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SCAPPAVO DA ME
di Alberto Farina
Scappavo da me.
Scappavo dalla polizia.
Non so perché.
Forse perché a volte nella vita ti senti colpevole anche quando non hai fatto niente.
Entro nella metro di corsa.
Non so dove vado, ma scendo lo stesso.
È buia, umida, silenziosa.
Sembra il mio cervello quando pensa troppo.
Con me c’è la mia ragazza.
Lei, che da sempre prova a guarirmi con dolcezza,
quasi come se l’amore fosse una terapia alternativa…
non approvata dall’AIFA.
Mi guida tra corridoi che non portano da nessuna parte.
Poi la vedo: una senzatetto, ferma sulle scale, lo sguardo perso.
Le cadono i capelli — e uno, inspiegabilmente, finisce nella mia mano.
Mi dice piano:
«Tieni. Ti servirà.»
Resto immobile.
Quel capello pesa più di mille pensieri.
Mi sento sporco, curioso, confuso.
Come se mi avesse lasciato un pezzo di dolore.
E dietro di lei… una porta.
Da lì arriva musica, risate, luci colorate.
La vita vera, quella spensierata,
che sembra chiamarmi da lontano.
Solo che non riesco a muovermi.
Resto lì, davanti a quella donna,
come se dovessi attraversare la mia paura
prima di poter tornare a sorridere.
Mi sveglio di colpo.
Il cuore corre più veloce del sogno.
Sul comodino: solo silenzio.
Ma dentro di me, c’è ancora quella porta chiusa.
Forse voleva dirmi qualcosa:
che prima di essere felici
bisogna guardare in faccia
le parti di noi che fanno paura.
O forse no.
Forse era solo un sogno assurdo.
Ma se un sogno ti resta addosso così,
allora qualcosa, dentro, l’ha davvero toccato.
E io rido.
Perché alla fine, persino la mia mente,
ha trovato il modo più assurdo
per dirmi che ho ancora qualcosa da capire.
Nota poetica
Un sogno surreale tra fughe, paure e una senzatetto che regala un capello.
Tra ironia e introspezione, un viaggio nella mente di chi scappa da sé stesso solo per scoprire che, a volte, l’unico rifugio possibile… è restare, incredibilmente vivo.
Poesia di Alberto Farina (albertx2007)