Mamma Assunta di Carmelo Coppolino Billè

scritto da cobica
Scritto 16 anni fa • Pubblicato 16 anni fa • Revisionato 16 anni fa
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Pubblicazione integrale del libro (rivisto e corretto) scusate x l'inconveniente
- Nota dell'autore cobica

Testo: Mamma Assunta di Carmelo Coppolino Billè
di cobica

PREFAZIONE
E’ una narrazione suddivisa in tredici capitoli di varia stesura. L’ A. nel presente testo fa compiere al lettore un coinvolgente viaggio attraverso alcuni segmenti salienti della propria vita intersecati dalla presenza di Assunta Di Giorno conosciuta casualmente quando era ragazzo.
Due vite entrate in assoluta sintonia come per un disegno misterioso. Difatti, quanto si coglie nel solco della scrittura di Carmelo Coppolino Billè ha sotto certi aspetti qualcosa di “incredibile” soprattutto per gli scettici.
Chi è Assunta Di Giorno? E’ una creatura, dice l’A., la cui nascita è avvenuta “a Verbicaro, un Comune della provincia di Cosenza, un angolo della Calabria, attorniato dalla valle e dal piccolo Comune di Orsomarso, dove i ricordi si arrampicano nel tempo, facendo rivivere quelle zone che hanno visto oltre i natali lo stesso svezzamento di lei i cui occhi pieni di lacrime conservano ancora quei momenti di vita che l’ hanno allacciata come un cordone ombelicale alle radici della sua terra e della sua gente…
Infatti si parla del 1930, la sua data di nascita. E’ figlia di una famiglia di nove figli. Suo padre, pace all’anima sua, col vizio del bere, divenendo alcolizzato e manesco, le toglieva dal vivere quella parola che si chiama “sorriso” che mai ha avuto la fortuna di vedere approdare sul suo viso…”.(Pag.12). Questo quadro relativo all’ambiente soprattutto familiare cala subito il lettore in un’atmosfera alquanto eloquente per quanto concerne la vita di Assunta Di Giorno la quale a causa della guerra del 1939-‘45 e delle molteplici sofferenze diventa “...una martire ancora bambina alla ricerca della favola o di quei racconti leggendari di cui la mente di una bimba si nutre… Invece, disturbata dalla malvagità di taluni uomini, si vedeva immersa in quella realtà non fiaba e nemmeno sogno... “Mamma” Assunta non ha mai potuto cancellare questo passaggio della sua giovinezza, perché, anche se giovane, doveva interpretare la parte dell’adulta…”.(Pag.15). E’ una fase esistenziale davvero traumatica che rende questa creatura vittima della scellerata violenza di uomini spregevoli che purtroppo non mancano mai in ogni tempo e spazio.
Uno dei tanti torti che le viene rimproverato duramente è “… il dono di percepire quanto succedeva ai suoi compaesani morti in guerra, additandoli con nome e cognome. Si confidava solo con sua cugina Cettina ed insieme andavano alla posta dove appuravano la verità per mezzo del fonogramma. A casa, se alla madre raccontava qualcosa inerente ai fonogrammi, veniva duramente bastonata. Tutti i giorni questa vita...”. (Pagg.17). La madre giustamente non si rende conto di siffatto mistero e spesso apostrofa la figlia con parole angosciate: “Come fai a sapere queste cose? Chi sei?”. (Pag.17).
Nell’ambiente di Assunta Di Giorno, chiamata affettuosamente “mamma” Assunta, regnavano all’unisono la povertà e la fame. Difatti, la madre “... incitava le figlie ad andare nell’alta montagna dove c’era gente che lavorava…”.(Pag.18). Di solito Assunta andava con la sorella Dora, ... per portare da mangiare agli uomini. Era tanta la fame che neanche il loro cuore si accorgeva che le due bimbe non avevano mangiato nulla. La fame in esse imperava ed erano costrette a raccogliere di nascosto ciò che gli uomini buttavano e lo mangiavano”.(Pag.19). E’ senza dubbio una riprovevole scena realistica di innocenza umiliata.
Persino “... alle sventure accidentali si accavallavano quelle della famiglia. Quando non era pronto da mangiare, era trattata molto male”.(Pag.19). Ovviamente è una vera e propria violenza all’interno dei muri domestici. Di scottante attualità.
Nonostante tutto questa donna cerca “di reagire come una barca alla deriva nelle onde tempestose del mare”. (Pag.19).
Comunque i guai più seri per questa donna arriveranno allorquando “...le visioni della Madonna sono sempre presenti in ogni angolo della sua vita, ma sempre utilizzate per distribuire del bene all’umanità”.(Pag.20).
Come se ciò non fosse sufficiente, “mamma” Assunta ricorda che all’età di sei o sette anni “era sospinta, non sapremo mai da che cosa, ad avvicinarsi alle tombe e colloquiare con i defunti, vederli magari vissuti in epoche diverse ma che facevano di lei la portavoce di qualcosa di strano ma anche di miracoloso...”.(Pag.20). Il lettore senza alcun dubbio si trova davanti ad un assoluto mistero che solo la viva Fede può penetrare. O si accetta o si ricusa.
Questa donna “... ha lottato nel contesto di una guerra, conoscendo la fame, la miseria”.(Pag.26). Eppure non si è data mai per vinta, finché la “brutalità degli uomini si avvera ... Tutt’oggi rimangono in lei delle ferite che neanche il tempo può rimarginare. Non essendo ancora pronta per divenire mamma, da quella violenza partorisce un figlio, unificando l’amore di madre a quel dolore che la trascina nella vergogna del paese e di quanti la conoscevano. E’ proprio questo dolore che la spinge al suicidio ...”.(Pag.26). Che cosa dire “quando le tolgono il bimbo che non è frutto dell’amore, ma solo concepito contro la sua volontà e voleva tenere con tutta la forza di giovane madre, anche se il padre si era perso nel nulla” ?(Pag.26). E’ proprio il calvario di una ragazza-madre che induce alla ribellione persino “l’opinione pubblica di quelle vallate dove la giovane donna con il suo mulo faceva la spola, portando legna, fieno...”. (Pagg.26-27). Orbene simile comportamento dell’allora giovane “mamma” Assunta può essere oggi additato indubbiamente quale luminoso esempio di grande fermezza d’animo e di intenso amore materno a quelle donne maggiorenni o minorenni le quali in analoghe indesiderate situazioni preferiscono sbarazzarsi della loro innocente creatura, non riconoscendola in ospedale oppure, peggio ancora, farne un fagotto e depositarlo in un contenitore di nettezza urbana o altrove, quando non decidono impietosamente di buttarlo nello scarico di un gabinetto o da chissà quale altezza di edificio. Abominevole!
La violenza fisica e psicologica, la vergogna nel paese, la scomparsa del padre del bambino, la sottrazione del minore che si uniscono dolorosamente alla tubercolosi, al rischio di una cancrena al ginocchio, alla costrizione di prendere marito, all’annullamento di matrimonio, alla morte del genitore e a tanti altri patimenti, inducono “mamma” Assunta spesso a farla finita con la vita, venendo sempre salvata in extremis da mani provvidenziali come quelle di “...una bambina che allora aveva dieci anni e che tuttora vive e si chiama Silvia delle Serre e da un ragazzo, cugino di Silvia, i quali tagliano la corda...”.(Pag.31).
Inoltre questa donna passa da un impiego di lavoro all’altro in diversi istituti pubblici dove conosce spesso gelosie e menzogne. Presta servizio anche in alcune famiglie borghesi nelle vesti di badante a persone della terza età.
Ella si trova persino ad “assistere il novantenne brigante Musolino che tanto fece parlare le cronache dell’epoca”.(Pag.38).
Per questa martire della vita “Le bufere erano dietro l’angolo pronte a colpire ancora... questa donna che, volgendosi al Padre Eterno, disse: “Ma cosa avrò fatto di male, per meritare questa vita?”.(Pag.42).
E’ una disperata domanda scaturita dal fatto che “... il suo bambino colpito da una infezione ai reni è grave e lei viene consigliata dai medici a portarselo a casa, poiché ormai gli rimangono pochi giorni di vita... Abbandonata a se stessa per la disperazione di perdere il figlio, unico scopo di vita, ritenta il suicidio, buttandosi da un terrazzo... Mentre è sul ciglio del precipizio all’improvviso una mano alla gola la indietreggia, lei si guarda attorno, ma non vede nessuno”.(Pagg.42-43). Tutto è circonfuso da un alone di mistero che non può non lasciare il lettore frastornato.
A questo punto la vita di “mamma” Assunta subisce una svolta decisiva in virtù della sua amica Agatina “la quale le dice che il Padre Eterno non vuole che lei faccia quella fine e le consiglia di andare a trovare Padre Pio che fino a quel momento non aveva mai sentito nominare...”. (Pag.43).
Come il lettore potrà notare, tale incontro, che avviene in un ambiente di intensa preghiera, di profonda riflessione e di sentita confessione, è assolutamente singolare sia per la straordinaria personalità dell’allora Padre Pio, oggi Santo, sia per Assunta Di Giorno, una creatura fortemente bisognosa di sostegno materiale e morale.
Dopo siffatto incontro dal quale è nata spontaneamente una spirituale intesa, l’A. continua a seguire “mamma” Assunta con grande stima nei suoi spostamenti, ultimo quello a Messina, presso la famiglia del commendatore Tertulliano.
Dopo tante vicissitudini “mamma” Assunta oggi vive con l’attuale marito Carmelo, una persona semplice e con tanta fede in Dio, che l’asseconda nei momenti di tristezza, nella contrada Marotta sulla collina di Curcuraci...”.(Pag.59). Tale contrada di Curcuraci “... è divenuta già meta di pellegrinaggio e qualcuno giunge persino a gridare ai miracoli!”.(Pag.59).
Indi l’ A., dopo avere narrato le tribolazioni riferite da “mamma” Assunta, passa a puntualizzare in dodici capitoli più o meno estesi i suoi incontri con quella che egli chiama con indimenticabile riconoscenza “salvatrice del mio percorso terreno”.(Pag.81).
Durante tali incontri l’A. espone con intensa emozione il percorso della sempre più approfondita conoscenza e salda fiducia in “mamma” Assunta alla quale egli ricorre in diverse circostanze difficili, per chiedere di pregare Padre Pio, acché interceda presso Dio ai fini di una propria o altrui auspicata guarigione.
Sono incontri sinceri, misurati, dignitosi avvenuti sin da quando all’ A., allievo presso il collegio della “Città del ragazzo” di padre Nino Trovato a Gravitelli, Messina, è apparsa per la prima volta, come una visione “mamma” Assunta. Infatti, “... noi ragazzi volevamo scoprire chi dietro ai cancelli mettesse cioccolata, caramelle, pan di cena, vestiti e altro. Decidemmo ...di nasconderci con lo sguardo fisso verso i cancelli d’uscita... D’un tratto vedemmo una figura di donna avvolta in un grande scialle in testa che le copriva anche il viso, avvicinarsi al cancello chiuso, con due enormi sacchi di stoffa bianca che posava dietro le sbarre e poi spariva nel nulla. Un colpo di vento però svelò a noi bambini che quella era “mamma” Assunta, confermatoci da un’ anziana signora che dal balconcino di fronte da tempo vedeva il ripetersi della scena”.(Pagg.65). L’ A., non contento di ciò, vuole conoscere meglio quella benefattrice. Difatti: “Caparbio volli conoscerla e aspettai il suo arrivo. Si avvicinò al cancello... ma questa volta nascosto dietro la siepe c’ero io. Uscii come un coniglietto spaurito e mi chiese: “Come ti chiami?” ed io risposi: “Carmelo”. Mi diede una immagine della Madonna e un bacio. Anche questa volta scomparve nel nulla da dove era venuta”.(Pag.65). Che vivacità descrittiva e genuinità di sentimenti!
L’A. con coraggio e nel contempo con disarmante candore racconta episodi della propria esistenza farcita da esperienze vissute con grande angoscia, cercando di arginare onde tracimanti di un destino talora arcigno.
Tuttavia egli lotta con tutte le forze di cui dispone, ricorrendo fiduciosamente a “mamma” Assunta divenuta “figlia spirituale” di San Pio.
Il lettore quindi attraversa un testo non solo grondante di disperazione, di povertà, di ignoranza, di egoismo, di pregiudizi, di paura, di sfiducia ma anche di solidarietà, di preghiera, di speranza. Per questi motivi il testo suscita diverse onde emotive che fluttuano e sbattono con varia forza tra gli scogli spigolosi della vita, mentre gli spruzzi si perdono nell’infinito
Da ultimo va notato che lo stile di Carmelo Coppolino Billè è tipico della parlata quotidiana la quale possiede per sua natura una particolare vivezza espressiva.


