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Ove sta la spensieratezza
Del fu me stesso quindicenne,
Quel vigore che appar perenne
Che della Vita n’è l’ebbrezza?
E quegli amori da cortile
Dai saturissimi colori,
Tanto fragili quanto i fiori,
Che germogliar faceva Aprile?
Ah, fossi stato più istruito
Che il futuro è un tal sordo inganno,
Giammai dato m’avrei l’affanno
Esser un dì adulto uscito.
Che serve venir tanto eccelso
E patire quest’agonia,
Se inutil’è la nostalgia
Del dolce frutto ch’è del gelso?
Ci va coraggio, è da demente,
Nutrire i giovani a cianuro:
“Lo sai, figlio, che il tuo futuro
Prima che nasca è già morente?”.
Benedetta età di passione,
Ove tutto è un assoluto,
Cordiale giunga il mio saluto:
Ch’abbiate sempre un anfitrione.
No, non spegnetela, ragazzi,
Quella luce negli occhi vostri:
Qua fuori è buio, pien di mostri,
Immense folle di pupazzi.
E quando a forza quell’età
Vi lascerete a piè deciso,
Sul volto audace un gran sorriso
Speme sia all’Umanità.