi per arrivare, cominciava a battermi il cuore, mi dicevo “speriamo che stia per scattare ora il verde, mentre sto arrivando…” e invece intravedevo da lontano quell’intimidatorio colore giallo che mi faceva perdere le speranze; considerando la fila delle auto, sarei riuscita a passare dopo almeno sei minuti se non di più...E allora, per ingannare il tempo e calmare l’impazienza, ogni giorno mi inventavo qualcosa: sguardo allo specchietto per verificare il trucco (nel caso ci fosse bisogno, veloce ritocco e nuova verifica allo specchietto, il tutto durava quasi due minuti); controllo di eventuali messaggi whatsapp, questo durava poco, in circa un minuto davo una rapida occhiata a chi mi aveva mandato messaggi e valutavo se fossero più o meno importanti; lettura delle email, in genere leggevo il mittente e decidevo all’istante se fosse meritevole di considerazione, l’operazione durava circa due minuti; revisione del contenuto della borsa, raccattavo qualche fazzoletto usato, qualche moneta uscita fuori dal borsellino, anzi già che c’ero verificavo se per caso avessi dimenticato la carta bancomat a casa e se avessi contanti sufficienti (questo durava un minuto e mezzo); tentativo di cambiare stazione radio perché quella musica mi faceva innervosire, ma immancabilmente non trovavo subito la frequenza preferita e alla fine, quando il semaforo diventava improvvisamente e con uno sprazzo di generosità, di un verde intenso ma precario, lasciavo la sintonizzazione sul canale che appariva in quel momento, in genere rai tre (la pagina culturale!) che poi dovevo sorbirmi fino all’arrivo al lavoro; sguardo nervoso sui vicini di sventura, gli autisti delle auto ferme accanto a me, in genere anche loro giravano la testa e si guardavano intorno, ci scambiavamo delle occhiate rapide e furtive, quasi odiose come per dirci “ma perché tutto questo traffico? e tu, oggi, non potevi startene a casa? scommetto che sei una casalinga che ha appena accompagnato i figli a scuola, non potresti andare a piedi? così la città sarebbe più vivibile, e tu sei un pensionato? che ci fai in giro a quest’ora del mattino? perché invece di dormire, vieni a intasare questo incrocio sventurato?”. Poi c’era l’occhiata furtiva ai negozi circostanti, ai pedoni che attraversavano fuori dalle zebre, li guardavo con severità scuotendo la testa, non pensando che anche io spesso lo facevo, ma stavo dall’altra parte e avevo il diritto di innervosirmi. Quando finalmente scattava quel bel colore verde bandiera che rigenerava la vista e calmava l’animo, ero pronta con un piede sull’acceleratore e l’altro sulla frizione, tentando di passare a quella tornata di verde, e invece no, mentre ero a pochi metri dalla barriera, spuntava immancabilmente l’odioso giallo, e allora frenavo stizzita, mettevo in folle e ricominciavo nervosamente ed impazientemente le manovre di routine; controllo messaggi, email, revisione trucco, sguardo malevolo ai vicini di auto, stando ben accorta a chi osava passarmi avanti anche di un centimetro, e così via per più di tre minuti. Quei pochi attimi di attesa condizionavano la mia giornata, riprendevo la strada in modo frenetico e veloce, cercando di schivare chi malauguratamente si poneva sul mio percorso, speranzosa di arrivare al semaforo successivo proprio nel momento in cui scattava il verde, anche se la cosa mi importava poco, perché nessun altro rosso che si frapponeva al mio viaggio mattutino durava più di tre minuti, in genere me la cavavo con un minuto, in alcuni il rosso durava cinquanta secondi…li contavo puntualmente. Una mattina, quando mi ero appena fermata al rosso e, rassegnatamente cominciavo a fare qualcosa per occupare il tempo, quasi dovessi cancellarlo o far finta che non esistesse, il mio cellulare si illuminò (forse un’illuminazione divina?!) e improvvisamente sentii il suono di una meditazione che avevo ascoltato qualche giorno prima (evidentemente avevo pigiato senza accorgermene qualche tasto); mi fermai, mi lasciai andare alla meravigliosa vibrazione del mantra che all’improvviso catturò la mia mente dirigendola esclusivamente all’ascolto di quel suono ripetitivo e martellante e, nello stesso tempo, dolce e suadente. Chiusi i finestrini, spensi la radio e mi lasciai andare all’ascolto, chiudendo gli occhi, estraniandomi da tutto ciò che mi circondava. Quando puntualmente l’auto che mi stava dietro suonò il clacson perché era apparso il verde, mi risvegliai dal torpore. Ripresi la marcia con calma, mi sentivo serena, tranquilla, in pace con il mondo e per tutta la giornata conservai questo stato di beatitudine. Da quel giorno, tutte le mattine non vedevo l’ora di arrivare a quel semaforo, sperare che scattasse il rosso, per avere quei meravigliosi minuti di ozio della mente, di pace dello spirito; visualizzavo prati verdi e acqua cristallina, gocce di sole che scendevano su di me a riscaldarmi l’anima. Tre minuti, solo tre minuti al giorno, e la tua vita può cambiare.
Semaforo rosso testo di antos