San Filippo del Mela, 30/01/2007 Giuseppe Anania



“La fede e la ragione sono
come due ali, con le quali
lo spirito umano s’innalza
verso la contemplazione
della verità”

PAPA GIOVANNI PAOLO II





“MAMMA” ASSUNTA

E’ nata a Verbicaro, un Comune della provincia di Cosenza, un angolo della Calabria, attorniato dalla valle e dal piccolo Comune di Orsomarso, dove i ricordi si arrampicano nel tempo, facendo rivivere quelle zone che hanno visto oltre i natali lo stesso svezzamento di lei i cui occhi pieni di lacrime conservano ancora quei momenti di vita che l’ hanno allacciata come un cordone ombelicale alle radici della sua terra e della sua gente. Con lo sguardo nel vuoto rivive il passato che è stato una tortura nel proseguimento degli anni. Infatti si parla del 1930, la sua data di nascita. E’ figlia di una famiglia con nove figli. Suo padre, pace all’anima sua, col vizio del bere, divenendo alcolizzato e manesco, le toglieva dal vivere quella parola che si chiama “sorriso”, che mai ha avuto la fortuna di vedere approdare sul suo viso. Specie in quel periodo in cui l’Italia gridava fame per la guerra. Inoltre non solo la terra calabra ma anche tutto il Meridione d’Italia, pur possedendo molte bellezze naturali che rimangono un ricco patrimonio del nostro Paese, avevano fame di lavoro per i giovani con un futuro incerto.La guerra del 1939-1945, fu un momento durissimo per la gente ormai provata dal caos in cui il nostro Paese si era immesso. Ad Assuntina, ancora quindicenne, il mondo crolla addosso. Sentiva spari, odore di morte in ogni angolo della sua terra natia, in una cornice di orrore ove l’ambiente parlava del passato. Proprio quel passato si tuffa nel presente, facendo emergere la vera esistenza di Assunta e non solo di essa.Frantumando, insieme con il dimenticare in fretta, i segni lasciati sotto l’egida del suo essere donna, cercava nel tempo di rammendare quanto si era scucito, magari rattoppando quelle ferite ch’erano ben visibili. Senza poter mostrare il suo essere donna, come un vestito lacerato attraverso il quale si intravedono le carni, ella si estraniava sempre più in quel presente, senza una visione adatta. Conserva tutt’ora vivi i ricordi dentro gli occhi che hanno visto, tacendo, l’orrore della guerra e quelle torture che fecero di lei una martire ancor bambina alla ricerca della favola o di quei racconti leggendari di cui la mente di una bimba si nutre, sigillando il lieto fine del principe azzurro sul cavallo bianco, quindi divenendo la principessa di un sogno. Invece, disturbata dalla malvagità di taluni uomini, si vedeva immersa in quella realtà non fiaba e nemmeno sogno. La fantasia trasportata da un lieve soffio di vento scompariva all’orizzonte, incrociando eventi e ferite che sanguinanti hanno accompagnato il dopo. “Mamma” Assunta non ha mai potuto cancellare questo passaggio della sua giovinezza, perché, anche se giovane, doveva interpretare la parte dell’adulta. Questo è terribile e difficile per una bambina in quel tratto di vita rubato alla sua innocenza. Il vivere quotidiano la vedeva sempre artefice, additata ed insidiata nello stesso tempo dalla cattiveria di alcuni uomini. Rimanendo forte nello spirito, malgrado le troppe cadute, sempre riusciva a rialzarsi per quegli ideali che costruiva solo con la fantasia o apparivano nei sogni di bimba. Già da piccola aveva il dono di percepire quanto succedeva ai suoi compaesani morti in guerra, additandoli con nome e cognome. Si confidava solo con sua cugina Cettina ed insieme andavano alla posta dove appuravano la verità per mezzo del fonogramma. A casa, se alla madre raccontava qualcosa inerente ai fonogrammi, veniva duramente bastonata. Tutti i giorni questa vita. Quello che colpisce di più sua madre, che da quel momento non la picchia più, è la morte dei fratelli Michele e Giuseppe Laurenzi. Nelle sue apparizioni Assunta vede Michele calzare un paio di stivali lucidi. Lo dice a sua madre la quale per reazione le prende la testa e gliela sbatte al muro. Come sempre lei e la cugina Cettina alla posta apprendono la morte dei fratelli Laurenzi. La notizia si è sparsa subito, tanto che partono l’arciprete e il sindaco a portare il fonogramma ai genitori dei Laurenzi. Passano davanti la casa di Assunta. La madre è intenta a pulire il marciapiede e Assunta le fa notare che questi portano il fonogramma. La madre perplessa si rivolge alla figlia: "Come fai a sapere queste cose? Chi sei?". La madre le confessa a questo punto che, da quando è nata, lei non è stata più bene in salute. Queste parole hanno lasciato un segno di dolore e di rimorso che ancora oggi echeggiano nel suo spirito. Si domanda cosa ha avuto sua madre di tanto grave da farla stare male. Non ha mai trovato una risposta ben precisa. Tra un racconto e l’altro il pensiero di “mamma” Assunta approda a un episodio accadutole insieme con la sorella Dora. La fame imperversava e neanche il cuore di una madre poteva arrestare quei momenti e quindi incitava le figlie ad andare nell’alta montagna dove c’era gente che lavorava. Ben sei ore per arrivare lì da Verbicaro! In una delle tante andate Assunta è morsa al piede da un serpente. Dora, dettata dalla voce tremante di Assunta, stringe un laccio intorno alla ferita, cerca una pietra tagliente e con il coraggio di un’adulta la scaglia con forza sulla piccola ferita e fa fuoriuscire il sangue avvelenato. Poi si avviano verso casa. Spaventate e atterrite raccontano quanto avevano vissuto, chiedendo alla madre di far vedere la ferita ad uno dei tre medici di Verbicaro. Ma la madre prontamente risponde che non ne vale la pena, perché la ferita sarebbe guarita. Invece la realtà era ben diversa. Passano sei mesi e la gamba di Assuntina si stava storcendo. Qualcosa di serio quindi era successo. Malgrado il dolore del piede e di tutta la gamba, lei continuava a salire su quei monti, per portare da mangiare agli uomini. Era tanta la fame che neanche il loro cuore si accorgeva che le due bimbe non avevano mangiato nulla. La fame in esse imperava ed erano costrette a raccogliere e mangiare di nascosto ciò che gli uomini buttavano. La gamba continuava a peggiorare talmente che chiunque la vedesse, le chiedeva che cosa avesse avuto. E’ così che si decide di andare dal nonno paterno il quale le pratica impacchi di bicarbonato e di limone e in tal modo piano piano essa incomincia a migliorare. Ricorda tra l’altro che alle sventure accidentali si accavallavano quelle della famiglia. Quando non era pronto da mangiare, era trattata molto male. Assunta continua con uno scioglilingua, come se i fotogrammi le passassero davanti agli occhi lucidi e alle sopracciglia arricciate per quello che ha dovuto vedere e subire nella sua vita, cercando di reagire come una barca alla deriva nelle onde tempestose del mare. A questo punto si evince che questa donna parla con i morti; che le visioni della Madonna sono sempre presenti in ogni angolo della sua vita, ma sempre utilizzate per distribuire del bene all’umanità. Continua a sfogliare la mente intasata da questi avvenimenti. Ricorda che era molto piccola, aveva sei o sette anni. Attratta da queste visioni, era sospinta, non sapremo mai da che cosa, ad avvicinarsi alle tombe e colloquiare con i defunti, vederli magari vissuti in epoche diverse ma che facevano di lei la portavoce di qualcosa di strano ma anche di miracoloso, perché forse lei si muoveva senza volerlo e magari si ritrovava senza saperlo in quel luogo dove sta scritta per i terreni la fine, anche se lei sa benissimo che la fine non è, in quanto la materia continua il suo corso, trasformandosi in tante piccole cellule. Ancora una volta, si ripete, lei non è la causa dei malanni di sua madre. Ella ripassa in mente i momenti in cui un giorno sua madre si sente male e con voce innocente le chiede se può essere di aiuto. La madre le risponde che è ancora troppo piccola. La figlia insiste tanto che la madre le dice che desidera semplicemente una po’ di caffè. La fanciulla non sa a chi chiederlo né dove prenderlo e si rifugia nella sua stanza, inginocchiandosi in preghiera davanti al quadro della Madonna del Petteruto. Ad un tratto, senza sapere come e perché, Assunta cade a terra, apparendole in visione la Madonna del Quadro che dialoga con lei come se fosse una figura familiare e le chiede dove possa prendere il caffè. Queste le parole della Madonna: "Va’ da Margherita Ogliastri e dille che ti mando io. Nella soffitta c’è una cassa con biancheria e sotto troverai una scatola di caffè". Tutta sudata si alza da terra e non vede l’ora di raccontarlo a sua madre la quale chiede come sia la Madonna e se l’abbia vista con una macchia rossa di sangue procurata da una coltellata. Si avvia da Margherita, la trova intenta a cucinare e le racconta quanto le era accaduto. Margherita le risponde che da anni non possiede caffè, ma, uditi tutti i particolari, invita la giovane a salire in soffitta con lei. Aprono la panca e sotto la biancheria c’è veramente il caffè. Tutto il paese viene a conoscenza di questa visione e del caffè ritrovato. Ora si accinge a parlare della sorella Dora, alla quale era molto legata, un fiore di bellezza conservato dagli occhi che l’ hanno vista. Così continua: "Il 7 giugno 1940, siamo andate a raccogliere il grano. Mentre eravamo intente al nostro lavoro, mi giro e la vedo pallida in viso e sudata. Le chiedo se sia stata morsa da qualche serpente e lei con una fievole voce mi risponde: "Chiama papà". Assunta allarmata chiama suo padre il quale accorre per soccorrere Dora alla quale chiede se sia stata morsa da qualche animale. Niente di tutto questo, anzi la giovane risponde che le era apparso un uomo bellissimo, il quale le aveva predetto che fra trenta giorni sarebbe dovuta morire. Il padre la riporta a casa e da quel momento incomincia il calvario di Dora. Un giorno, vanno a casa di Stefana Bellucci colei che l’aveva battezzata e Dora le chiede: "Se mi sposerò, mi regalerai il tuo abito da sposa?", Stefana a questa richiesta rimane scioccata e, per non scontentarla, prende il vestito e glielo fa provare. Il 6 luglio, sabato mattina, Dora chiede a papà di comprarle un paio di scarpe bianche. Il padre cerca di accontentarla. Va al mercatino del rione e le compra un paio di scarpe non bianche ma di colore avana chiaro. Durante la notte il padre la sorveglia insieme ad Assuntina. Ad un certo punto Dora allontana papà con la scusa di andarle a prendere un bicchiere d’acqua e incomincia a pregare: "O bella mia Maria, o cuore mio Gesù, Vi do il mio cuore che io non voglio più. Spirito Santo, mio amoroso, dal cielo una grazia voglio. Dal cielo una grazia aspetto. Dal cielo una grazia voglio. Fammi la grazia!". Ripete questa supplica per ben tre volte. Gira gli occhi in cielo e ad Assunta sembra già morta. Assuntina si mette a gridare presa dalla disperazione. Accorrono tutti, ma si rendono conto che Dora ancora respira. Prendono Assunta e la bastonano. La domenica mattina la madre manda Assuntina insieme con i fratelli a Prestieri, per raccogliere le spighe di grano. Dora, al sentire ciò, le raccomanda di fare rientro presto, altrimenti non la vedrebbero più. Lungo la strada vicino l’abbeveratoio dei muli una fila di serpenti blocca la strada ai ragazzi. Un segno! Ritornano indietro. Sono quasi le dieci e Dora entra in agonia e a mezzogiorno preciso sale al cielo. Tutto il paese è presente al funerale per questa morte già annunziata la quale si porta anche un enorme mistero. La sua giovane età mobilita tutto il paese con corone e fiori per tributare onore all’ultimo momento dell’addio. Tutti i vicini di casa, come usanza in quei luoghi, fanno a turno per portare da mangiare alla famiglia. Ancora la tragedia continua. Si ammala Mela, la sorella più grande con febbre a 40° e si presume una intossicazione viscerale. Per quaranta giorni Assuntina fa la spola tra casa per assistere Mela e il cimitero. Un giorno, ad Assunta nel cimitero ai piedi della tomba appare Dora: "Non venire più, perché ti vedo soffrire e patisco anch’io. Devi dire alla mamma di non ricevere più cibo, altrimenti Mela muore". Assuntina corre subito a casa e racconta questa ennesima visione alla madre. Bussano alla porta, presentandosi con la cena pronta, ma la madre risponde che per motivi di famiglia non può più accettare cibo da nessuno. Così si prepara ad accendere il fuoco e allestire la cena. Il primo piatto viene portato a Mela la quale lo rifiuta, dicendo che sta per morire, ma con insistenza Assuntina riesce a farglielo mangiare. La mattina seguente, Mela si alza, perché sta bene. Mela ed Assuntina cercano di riprendere la vita di sempre, non dimenticando Dora e quelle visioni avute in particolari momenti di vita vissuta. Un giorno, entrambe erano per i campi, e stanche stavano riposando l’una appoggiata all’altra. Ad un tratto Assunta si alza e corre incontro a quest’altra visione di Dora avvolta in una nuvola celeste, con un vestito celeste e con un bambino in braccio. Rico, il fratellino di due anni! Dora si rivolge ad Assunta e le dice di andare a casa e di dire alla mamma che Rico è con lei e di non piangere la loro morte. Passa di lì un contadino di nome Nato Valenti che, vedendola sconvolta, le chiede cosa abbia. Assunta gli racconta quella visione e lui la consiglia di andare subito a casa. Arrivate, vedono tanta gente accorsa, perché Rico era morto. Dopo sei mesi dalla morte, Assunta chiede al padre di fare una tomba al piccolo Rico che era stato seppellito nella terra. Con grande stupore non hanno trovato il corpicino del bambino. Questo si aggiunge a tutti i misteri di “mamma” Assunta.Mentre racconta, “mamma” Assunta si sente un nodo in gola che porta da sempre. Sul viso traspare l’espressione impressa dalla tortura di quei ricordi che le inumidiscono ancora gli occhi e con un gesto istintivo vorrebbe cancellarli, portandosi le mani alla fronte. La voce diviene fievole invece di essere accompagnata da un grido liberatorio da tutto ciò che per anni ha conservato dentro l’animo, come quel quadro che ha imbrattato il suo passato con quei segni che tutt’oggi si evidenziano sul suo corpo e difficilmente può dimenticare. Assunta ha lottato nel contesto di una guerra, conoscendo la fame, la miseria. Nonostante ciò continuava la vita di sempre, ma quel corpo di giovane e bella donna diveniva un piatto prelibato per chi non conosceva il vero senso dell’amore ma solo il desiderio che va via in un momento, lasciando tante ferite al proseguimento e questa brutalità degli uomini si avvera. Fa emergere il pianto, ponendolo accanto alla sua adolescenza che vede ancora una volta la bestialità dell’uomo la quale non recita amore ma solo violenza carnale. Tutt’oggi rimangono in lei delle ferite che neanche il tempo può rimarginare. Non essendo ancora pronta per divenire mamma, da quella violenza partorisce un figlio, unificando l’amore di madre a quel dolore che la trascina nella vergogna del paese e di quanti la conoscevano. E’ proprio questo dolore che la spinge al suicidio, quando le tolgono il bimbo che non è frutto dell’amore, ma solo concepito contro la sua volontà e voleva tenere con tutta la forza di giovane madre, anche se il padre si era perso nel nulla. Questo scandalo ribella anche l’opinione pubblica di quelle vallate dove la giovane donna con il suo mulo faceva la spola, portando legna, fieno e quant’altro. Gli anni si accavallavano con quelle visioni e regole di vita che divenivano, tra l’altro, l’espressione del vivere, tirando fuori un sospiro tanto forte che solo lei poteva definire rabbia covata dentro il suo corpo, guardando quel bimbo che da lì a poco le sarà sottratto.
Dopo tre giorni dalla nascita del bambino si presenta la madre di Assunta in ospedale, per vederlo. Assunta per paura che le venga tolto, lo nasconde sotto il braccio sinistro coperto dal lenzuolo, mentre la madre guarda tutti quei bambini che le passano accanto alla ricerca di un visino a lei familiare. Assunta capisce l’intento di sua madre e le si rivolge, dicendole: ”Mamma, stai cercando mio figlio?”. La madre le risponde: “Vorrei vederlo anche solo un minuto”. Assuntina alza il lenzuolo e glielo fa vedere. La madre alla vista del bambino cade a terra per un infarto. A questo punto accorrono tutti: medici, infermieri e suore. I familiari dicono ad Assunta che se sua madre morisse, ucciderebbero lei e il bambino. Il dolore più atroce che Assunta ha mai provato in tutta la sua vita e che ancora oggi al solo ricordo le si riempiono gli occhi di lacrime, è stato quando dopo il sesto giorno sempre con le solite minacce, malgrado la sua volontà in preda al dramma, acconsentiva l’affidamento solo con la clausola: non appena avrebbe raggiunto la maggiore età, rivoleva suo figlio, per crescerlo come una madre sa fare. Mentre allatta al seno il bambino, si avvicina la suora, per prenderlo e portarlo via. Il suo dolore è tanto forte che, malgrado i punti di sutura, si alza dal letto, accompagnando con lo sguardo il figlioletto come per dare l’ultimo addio, ma dopo qualche metro crolla a terra in una pozza di sangue. Per questo vuoto immesso nel silenzio la donna non trova pace. Ormai l’unico scopo della sua vita era quel bimbo e viveva solo per lui. La sua bellezza di donna era così appariscente che tanti la volevano in sposa e lei costantemente rifiutava. Tra i giovanotti il nipote del federale Ulisse Scorza, di nome Adamo, era sempre presente con alcune lettere alla famiglia, chiedendo in sposa Assunta. Nel frattempo sua madre e una zia dopo le continue rinunce di Assuntina a sposarsi, le fanno pervenire una lettera con la quale comunicavano che il bambino non ce l’aveva fatta e quindi lasciava questa vita terrena. Lo scopo di sua madre e di sua zia era quello di far convolare a nozze Assunta, pensando che, non avendo più da pensare al bambino, ella avrebbe acconsentito a ricostruirsi una vita insieme con lo Scorza oppure con il militare americano che l’avrebbe portata in America e fatta diventare ricca.
In uno dei momenti di sconforto Assuntina tenta il suicidio, impiccandosi, per lasciare definitivamente questo mondo che le aveva recato tanto dolore. Nessuno mai aveva potuto trovare l’antidoto per farla uscire dal tunnel dove, senza volerlo e senza colpe, si era trovata sola con la sua anima, trascinando i giorni che le apparivano più lunghi del normale, contando le albe e il calare del sole. E’ salvata in extremis dal tentativo di suicidio da una bambina che allora aveva dieci anni e che tuttora vive e si chiama Silvia delle Serre e da un ragazzo, cugino di Silvia, i quali tagliano la corda e possono testimoniare il fatto. La polizia e i medici interrogavano i presenti, perché credevano che fosse stato un tentato omicidio dei familiari, ma Assuntina con un filo di voce riesce appena a dire che si era impiccata da sola, perché voleva farla finita con una vita di sofferenze e di dolori. Dopo questo gesto i familiari le svelano che il bambino era vivo e che chiamava sempre la mamma. Le dicono inoltre che, se lei acconsentisse a sposare Scorza, potrebbe riprendersi suo figlio. E così è. La mattina seguente, alle cinque, si sposa e alle sei prende il pullman, per andare a Cosenza e riprendersi il figlio.
Finalmente arriva il giorno di riavere il bambino e la famiglia così è riunita: mamma e figlio. Il motivo di continuare a vivere cresceva insieme al piccolo angelo che a questo punto può essere definito mandato da Dio... Intanto i giorni, i mesi, gli anni si confondevano tra loro, non avendo scadenze immediate ma col sorriso impacciato e sincero che quella madre aveva ritrovato.
Assuntina, arrivata a Cosenza, scopre che il bambino non era più in brefotrofio, ma era stato affidato ad una famiglia benestante di Castiglione Cosentino, la quale aveva versato 400.000 lire, per poter avere il bambino. A questa notizia Assunta si scaglia contro il responsabile del brefotrofio, minacciando di denunziare il tutto alla giustizia, per aver venduto suo figlio e, se non le fosse stato restituito, lei avrebbe tentato ancora una volta il suicidio, buttandosi sotto il treno. A queste parole il baliatico, di nome Giaco, senza pensarci due volte, l’accompagna da questa famiglia e le pone nelle braccia il bambino. Ritorna in paese con la felicità stampata nel volto, per aver sentito per la prima volta la parola “mamma”, che le fa scorrere ancora più veloce il sangue nelle sue vene. Arriva in paese dove la voce già si sparge del ritorno di lei con il figlioletto, e tutti l’accolgono con abbracci e sorrisi che evidenziano l’affetto per una donna che aveva sofferto tanto; lo stesso Scorza le va incontro, gridando: “Questo è mio figlio!”.
I giorni trascorrevano finalmente sereni. Il bambino, raggiunto quell’affetto che solo la madre gli poteva dare, cresceva bene in salute, evidenziando che l’amore è l’unico alimento per la crescita di un essere. La quiete e la felicità sono turbate un giorno comune, come tanti altri giorni, dall’arrivo dei carabinieri che portano Assuntina in caserma dove le comunicano che suo marito era stato arrestato e che dovrà scontare trent’ anni di carcere. Quindi ancora per l’ennesima volta si sente tradita dalla vita, ritrovandosi tutt’ a un tratto sola con un bambino da crescere. Assuntina continua il suo racconto: “L’arciprete passava tutti i giorni da casa, per vedere come stessimo”.
“Figlia mia, adesso che fai?” E io: “Cosa devo fare?”. Lui mi rispondeva: “Ora scrivo una lettera ai tuoi suoceri, chiedendo loro di ospitarti e di aiutarti”. Allora mi prendo il bambino e parto. Patisco la fame insieme con il bambino. Dopo tre mesi mi ammalo ed ho un ginocchio nero come la pece. Un giorno, mio padre e mia madre, sapendo che Tuccio di Grimaldi veniva a Cosenza, gli chiedono di passare da casa dei miei suoceri per vedermi, e nel frattempo portarmi un panetto fatto in casa con frittelle di cavolfiore. Il Grimaldi, arrivato, bussa alla porta di casa e va ad aprire mia suocera. Egli le dice che era venuto a vedermi. Io ero intenta a lavare il pavimento e, nel vedermi ridotta in quello stato, esclama: "Figlia mia! Figlia mia!". Senza dire altro, se ne ritorna a Verbicaro e racconta tutto a mio padre, dicendo che Assunta sta morendo”. Allarmati da quanto è detto loro, si mobilitano nel paese, facendo una colletta la quale raggiunge la cifra di duecentocinquanta lire. Una tale cifra può dare la possibilità ad Assunta di farsi visitare da un medico, invece la stessa decide di andare direttamente in ospedale. Chiama una carrozza e si fa accompagnare al nosocomio dove i medici le riscontrano che il ginocchio sta andando in cancrena. Intanto a Verbicaro si sparge la voce che lei, abbandonato il bambino, era scappata con un medico dell’ospedale. I suoi fratelli con una reazione immediata arrivano in ospedale e la vogliono uccidere, però vedono che la realtà è tutt’altra. Prendono il bambino e se lo portano a Verbicaro e da quel momento Assuntina non mette più piede in casa della suocera. Rimane in ospedale circa un mese, riuscendo anche questa volta a sventare l’ennesimo pericolo. Nel frattempo si dà da fare tra le corsie dell’ospedale, aiutando gli ammalati sia dal punto di vista materiale sia da quello morale. Le suore e le infermiere, per aiutarla, propongono al presidente dell’ospedale, il dott. Giacinto Farinata che era anche il direttore del carcere, di assumere Assunta. In quel momento capita che una certa Gaia è pronta per espatriare in Australia, e che la stessa accudisce il padre del dottore ad Acri. Quindi lo stesso propone ad Assuntina di prendere il posto di Gaia, per superare quanto le sta accadendo, prima con le minacce della sua famiglia, poi con i tentati suicidi e con altre proposte inaccettabili. Così accetta il lavoro, per poter sostentare il suo bambino. Infatti manda interamente alla famiglia la paga di dodicimila lire al mese. Nel frattempo viene a mancare il vecchietto che lei assiste. Prima di morire, il vecchietto la raccomanda a suo figlio e le viene proposto di fare la crocerossina nella clinica del fratello del dott. Farinata a Cetraro. Qua viene riconosciuta come la moglie di Adamo Scorza e finisce male anche quest’altra avventura.
Ritornata al proprio paese, decide di chiedere l’annullamento del matrimonio religioso, poi si rivolge all’avvocato Urbani e così inizia il processo al tribunale di Cosenza, ottenendo la separazione. Dopo poco tempo viene a mancare suo padre e così si chiude un’altra parentesi amara e penosa della sua vita.
Assunta continua nel suo racconto, dicendo: “Tramite il professore Turchetti mi trovai al manicomio di Reggio Calabria come infermiera, ma da lì a poco tutti o quasi tutti i ricoverati chiedevano di me, vociando nei reparti "Ecco la bella! E’ arrivata la bella!", creando un vespaio di invidia tra le colleghe presenti”. Delle angherie sopportate a causa di una collega infermiera forse per invidia o per gelosia, “mamma” Assunta non ha mai capito il perché. Questa rivalità, senza motivo, faceva parte del bagaglio della sua vita. Assunta riprende il discorso, dicendo: "E’ stata proprio l’infermiera Calabresi che a mia insaputa aveva dato l’appuntamento ad un giovane che mi corteggiava. Siccome, per portare la spazzatura, facevamo a turno, lei sapeva che quel mattino toccava a me. Si mise d’accordo con il giovane di circa trent’anni di farlo parlare con me e farmi la proposta di fuggire con lui. Infatti ebbi la conferma dallo stesso che confessò che era d’accordo con l’infermiera. Io, facendo finta di niente, dissi che dovevo prendermi alcuni effetti personali e che l’avrei raggiunto, mentre egli m’avrebbe sorvegliato il secchio. Quindi, ritornata nel reparto, affrontai la Calabresi, dicendole: "Ti eri messa d’accordo con lui. Per chi mi hai presa? Per una prostituta?" Allora lei ribatté: "Chi ti credi di essere?". Subito io: "Tu dimentichi che io ho un figlio ed ho anche la mia dignità". Le parole uscirono smisurate dall’una e dall’altra parte. Ferita nel mio orgoglio e piena di rabbia, presi una bottiglia di birra e le diedi ripetutamente dei colpi in testa ed ella cadde a terra in una pozza di sangue. A questa scena mi chiusi nella mia stanza con la paura che da un momento all’altro venissero i carabinieri a prendermi, quando sentii sussurrare una voce gentile: "Assuntina, aprimi. Dimmi quello che è successo". Era la moglie del direttore che mi conosceva bene. Le raccontai quanto capitatomi e da parte della stessa ebbi comprensione. Lo stesso giovane testimoniò a mio favore e anche quest’altra volta la scampai, però in quell’ospedale non potevo più restare. Mi portarono al manicomio di Reggio Calabria come aiutante crocerossina e nello stesso tempo dovevo assistere il novantenne brigante Musolino che tanto fece parlare le cronache dell’epoca, in quanto il terribile bandito calabro in quegli anni aveva seminato tanto terrore non solo nella città di Reggio Calabria ma anche in tutta la Calabria intera. “Mamma” Assunta fu in diretto contatto con il bandito dagli occhi dolci. Questi rispettava lei, quale crocerossina incaricata dalle forze dell’ordine a vigilare in quella casa di cura dove era stato rinchiuso. La stessa continua, raccontando: "A questa notizia la mattina seguente bussai alla sua porta nascondendo la mia paura. Gli dissi: “Buongiorno, zio Giuseppe” e lui con quella voce da poeta mi rispose: “Da dove è spuntata quest’aurora in prima mattina?”. Di rimando: “Vi ho portato il giornale”. Da quel momento cominciò a raccontarmi vari passaggi della sua vita troppo movimentata, dandomi delle delucidazioni di quanto aveva compiuto nella sua vita. Mi ha insegnato come si curano le ferite impossibili ed io ho messo in atto le sue lezioni. Feci la proposta alle suore che nel ritaglio di tempo a mia disposizione ero disposta a pulire la stanza del brigante, rendendola più abitabile. Infatti mi procurarono della calce con cui gli pitturai la stanza; pulii il materasso. Un giorno, finito di cucinare, una suora mi diede un giornale e un piatto di minestra da portare al brigante Musolino. Io per tutta risposta dissi alla suora che neanche le bestie mangiavano in quel modo e che mi doveva dare un normale tovagliolo non dico di Fiandra. A quel punto presi il piatto e glielo buttai a terra. Tutti mi presero per pazza. Anche questa volta fui allontanata. Fu così che conobbi il brigante Musolino.
Chiamata in direzione dal professore Turchetti, mi fu proposto di accudire alla mamma del cavaliere Clodoveo. In presenza dell’ispettore Ferretti, il professore illustrò ai richiedenti che ero pazzerella però brava lavoratrice senza fisime di uscire. Così accettai l’incarico, puntualizzando di non farmi fare la cameriera e il 2 maggio 1953 alle quattordici e trenta arrivai nella città dello stretto. Arrivata al mio nuovo posto di lavoro, le prime parole che sentii pronunziare dalla vecchietta furono: "Giuseppino, Angelina ha fame. Voglio carne e patate". Notai la strana coincidenza che erano gli stessi nomi di mio padre e di mia madre e perciò, rincuorata da questo, mi sentii di essere a casa mia. Mi avvicinai, le diedi un bacio sulla fronte e così iniziò la mia nuova avventura. Di solito tutte le mattine il cavaliere veniva di buon mattino per avere cura di sua mamma ma questa volta già era stata ben pulita e profumata da me. Egli mi poggiò la mano sulla spalla, dicendomi: "Brava, da tanti anni facevo questa vita". Fu così che entrai nelle grazie di questa famiglia, non facendomi mancare niente con un rispetto più del dovuto. Mi ritrovai ricca all’improvviso, cambiando così totalmente la mia vita. Nel contempo decisi di prendere mio figlio e ne feci parola al cavaliere che, senza ostacolare la mia idea, mise a disposizione la sua macchina con l’autista. Arrivato l’autista nel mio paese natio, con il macchinone, che a quell’epoca era un lusso e di grido, subito destò tale curiosità e malignità che qualcuno sussurrava: “La bellezza fa strada!”. Questo stava a significare che ero divenuta l’amante del cavaliere Clodoveo. Nella mia coscienza e nella mia dignità avevo raggiunto quell’unico scopo di avere con me mio figlio ed ero divenuta la donna più felice sulla faccia della terra. Da lì a poco tempo la vecchietta incominciò a star male ed io, per essere sempre presente, feci allestire nella mia stanzetta tre lettini: il mio, quello del bambino e quello della vecchietta, per tenerla sotto controllo di giorno e di notte. Passavano i mesi, quando incominciai pure io a stare male. Ebbi sempre la febbre che destava preoccupazione in tutta la famiglia, chiamando medici per tutte le cure ma senza alcun risultato. Decisero di portarmi al “Campo Italia” per una sospetta tubercolosi. Il cavaliere decise di farmi curare a casa e così fu allontanato anche mio figlio riportato a Verbicaro, non permettendomi neanche di baciarlo per paura di un contagio. In questa occasione ebbi prova della benevolenza dell’intera famiglia, la quale mi ripeteva che io ero stata colei che aveva fatto rifiorire quella casa e per la verità fui ricompensata, vedendola vicino in quest’altro momento drammatico della mia vita. Insieme alla famiglia Clodoveo apparve un uomo, un professore di musica, che veniva quasi tutte le mattine a trovarmi, per assicurarsi del mio stato di salute. Un mattino comune come tanti altri, il professore mi disse: "Posso darti un bacio? Te lo manda mia sorella Agatina". Agatina era una cieca ed era la donna che per la prima volta mi parlò di Padre Pio. Era il 16 luglio, mi sentivo bene quel giorno. Il mio primo pensiero fu quello di andare a trovare la signorina Agatina e da quel momento non ci siamo più staccate".
Le bufere sono dietro l’angolo pronte a colpire ancora una volta questa donna che, volgendosi al Padre Eterno, dice: “Ma cosa avrò fatto di male, per meritare questa vita?”. Infatti, il suo bambino colpito da una infezione ai reni è grave e lei viene consigliata dai medici a portarselo a casa, poiché ormai gli rimangono pochi giorni di vita. Crolla su Assunta l’impalcatura che ella aveva costruito sotto quel cielo che era stato testimone di tutto quanto le era successo. È il 12 settembre 1954. Si accinge ad attraversare l’età dei ventiquattro anni che aveva tirato sino a quel momento ingannata dalla vita stessa, subendo atrocità il cui racconto fa rabbrividire il pensiero, ma la forza del vivere supera pure l’acrobazia per l’esistere. Abbandonata a se stessa per la disperazione di perdere suo figlio, unico scopo di vita, ritenta il suicidio, buttandosi da un terrazzo. Prima di lanciarsi nel vuoto, pronunzia queste parole rivolte a sua sorella Dora: "Tu sei morta da santa e io morirò da dannata". Mentre è sul ciglio del precipizio, all’improvviso una mano alla gola la indietreggia. Lei si guarda attorno, ma non vede nessuno. Rabbrividita per quanto le è accaduto, corre subito a raccontare ciò alla sua amica Agatina, la quale le dice che il Padre Eterno non vuole che lei faccia quella fine e le consiglia di andare a trovare Padre Pio che fino a quel momento non aveva mai sentito nominare, anzi le chiede dove egli stia.
A questo invito non esita un istante. Prende il primo treno (La Conca d’oro) alla volta di Padre Pio, senza che nessuno sappia niente, lasciando pure il bimbo morente. Arrivata a Paola, un gruppo di militari le si avvicina e le fa dei complimenti e anche delle insinuazioni, come: "Hai bisticciato con la mamma?" oppure "Ti sei lasciata con il fidanzato?", mandandole dei bacetti. Assuntina sola nel calare della sera si sente sperduta e non protetta, ripetendo tra sé che l’abbiano scambiata per una prostituta e quindi si chiude arrabbiata nello scompartimento, serrando la porta. Tenta di addormentarsi, quando ad un tratto sente aprire la porta e subito pensa che possano essere quei militari invece appare una bella signora vestita di nero dalla voce fievole che si siede accanto, dicendole: "Ti sei spaventata?" e lei annuisce. Fanno il viaggio insieme, parlando di Padre Pio. Anche quella donna stava andando a San Giovanni Rotondo. “Mamma” Assunta le racconta la sua storia. Arrivate a Foggia, devono prendere un pullman che le accompagni a S. Giovanni Rotondo, solo che Padre Pio era solito celebrare la prima messa alle cinque del mattino e sarebbero arrivate troppo tardi. Allora pensano bene di prendere un taxi. Assunta veloce veloce si avvicina al tassista, chiedendo quanto voglia per accompagnarle. Lo stesso chiede sette mila lire, però per lei sono troppe. Lui risponde: "Volete almeno darmi i soldi per la benzina?". Detto ciò, salgono sulla macchina e da quel momento la macchina sembra avere le ali. Arrivano a S. Giovanni Rotondo giusto in tempo per vedere Padre Pio che sta celebrando la messa all’esterno. L’ autista e la signora fanno da colonna a “mamma” Assunta. Terminata la messa, Padre Pio parte per andare in sacrestia. C’ è tantissima gente. Assuntina corre appresso Padre Pio a spintoni ma non riesce a raggiungerlo e domanda come mai ci sia tanta gente. Una signorina risponde che la gente tutti i giorni si deve prenotare per avere un incontro non prima di trenta giorni. Si può capire la disperazione di “mamma” Assunta che aveva lasciato a Messina il figlio morente. Riesce ad arrivare sulla soglia della clausura, ma viene fermata bruscamente da un frate di nome Galdino, una colonna d’uomo che, avendole afferrato il braccio, causa un forte dolore. Ormai “mamma” Assunta perde ogni speranza di incontrare il frate delle stimmate. La visione veniva ostacolata da una colonna immensa di gente e lei faceva di tutto per scorgere ogni movimento del frate. Dirigendosi verso l’altare di San Francesco d’Assisi, posto di fronte il confessionale di Padre Pio, si rivolge a lui con queste parole: "San Francesco, aiutami, non posso restare, ho lasciato un figlio morente. Fammi parlare con Padre Pio". Si gira e vede Padre Pio che la guarda ben tre volte.
Ad un tratto sente Padre Pio chiamare: "Assunta! Vieni, figlia mia!". Lei si guarda attorno e non capisce che il frate parla con lei. La verità è che da quel momento Assunta comunica con il frate nello spirito. Senza parlare, Padre Pio la guarda ancora e lei sente lo sguardo addosso e si esprime con queste parole: “Che bello sguardo! Mi ha cancellato tutte le lacrime che avevo versato in tutta la mia vita!”. Rompono il silenzio le parole del frate: "Vieni, figlia, vieni, Assunta, poiché non puoi stare più qua". Tutti Lo sentono. Le prende il braccio, apre la catenina. “Mamma” Assunta cade in ginocchio in una pozzanghera di sudore ai piedi di Padre Pio che continua a dire: "Hai pianto abbastanza. Ora c’è tata tuo che pensa per te". Assunta si alza da terra e cerca di ritornare dall’ autista e dalla signora Maria, ma con grande stupore non la trova più. Assunta si rivolge a Padre Pio, dicendo: "Padre, e mio figlio!?" e Lui: "Va’, va’ a casa. Tuo figlio ha fame e aspetta la mamma". Meraviglia di tutti i presenti!
Come faceva il frate a conoscere il nome di Assunta? Come sapeva che il figlio era morente? Chi era quella donna misteriosa che le tenne compagnia durante il viaggio e scomparve nel nulla?
L’autista l’accompagna in macchina alla volta della stazione. Ormai nella sua mente è registrato solo quel parlare in dialetto campano di Padre Pio che con voce rauca, senza ascoltarla, le dice: “Va’ da tuo figlio che ha fame e aspetta la mamma”. Lei continua a portarsi dietro il ricordo non solo di quella immensa folla che assisteva alla benedizione del Santo, ma anche di Lui che la nota in mezzo a quella moltitudine nonché di quegli occhi che sapevano attingere l’infinito. Arriva a Messina alle cinque del mattino. La cognata le va incontro, dicendole: "Disgraziata, dove sei stata? Tuo figlio da ieri sera chiede della mamma e vuole mangiare". Assunta a queste parole cade in ginocchio e sta ferma in questa posizione per ben venti ore. Forse per la stanchezza o forse per l’emozione Assunta sviene e viene soccorsa dal dottore Germanà, dalla zia e dalla signora Elena. Al risveglio trova accanto a sé il figlioletto, se lo abbraccia e lo stringe forte forte al cuore.
Dopo sessanta giorni Assunta ritorna da Padre Pio. Il portiere non è più padre Galdino ma padre Marco che la riconosce e avvisa il frate della venuta di “mamma” Assunta. I due si ritrovano e da quel momento Assunta diviene la “figlia spirituale” di Padre Pio, che per Sua intercessione comunica quanto il frate o lei stessa avverte. Il legame di Assunta inizia così con Padre Pio. Tutta la città ormai sa del miracolo. La casa di Assunta diviene un pellegrinaggio, giacché tanti sofferenti e bisognosi di aiuto si rivolgono a lei, per essere guariti e aiutati da Padre Pio. Anzi la stessa si mette a loro disposizione, accompagnandoli a San Giovanni Rotondo. Gente sia umile sia benestante, perché la fede non fa mai distinzione tra i ceti sociali.
Assunta ringrazia il Santo il quale non tarda nelle Sue apparizioni, dandole conforto e suggerimenti che lei stessa mette a disposizione di chi ne ha bisogno.
Il cammino della vita ha fatti ed eventi che costituiscono in ognuno di noi la propria storia. La continuazione risulta sempre più difficile per il sostentamento del piccolo, ma con l’amore e la volontà “mamma” Assunta ci riesce, in quanto illuminata da quella luce che, per alimentarsi, ha la Fede.
Il pensiero fisso di Assunta è di ritornare più spesso a San Giovanni Rotondo e ringraziare Padre Pio. Non avendo la possibilità, pensa bene di aprire una sartoria insieme con tredici aiutanti. La notte, lei stessa cuciva ben sette vestitini di bambini e i proventi servivano per andare più spesso a trovare il frate. Anche questo diviene un’ eco per tutta la città di Messina dove alcuni consapevoli del fine dei proventi cercano di aiutarla, anche donne di un certo ceto sociale quali la signora Bacci, la signorina Battistini, divenendo così la “stilista del dolore”.
Tra i tanti racconti, naturalmente non in ordine di tempo ma il più significativo, per chi ha fede, è quello quando la stessa Assunta lava i piedi al Santo di Pietrelcina. Lei recita testualmente che le veniva voglia di bere quell’acqua. Tra le cose personali di Padre Pio è riuscita ad impossessarsi di un’ unghia del piede che ancora custodisce, del sangue delle stimmate conservato in una boccettina di vetro, di una piccola guantiera che conteneva la pignolata, del cordone del saio e di un pezzo di pane che ancora oggi dopo quasi quarant’anni si conserva intatto.
Il 18 marzo 1966 arriva una telefonata della signora Franca, moglie del commendatore Tertulliano, che la invita a passare da casa sua per un caso disperato che riguarda sua cognata Adelina la quale dopo la morte del marito, rinchiusasi nella sua stanza, non esce più, non apre più a nessuno e non mangia. Assunta si presenta con un mazzo di gladioli bianchi. Il commendatore a letto le dà centomila lire, pregandola di andare da Padre Pio e chiedere l’intercessione di una grazia. Ad Assunta i soldi sembrano molti e li rifiuta, ma con l’insistenza del paziente e della moglie è costretta ad accettare e parte alla volta di San Giovanni Rotondo da dove era appena ritornata da qualche giorno. Si presenta dal frate con la pignolata, dolce messinese preferito da Lui. Il frate, vedendola, le dice: "Figlia mia, perché così presto?" e lei: "Padre, questa volta sono stata mandata", ma non Gli rivela che era stata mandata dal commendatore Tertulliano. Allora Padre Pio le si rivolge, dicendo: "Figlia mia! Figlia mia!. A chi vuoi affidare quella creatura? Sei una figlia spirituale, va’!. Va’ tu a risolvere! Tu arriverai a tutto con la grazia di Dio e la Mamma celeste. Quella creatura è Madre mia spirituale" e guarda la Madonna. Assunta al ritorno da San Giovanni Rotondo si avvia direttamente alla casa del commendatore. Bussa alla porta, ma la vecchietta risponde: "Andate via tutti! Mio marito è morto! Me lo hanno avvelenato". Assunta risponde: "Signora Adelina, sono Assunta di Padre Pio. Mi apra, per favore!". Assunta mette un biglietto di San Giovanni Rotondo sotto la porta. La vecchietta lo legge e apre la porta. Da quel momento le due non si sono più lasciate. Assunta rassicura che sarebbe venuta l’indomani mattina ed anche tutti i giorni per servirla e pulirla, l’avrebbe portata a fare delle passeggiate e inoltre condotta con sé anche da Padre Pio. Ma la vecchietta alle cinque del mattino con una scarpa sotto il braccio, con un tovagliolo di carta e con la vestaglia tutta sporca cerca Assunta per le vie della città. Ferma la gente e dice: « Sono la sorella del commendatore Tertulliano, la moglie del principe Lucio Odescalchi, cerco una crocerossina che è la “figlia spirituale” di Padre Pio. Si chiama Assunta. Mi sapete dire dove abita?". Tutte le persone la guardano e si mettono a ridere, scambiandola per pazza. Arrivata in piazza, incontra un vigile, s’avvicina e gli pone la stessa domanda. Il vigile la fa salire su un pullman, e parla con l’autista. La vecchietta così arriva da Assunta che, nel vederla, le prepara la colazione, avvisa suo fratello, il commendatore il quale la viene a prendere. Tuttavia la vecchietta gli risponde che lei da lì non si muove, perché vuole stare con sua “sorella” Assunta.
Le due donne insieme con due orfanelle dalla città si spostano nella residenza estiva posta sulla collina di Curcuraci. E’ a questo proposito che Padre Pio la invita ad andare a pregare alla Croce posta sulla collina, dicendole che Lui sarebbe stato accanto a lei nelle preghiere. Ma “mamma” Assunta, arrivata a Curcuraci, guarda attentamente quella collina, ma non vede nessuna Croce. Si rivolge alla figlia del colono di nome Nica e le chiede di accompagnarla in questo luogo. Da quel momento il suo raccoglimento in preghiera avviene sotto la Croce indicatale da Padre Pio.
Un giorno, va a farle visita la professoressa Gaudente di Reggio Calabria la quale le confida che non può avere figli. Questo il motivo della sua venuta. Allora Assunta la invita ad andare a pregare proprio sotto quella Croce. A mezzanotte il cane di nome “Lola”, che era di “mamma” Assunta, abbaia e dopo un po’ si calma. Nel frattempo, racchiuse in preghiera, sentono dei passi. La professoressa si spaventa, ma Assunta la quieta, dicendole che è Padre Pio. Le dice a questo punto che lei è in attesa di un figlio. La professoressa non crede a queste parole e invece dopo nove mesi le nasce un bel bambino. Questo diviene un’eco che rende il luogo, meta di pellegrinaggio.
“Mamma” Assunta oggi vive con l’attuale marito Carmelo, una persona semplice e con tanta fede in Dio, che l’ asseconda nei momenti di tristezza, nella contrada Marotta sulla collinetta di Curcuraci da cui si può ammirare lo stretto di Messina e i monti calabri che danno il senso dell’immenso.
Tutta la città sa che “mamma” Assunta, tramite Padre Pio conforta tante persone bisognose di guarigioni fisiche e spirituali, diffondendo amore, pace e bene.
Pertanto, Curcuraci è divenuta già meta di pellegrinaggi e qualcuno giunge persino a gridare ai miracoli!


IL MIO PRIMO INCONTRO CON “MAMMA” ASSUNTA

Una donna “mitica” diviene ancor più difficile, se non si riesce a penetrare dentro lei che ha un’anima ed un corpo come tutti i mortali. Lo sguardo rapito di lei diviene un focolaio di espressioni che toccano l’anima. Padre Pio, il Santo dell’amore dei popoli, Colui che ha sofferto tanto nella vita terrena, “parla” con questa donna!
Sembra un film d’altri tempi che la mente ha registrato, portandosi dietro il ricordo di questa donna. Tornando indietro nel tempo, ritrovo quella vita trascorsa a braccetto con me, che di certo non ho scelto io, ma quella natura che, ancor prima di farmi sbocciare, mi ha fatto divenire un fiore privo di vaso e senza una goccia d’acqua, per poter proliferare e sorridere al mondo come un germoglio rivolto verso il cielo. Erano gli anni del bisogno di una carezza, di un bacio. Tanti sogni da bambino appaiono e poi svaniscono, mescolati con la fame della ricerca del vero. Ancor giovane e con le idee confuse abbandonai la scuola, mentre frequentavo la prima media alla “Juvara” nella città di Messina. Come vorrei tornare bambino con la coscienza di oggi! Quella responsabilità diveniva troppo grande per i miei genitori adottivi che avevano preso l’impegno con lo Stato di accompagnarmi come un figlio alla meta più soddisfacente, accontentandomi in tutto, e insegnandomi l’amore per il prossimo. Ancora porto le tracce del loro insegnamento e del loro amore, immettendomi nel sociale, riversando tutto l’amore, togliendo sul mio viso la sofferenza, accendendo una fiaccola ed alimentandola, per non farla spegnere. Ma furono costretti a rinchiudermi in un collegio, per tentare di spianare quella strada che, ancor prima di percorrerla, sembrava tortuosa e piena d’insidie. Trovandomi nella “Città del Ragazzo” di Padre Nino a Gravitelli di Messina, potevo imparare un mestiere. Ma mi accostai sempre più ad altre esperienze che di certo non avevano avuto un lieto fine. Ognuno di noi raccontava la propria storia, velandosi gli occhi di una lacrima, mandando gli stessi nel vuoto che nessuno avrebbe potuto riempire, anche se Padre Nino (don Antonino Trovato ) per molti c’era riuscito, togliendoli dalla strada e dalla miseria. Il ricordo ha la parvenza di arrestare il tempo, inchiodarlo proprio dove la vita è in salita e si deve lottare per raggiungere la meta.
Tra i miei ricordi la prima visione di “mamma” Assunta ha lasciato il segno di una vita quasi recisa su questa vita terrena. Donna che da tanti anni porto dentro me, come una figura ideale nel corso del cammino. Erano gli anni che seguivano la scia di una guerra finita e il paese era in stato di assetto con le ferite ancora da rimarginare, con una confusione che si mescolava con la fame, con i ricordi dei bombardamenti e degli orfani che il conflitto aveva lasciato. La bellezza di “mamma” Assunta era quella di catalogarla tra le più belle che la natura avesse creato. Somigliava ad una star hollywoodiana che tutti guardavano e che nessuno mai poteva raggiungere, perché dietro la sua bellezza c’era una donna intoccabile, decisa di fare del bene agli esseri che ne avevano tanto bisogno.
In quel tempo ero al di là dei cancelli della “Città del ragazzo” a Messina, inventata da Padre Nino che voleva continuare quel che fecero Don Luigi Sturzo e Don Orione. Questo prete ci riuscì, accogliendo tanti bambini che erano in cerca di amore, di conforto e di una famiglia. Pochi si ricordavano della sofferenza altrui. Tra questi pochi c’era lei, “mamma” Assunta.
Nella zona di Gravitelli, in fondo alla via “Tommaso Cannizzaro” a Messina sorgeva il collegio. Un mattino freddoloso di Novembre, noi ragazzi volevamo scoprire chi dietro ai cancelli mettesse cioccolata, caramelle, pan di cena, vestiti e altro. Decidemmo di alzarci prima del solito, in attesa dell’adunata che facevamo sotto il monumento di don Luigi Sturzo e di nasconderci con lo sguardo fisso verso i cancelli d’uscita, assaporando la libertà che esisteva al di là di essi. D’un tratto vedemmo una figura di donna avvolta in un grande scialle in testa che le copriva anche il viso, avvicinarsi al cancello chiuso, con due enormi sacchi di stoffa bianca che posava dietro le sbarre e poi sparire nel nulla. Un colpo di vento però svelò a noi bambini che quella era “mamma” Assunta, confermatoci da un’ anziana signora che dal balconcino di fronte da tempo vedeva il ripetersi della scena. Diveniva quasi rissa poter dividere quello che la “santa” donna portava, senza poter ricevere neanche un grazie. Si perdeva lontano aiutata dalla carezza del vento.
Caparbio volli conoscerla e aspettai un suo arrivo. Si avvicinò al cancello come faceva di solito, ma questa volta nascosto dietro la siepe c’ero io. Uscii come un coniglietto impaurito e mi chiese: "Come ti chiami?" ed io risposi: "Carmelo". Mi diede una immagine della Madonna e un bacio. Anche questa volta scomparve nel nulla da dove era venuta. Dopo molti anni quel viso pieno di dolcezza e d’amore difficilmente ho potuto dimenticare. E’ rimasto scolpito nella mente e negli occhi. Al solo pensiero riesco a rasserenarmi e, tutte le sere, prima di andare a letto, il mio sguardo nel nulla vede lei e non nascondo che ho delle visioni mai raccontate ad alcuno, come fosse l’ombra di mia madre. Il gesto di questa donna è così grande che riempie un vuoto che solo i Santi possono colmare. Da quel momento non mi sono sentito più solo, ma caricato dalla forza dell’esistere. Difficilmente si trovano persone che appartengono a questa categoria. Esse sono esseri umani che hanno sofferto e conoscono la tristezza col pianto accluso e non vogliono il ringraziamento da parte della platea, perché sullo stesso palco ci sono pure loro, nascondendosi agli occhi degli uomini. Esse sono sempre vicine ai bimbi abbandonati che cercano e mèndicano amore, con quel viso triste e gli occhi sperduti nel vuoto. Ogni bambino nel collegio cullava la propria storia di vita, ma quasi tutti erano digiuni di quell’ affetto che trasforma un viso sereno. Chi ce l’ ha, non si accorge di averlo.



SECONDO INCONTRO

L’incontro con “mamma” Assunta avvenne a Curcuraci, quando le storie s’intrecciarono e per virtù del caso s’incrociarono nei vari cammini vitali. Accompagnati dal guardiano del collegio, arrivammo presso la dimora di lei, notando subito una marea di gente in attesa di essere ricevuta, per quanto si diffondeva con voce chiara intorno ai miracoli che per intercessione di San Pio ella aveva procurato. Avevamo tanto da chiedere! Noi non chiedevamo miracoli, ma solo desideravamo sapere chi eravamo e questo era tanto difficile quanto impossibile. Ricordo, tra l’altro, una bambina su una sedia a rotelle con gli occhi tristi. Non ebbi il coraggio di chiedere nulla. La visione si commentava da sola; l’accento del suo linguaggio era catanese. Tante storie finivano ad arrivare a “mamma” Assunta e tantissime avevano la parvenza del miracolo vero. Si chiedeva il come ma nessuno sino a questo momento lo ha saputo mai spiegare. Solo la grande fede può fare i miracoli e questa donna, che ha avuto la fortuna di conoscere di persona il Santo delle stigmate, con la sua preghiera profonda, con il dolce chiedere tenta di riuscire...
Ed anche in quest’angolo di terra il richiamo della speranza forma eco, si tramuta e si diffonde nei pensieri altrui, avvicinando alla fede e alla speranza. Ognuno racconta la sua disavventura, senza badare al linguaggio o alla provenienza. Siamo tutti venuti, per parlare con “mamma” Assunta e chiedere se possibile, attraverso lei a San Pio l’intercessione di un aiuto divino. Mentre siamo intenti nel discorso, irrompe una voce che sembra pervenire dall’aldilà. Guardando ed ascoltando bene, era un signore distinto proveniente dalla provincia di Messina, miracolato, dopo aver avuto un colloquio con “mamma” Assunta. Gli avevano diagnosticato un male inguaribile chiamato “tumore” alla prostata, ma, rifatte le analisi, non c’era più traccia. Si immagini il silenzio in quella stanza piena di gente che aumentava il credo, la fede, non trovando parole al proseguimento...

TERZO INCONTRO

Anche se sentivo il richiamo di questa donna, non avevo i mezzi per portami sulla collinetta di Curcuraci che domina la città dello Stretto. Tuttavia chiesi al papà di un collegiale se potesse portarmi con la sua macchina. Cosi non appena giunse la domenica successiva, puntuale con il permesso già firmato, ero pronto ad andare. Ero contento che mi accostavo a quegli occhi illuminati, a quel viso pacato e a quella voce che penetrava dentro, svuotando le amarezze e i sintomi ingrati che facevano parte della vita amara degli esseri che soffrono. Lei, stando persino male, continuava con le sue suppliche che superavano i confini del vero. Molti cuori desolati chiedevano a “mamma” Assunta riparo ed aiuto. La mia sorpresa fu quella che, quando entrammo nella sua stanzetta piena di Santi e di un enorme quadro del Santo di Pietrelcina, mi chiamò per nome, mi abbracciò e mi diede un bacio che ancora oggi ricordo, perché lo stesso mi trasmise l’amore che poco ho avuto nel corso della mia vita. Mi chiesi subito come potesse ricordare il mio nome, in quella immensa processione che era solita vedere tutti i giorni, proveniente da ogni parte della Sicilia e della Calabria. Mi riconobbe che ero il collegiale che aveva visto da Padre Nino e, guardandomi negli occhi, mi disse: “La preghiera conquista i cieli e l’apertura degli stessi”, dandomi un sacchetto con marmellata, arance, mandarini, frutta candita, ecc., ecc. Quando tornammo in collegio, tutti volevano sapere e vedere quello che “mamma” Assunta mi aveva dato, perché ciò era di tutti noi piccoli infelici. Dicevamo la frase, che sentivamo nel film “I tre moschettieri”, "tutti per uno, uno per tutti". Questo fu il terzo incontro con “mamma” Assunta.
Lasciato il collegio, tornai dai miei genitori adottivi e le strade si divisero per lunghi anni. Mi immisi in un mondo nuovo dove andavo alla ricerca di quel vero che sembrava irraggiungibile. Quel collegio m’aveva fatto capire quale fosse il vero collegamento con la vita. Tante volte non ci si accorge nemmeno d’esistere. In tale confusione, senza poter dare una definizione, ero in attesa di scoprire qualcosa di nuovo, per avere le sensazioni vere della vita. L’ impatto con il mondo esterno mi lasciò confuso, perché era tutto diverso. Mancavano quella fratellanza e quella confessione sincera. Mi mancava quella grande famiglia. Anche le più piccole cose, come il lettino da riassettare, la ciotola da lavare, l’alzabandiera, l’appello, il momento della preghiera mi avevano accompagnato per lunghi anni. Perciò nel mondo esterno mi sentivo estraneo, perché ognuno si rintanava nella propria famiglia. Mi ritrovai solo, finché mi abituai anch’io, rifugiandomi nel nuovo nido che era la casa dei miei genitori adottivi.


QUARTO INCONTRO

Un giorno, mentre giocavo con i miei coetanei, d’un tratto mi sentii male e mi vidi riverso al mio risveglio in una corsia d’ospedale, il “Piemonte” di Messina, accanto ai miei genitori e ai medici ai quali non sapevo dare una risposta di quanto fosse accaduto. Da lì a poco diagnosticarono una epilessia con le cure del caso. Ricoverato per un paio di giorni, fu informata “mamma” Assunta di quanto capitatomi e lei prontamente venne al mio capezzale. Ancora il suo sguardo si posava su di me, infondendomi quella forza che d’un tratto era svanita. Svanì il cielo oscuro, porgendomi una dose di coraggio che sembrava perso. Quella voce così penetrante riusciva a svegliarmi da quel letargo che si era interposto tra me e il mio vivere, rischiarando quelle nuvole che sovrastavano i miei passi. I ricordi fanno rivivere momenti di abbandono che con l’aiuto di lei divengono istanti di ripresa per il proseguimento della vita, immesso nelle sue preghiere e in quelle visioni del Santo. In questo caso potevo gridare al miracolo! Infatti, crisi per lunghi anni non ne ho avuto più, accompagnato dal fluido del suo sguardo il quale per me diveniva un appiglio per uscire dalle sabbie mobili in cui, senza volerlo, mi trovavo immesso. Fortunatamente allungavo le mani e trovavo quelle di “mamma” Assunta, pronte a tirarmi fuori, dandomi sempre una scia di speranza nel mio continuare...
QUINTO INCONTRO

Questo incontro fu fuori dell’ordinario. Avevo quasi quindici anni e lei sulla trentina o forse più. Stavo tornando da Villa S. Giovanni ed ero sul traghetto delle Ferrovie dello Stato, poggiato sul ponte. Il traghetto era partito alla volta di Messina, quando il mio sguardo vide sulla panchina una donna che aveva perso il traghetto. Sentii chiaramente implorare il nome di Padre Pio e subito il traghetto “tornò indietro” con lo stupore dei presenti. Imbarcò “mamma” Assunta e ripartì. Una cosa del genere non era mai accaduta. Molti non la conoscevano ma io sì. Era sempre la solita donna che di tanto in tanto si affacciava nel mio cammino. Le andai incontro e senza alcuna parola in merito ci guardammo negli occhi e ci capimmo subito, gridando dentro di noi a quel “miracolo” da poco avvenuto. A Messina c’era una giovane su una sedia a rotelle che l’aspettava e la sua presenza era necessaria ed urgente. Penso che forse sia stata l’unica donna al mondo a far “tornare indietro” il “ FERRY BOAT”! Non mancò la sua carezza accompagnata dal rituale bacio, dicendomi: "Fatti vedere...". Quando arrivammo sull’altra riva, ci salutammo, con lo sguardo rivolto verso l’infinito ma impresso nelle nostre menti. Ancora una volta le strade si divisero ma il pensiero mai...


SESTO INCONTRO

Il tempo cancella tutto ma mai i ricordi.
Mi sono sposato e da questo matrimonio sono nati quattro figli: Giovanni, Antonio, Mariagrazia e Tiziana. Ancora una volta avevo bisogno di “mamma” Assunta, senza la quale mi sentivo sperduto e orfano di idee. Fu tutto così veloce che persi la cognizione del tempo. Essendo anch’io pieno di peccati, non riesco a rinchiudermi in preghiera e in momenti di disperazione cerco aiuto, e so dove cercarlo, proprio in lei che possiede “qualcosa” che molti ormai conoscono. Questa volta non per me ma per mio figlio. Aveva quattordici anni. Un giorno decise di non mangiare più, mettendo tutta la famiglia nella totale disperazione. Consultammo vari medici della nostra Sicilia e della vicina Calabria, i quali erano tutti d’accordo che si trattava di anoressia e ben poco potevano fare. La disperazione di un padre era addivenuta al culmine, vedendo morire giorno dopo giorno un figlio. Fu questa la molla che mi fece scattare e andare a cercare quella santa donna che era stata nei momenti cruciali della mia vita la salvatrice di tanti piccoli ma grandi eventi successi nel mio cammino. Presi mio figlio dopo tre mesi che non accettava nessun tipo di cibo e si era ridotto ad uno scheletro vivente, bussai a quella casa di Curcuraci, dove, fatta ancora anticamera, entrammo. Ella mi guardò, sussurrando: "Carmelo mio" e, senza parlare, venne subito al nocciolo del problema che era evidente. Questa volta mi buttò fuori incavolata nera. Ce l’aveva con me. Gridava, senza che io ne capissi le frasi. All’improvviso sentii uno schiaffo che svegliò di botto il ragazzo. Assunta mi chiamò, dicendomi: "Puoi andare, ci vedremo la prossima settimana".
Anche questa volta potei gridare al miracolo. Infatti dopo la discesa di Curcuraci mi sentii chiedere: “Papà, ho fame. Mi compri un panino con la mortadella?”. Fu cosi che si sbloccò mio figlio, grazie a “mamma” Assunta. Dove la medicina aveva fallito, la fede di lei aveva vinto...


SETTIMO INCONTRO

La lontananza non mi permise di frequentarla, a causa del lavoro come turnista che rilega una esistenza. Se lavori di notte, di giorno dormi e viceversa. E poi con quattro figli piccoli si può capire il problema. Ma col pensiero non ci sono distanze, si può raggiungere tutto e tutti. Accadde a me. A causa di un incidente stradale rimasi in coma per tre giorni ed anche questa volta fui salvato da “mamma” Assunta. Svegliatomi, vidi una immagine di Padre Pio della quale nessuno sapeva la provenienza e chi l’avesse portata. Questo mi incoraggia a vivere la fede tutte le volte che mi immergo nel pensiero di “mamma” Assunta, come se una voce dell’aldilà me la indichi... come salvatrice del mio percorso terreno. Ora la sogno in un prato fiorito, ora come protagonista, regista o cameraman della mia vita.


OTTAVO INCONTRO

Un amichetto di mio figlio sta male, ma io ancora non so niente. A Milazzo si era sparsa la voce che “mamma” Assunta era addivenuta al miracolo, avendo salvato mio figlio. La mamma di questo bambino mi telefona in preda alla disperazione e mi chiede se posso chiamare “mamma” Assunta. Prontamente la chiamo e dopo un’ora viene a Milazzo. La porto dal piccolo, lo guarda e, implorando come fosse una propria creatura, grida ad alta voce: “Ma perché lui? Prendi me. Lascialo vivere”. E’ proprio in fase terminale di quella malattia terribile. Dopo la stessa mi confessa: “Ha solo tre giorni di vita”. Vedo in quella donna dolce, bella, l’ira che la trasforma in una belva contro quelle ingiustizie che non sono perpetrate solo dagli uomini. Santino dopo tre giorni cessa di vivere e la sua ultima parola è: “Grazie”. Maciullo in mente quel grazie che oggi confido per la prima volta a “mamma” Assunta, perché era rivolto proprio a lei.


NONO INCONTRO

Mentre abito a Milazzo, gli anni passano e siamo sulla soglia dei settanta lei, e su quella dei cinquantasette io. Ancora ho bisogno di lei. La chiamo al telefono, si rallegra sentire la mia voce e chiedo quando possa trovarla per un problema di un mio carissimo amico e, senza prolungarmi sul discorso delicato e personale, ci salutiamo, fissando l’appuntamento a breve tempo.... Giunge il giorno dell’appuntamento e le presento il mio amico. Si parla del più e del meno e fa subito suo il problema, esternando quel cuore grande che non ha eguali anche nel trasmettere la solidarietà che è quella più importante in questi casi. Con lei non ti senti solo ma sempre in compagnia malgrado le tante torture che abbia dovuto subire nella sua vita. Raccomanda a questo mio amico, la costante preghiera e ci congediamo con la promessa che di tanto in tanto andremo a trovarla.
Solo con il sorriso illumina i cuori.



DECIMO INCONTRO

Una storia apparente d’amore che al fine pregiudicava l’esistenza di mio figlio. Con l’altro figlio riusciamo a convincerlo a venire con noi da “mamma” Assunta. Fissiamo un appuntamento per telefono e ci presentiamo, raccontando per sommi capi il problema. Al primo impatto “mamma” Assunta, senza sapere niente, gli illustra un quadro generale della donna in oggetto, invitandolo ad allontanarsi da lei e subito di botto gli toglie un braccialetto dal polso, dicendogli: "Questo me lo prendo io. A te poi lo comprerò. Non ti preoccupare, fra poco conoscerai una ragazza che farà per te". Queste le parole dette da “mamma” Assunta. Passano pochi mesi e il tutto si avvera, anzi supera persino le previsioni. Il 25 gennaio 2003 si sposa. Lei è in attesa di un bambino. Mi sembra di sognare...


UNDICESIMO INCONTRO

Che cosa si sia scagliato contro di me ancora non riesco a decifrarlo. Continuo a lottare una battaglia, senza conoscere il nemico che alla fine rimane sempre invisibile. Mi giunge la notizia attraverso i suoceri di mio figlio che il piccolo Gabriele dopo il ritorno a Bari dalle ferie, ha una febbricola come tutti i bambini vuoi per un colpo di vento, una sudatina, vuoi per le tonsille. Chiamano il pediatra il quale gli prescrive la cura del caso, ma quella febbre non vuole andare via. Ciò allarma lo stesso pediatra e consiglia un esame più accurato al policlinico di Bari. Il bambino entra e dopo diverse analisi i medici sentenziano la leucemia. Mi cade il mondo addosso che scavalca anche l’asse del centro della terra. Cadiamo tutti in una disperazione profonda. I medici iniziano la chemioterapia. A questo sconforto con una foto del piccolo mi reco da “mamma” Assunta insieme con Giuliana, mia moglie anch’ella rimasta perplessa di questa spada di Damocle caduta sopra di noi. Dopo aver parlato con “mamma” Assunta, rinchiusasi in preghiera per chiedere a Padre Pio l’intercessione del miracolo, spero che il bambino superi questo momento difficile. Oggi, alla distanza di due anni trascorsi nelle corsie dell’ospedale il bambino sembra che stia reagendo bene e che non abbia bisogno più di chemioterapia. Nei controlli che il bambino fa periodicamente non c’è nessuna traccia di leucemia, ma nel frattempo si esegue con scrupolosa diligenza il protocollo nazionale medico stabilito dal Ministero della Sanità. Mia nuora ha messo alla luce una bambina che ha compiuto un anno agli inizi di Agosto 2006. E’ stato conservato il cordone ombelicale a Pavia in attesa di un esito a lieto fine, senza dover ricorrere ad un eventuale trapianto delle cellule staminali. Si può immaginare quale sia il nostro stato psicologico. “Mamma” Assunta mi accompagna in ogni evento della mia vita e anche questa volta le dico “Grazie” e grido al “miracolo”.



DODICESIMO INCONTRO

Ora si è istaurato un rapporto più ravvicinato con “mamma” Assunta e con suo marito Carmelo. Io insieme con Giuliana e con mio figlio Davide andiamo spesso a trovarli. Siamo stati pure nei luoghi della sua adolescenza, dove i ricordi risuonano sempre più amari, e lei è pronta a fare da cicerone come una sorta di liberazione del suo animo, raccontando episodi ed aneddoti che fanno congelare il sangue. Questa donna ha impegnato e impegna la sua vita per i malati e per coloro che avevano e hanno bisogno di lenire l’anima per il peccato che non si vede ad occhio nudo ma che si attorciglia all’albero della vita di ognuno di noi. Grazie, “mamma” Assunta, per quello che hai fatto e per quello che farai con le tue preghiere rivolte alla Madonna e a Padre Pio. Gli uomini hanno tanto bisogno di preghiera, per seminare tanta pace e far crescere l’albero della serenità. Ancora grazie per i “miracoli” che posso testimoniare in ogni dove. La tua fede e la tua preghiera hanno vinto e ... vincono.


Conclusione
A volte un incontro può cambiare totalmente la vita di una persona soprattutto quando essa è alla ricerca di un bacio, di una carezza e persino di un rimprovero i quali servono a farla maturare, mentre si accinge a bussare alle porte della vita.
E’ stato proprio in siffatta situazione che ho incontrato “mamma” Assunta.
Mentre ripercorro con mente travagliata e confusa il mio tempo trascorso, rivivo attimo dopo attimo il conforto delle sue parole e l’espressione del suo volto dai quali traspariva il grumo della sua vita, che ancora porta dentro se stessa.
Pertanto ho cercato sempre di catturare quegli attimi amari nella loro integrale verità, in ogni sorta di forma, soffermandomi nelle sue parole a volte balbettate per l’emozione che da sempre ha custodito e oggi ha riesumato. Sono sicuro che la presente narrazione la fa stare bene, alleviandole quel dolore che tanto ancora affligge il suo animo.
Tutto ciò che è scritto è vero e a volte mi chiedo se quanto è successo e succede sia stato o sia possibile. Infatti, rimango stordito dalla verità apparsa sotto il mio sguardo impaurito.
In questo mondo di peccatori come si può credere ai miracoli?
Eppure, tante cose sono accadute. Ogni volta che mi trovo nella sua abitazione, il telefono squilla ininterrottamente e lei risponde che per l’eventuale soluzione dei problemi bisogna cercare rifugio soprattutto nella fede e nella preghiera.
Ella cerca difatti di infondere in tutti coraggio e serenità utili per continuare nella lotta contro il male di qualunque titolo.
Se al di là del telefono si sente un ringraziamento, il suo volto d’un tratto si illumina, come per dire un grazie anche lei alla Madonna e a San Pio da Pietrelcina ai quali si rivolge costantemente.
Ricordo uno degli ultimi incontri a Curcuraci dove c’era tanta gente di qualsiasi ceto sociale. Sospinto dalla curiosità, chiedo a “mamma” Assunta notizia di una donna presente in casa sua da venti anni, data per spacciata all’ospedale. Le chiedo se fosse una sua parente. Ella risponde con un dolcissimo sorriso che la donna indicata non aveva nessuno e l’aveva tenuta con sé, curandola amorevolmente.
Questa è “mamma” Assunta.



HANNO SCRITTO DI LEI

Nel 1980 Il giornalista Giuseppe Antimi corrispondente della “Sicilia” di Catania, scriveva a lettere cubitali quanto segue:
- "Un fenomeno che va al di là delle frontiere della mente. Da anni un’umile popolana si prodiga per i sofferenti. Tramite la sua persona Padre Pio guarisce i malati». Mamma Assunta si considera messaggera della volontà del defunto francescano. Un tramite. Di eventi insoliti ne sono accaduti molti. Il medico che mamma Assunta aveva da ragazza, a Verbicaro di Cosenza, suo paese natale, sembrava impazzito, da manicomio. Assunta lo disse in visione a Padre Pio e ne ebbe assicurazione. Quel medico è tornato in sé. C’è stato il giovane Mario recuperato da una incurabile malattia; un altro giovane, di Modena, scampato all’amputazione di una gamba. Una casistica che, raccolta in un dossier, è all’esame dell’ autorità religiosa. Mamma Assunta non preme, né si vanta facendo nomi ed occasioni. Tutt’ al più, mostra le montagne di lettere che arrivano da mezzo mondo, essendo la sua fama ormai diffusa; ed i segni della presenza di Padre Pio in casa: le immagini di lui spuntate su un pezzo di stoffa, la croce formatasi su una zucchina, mentre distribuiva un pranzo ai poveri (cerimonia abituale nella cascina del Villaggio Curcuraci anche per i minorati), la cera delle candele scioltasi di colpo sotto il quadro del frate ed indurirsi raffigurando la sua immagine.
Nel 1983 all’età di 53 anni “mamma” Assunta è stata intervistata dal giornalista Gaetano Saglimbeni corrispondente allora del mensile “Gente” che le riservò ben due pagine di cronaca inerenti le visioni e la vita di questa Calabro-Sicula. Tra le tante cose scritte si evince:
- "Sono la figlia spirituale di Padre Pio", sostiene la donna che da trent’anni vive nel culto del frate. "Con il suo aiuto" dice Assunta, "noi vogliamo continuare la sua opera a favore della gente che soffre. Io ho un dialogo costante con lui. Gli sottopongo con fede i casi degli ammalati e di coloro che si rivolgono a noi, e invoco la sua intercessione". Ha fondato due gruppi di preghiera, uno a Curcuraci e l’altro a Modena”. Assunta di Giorno ha 53 anni. La stessa continua col dire: "Un altro centro l’ ho creato a Modena dove sono vissuta per tanti anni e dove ritorno spesso. La mia casa, qui come a Modena, è a disposizione dei devoti di Padre Pio, ma soprattutto dei bisognosi, dei sofferenti, degli handicappati. A questa povera gente l’umile frate ha dedicato la sua vita, e noi, con il suo aiuto, vogliamo continuare la sua opera"... "E noi vorremmo che altri centri come questo sorgessero in tutte le parti del mondo ad iniziativa dei devoti di Padre Pio, in suo nome e col suo aiuto. Le difficoltà, purtroppo sono tante. Noi in anni di lavoro abbiamo potuto far poco. Ma lo abbiamo fatto con tanto amore, mettendo le nostre case a disposizione della gente che soffre". La casa di Assunta di Giorno a Curcuraci, è una villetta circondata dal verde. Un grande salone a piano terra che fino a pochi mesi fa era un cantinato, e sei camere, tutte rimesse a nuovo oltre ai servizi. Lei dice: "Il nostro gruppo di preghiera si riunisce qui, ospitiamo ammalati, handicappati, ragazzi sbandati che qui ritrovano la fede, la serenità, riprendono fiducia nella vita. Padre Pio guarda a questa nostra piccola comunità con grande amore: ci guida, ci assiste, ci sostiene. Io ho un dialogo costante con lui. Gli sottopongo i casi di ammalati che si rivolgono a noi con fede, invoco la sua intercessione. Il frate mi appare in sogno e mi dice. "Le tue mani e la tua fede Assunta carissima, possono far miracoli". Ed i miracoli avvengono sotto i nostri occhi. Ma io non mi considero affatto una guaritrice. Faccio semplicemente da tramite tra gli ammalati e Padre Pio. I miracoli li compie lui, il frate Santo". Sono in molti a giurare di aver visto, in questa casa, prodigiose guarigioni. Giuseppe La Rosa un camionista di Santa Marina di Milazzo, assicura che le due sue figliole Rita e Graziella, oggi di 18 e 17 anni, sono guarite di leucemia, quando erano ancora bambine, grazie all’intercessione di Padre Pio; Angelo Tarvani, un cassiere di banca pure di Milazzo dichiara che sua figlia Luana, oggi tredicenne, ha ottenuto la guarigione da un carcinoma che i medici giudicavano irreversibile; e una ex suora calabrese che ha abbandonato il convento per dedicarsi con la signora Assunta ai sofferenti, testimonia di aver visto una ragazza emiliana di Sassuolo, Gina, paralitica dalla nascita, abbandonare le stampelle e uscire da questa casa con i suoi piedi, tra la gente che gridava al miracolo. Vengono da ogni parte d’Italia per essere “toccati” dalle mani di questa “Figlia spirituale di Padre Pio” (come lei ama definirsi). Assunta di Giorno ha per tutti una parola di speranza, li invita ad aver fede, a pregare. E’ lei a guidare le preghiere collettive, con voce vibrante e gesti solenni, nella piccola cappella ricavata da un angolo della vecchia cantina.
Al compimento del settantesimo anno di età di “mamma” Assunta, il giornale “Il Cartellone”, scrive tra le righe di appuntamenti a Messina e dintorni:
"Fare del bene e predicare la felicità del Vangelo diventa così una missione, proprio come per Assunta Di Giorno, meglio conosciuta come mamma Assunta. Figlia spirituale di Padre Pio, Assunta, per settanta anni, tanti ne ha compiuto alcuni giorni fa, ha fatto della sua vita un cammino spirituale di dolcezza e comprensione. La sua casa è aperta a tutti. Bambini, giovani ed anziani bussano alla sua porta in cerca di uno sguardo che riscalda, di un abbraccio che rincuora e di una parola che rafforza. La sua casa famiglia di accoglienza costruita con tanti sacrifici in onore del frate di Pietrelcina è un via vai continuo di gente che giunge a qualunque ora mentre il telefono squilla incessantemente.
La sua disponibilità è sorprendente e la sua pazienza immane, mentre tutta la sua persona trasuda di benevolenza. Impossibile non augurare ad una persona tanto amabile che l’unico suo scopo è fare del bene agli altri, di vivere lungamente, perché è di quelli come lei che l’umanità ha bisogno. Grande donna, dalle mille qualità, Assunta è speciale in quanto donna, amica e confidente che con immensa generosità si dona alle lodi e alle critiche di chi ancora non ha avuto la fortuna di conoscerla. Ma c’è sempre tempo per questo... Lei è sempre lì, in quella splendida casetta di Curcuraci che aspetta solo di dare il suo modesto contributo per renderci più sereni e appagati con noi stessi".
Carmelo Coppolino Billè


Mamma Assunta di Carmelo Coppolino Billè testo di cobica
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