Contenuti per adulti
Questo testo contiene in toto o in parte contenuti per adulti ed è pertanto è riservato a lettori che accettano di leggerli.
Lo staff declina ogni responsabilità nei confronti di coloro che si potrebbero sentire offesi o la cui sensibilità potrebbe essere urtata.
Il Tutto
Il vernissage era stato un fiasco, e anche il resto della mostra non era andato meglio. Infatti, non solo erano mancati i critici d’arte, a cui avrei voluto illustrare la mia nuova maniera postmoderna, ma nemmeno s’erano visti i soliti studenti dell’accademia, che si aggiravano da un’esposizione all’altra, attratti, più che dalla mostra in sé, dai pasticcini e dal prosecco che gli artisti mettevano a disposizione dei visitatori.
Né peraltro ce n’erano stati molti di visitatori, quelli che costituiscono il pubblico delle gallerie d’arte e fanno la gioia dei pittori, soprattutto quando acquistano qualcuna delle loro opere. Nel mio caso, ovviamente, non c’era stata alcuna vendita; e così, a due giorni dalla chiusura, mi aggiravo per le vuote sale della galleria riflettendo sulle cause di un simile flop.
In realtà le cause le conoscevo bene, e andavano dal fatto di essere un dilettante, per quanto considerato di talento, ma comunque fuori dai circuiti di distribuzione delle opere d’arte, per arrivare al mancato battage pubblicitario, senza del quale non si andava da nessuna parte. Ma la ragione principale, ora lo capivo, consisteva in quella inverosimile adesione a un’estetica postmoderna, che avevo abbracciato di recente e che aveva ispirato le opere in esposizione.
Infatti, sapevo perfettamente che l’idea di un’arte postmoderna era in crisi da tempo: vituperata da molti come falsa e bugiarda, dai più totalmente ignorata come possibile espressione della pittura contemporanea. E forse era proprio per questo che l’avevo recuperata, volendo andare controcorrente dopo aver omaggiato i mostri sacri dell’astrattismo, dell’informale, e persino dell’arte povera e della pop art. In realtà m’intrigava parecchio quell’amalgama in chiave deformante di antico e moderno, quella rivisitazione del passato infiltrata di elementi contemporanei, quell’ironia, quel gioco metalinguistico, quella enunciazione al quadrato, come aveva scritto qualcuno.
E così i miei ultimi lavori ambivano a rappresentare questa sintesi demistificante di tradizione e innovazione: grattacieli in vetrocemento che si stagliavano su rovine di templi greci; armature medievali che diventavano tute e caschi di piloti di auto da corsa; nature morte che misteriosamente prendevano vita trasformandosi in scene d’azione... E poi c’era il pezzo principale: una tela perfettamente quadrata che avevo chiamato Il Tutto.
Aveva come sfondo una caotica disposizione di colori che doveva raffigurare l’universo, fatto di nebulose e galassie come si vedono nelle foto di divulgazione scientifica. Ma su questo universo campeggiava la raffigurazione tolemaica del sistema solare, con la Terra al centro e il Sole e i pianeti che le ruotano intorno. Per contro, sparse qua e là, una serie di immagini dell’epoca odierna: un telescopio spaziale che si avventurava ai confini del cosmo; uno shuttle che faceva ritorno sulla Terra. Mescolati a tutto ciò si notavano i tradizionali simboli massonici del compasso e della squadra, insieme a una figura barbuta che doveva rappresentare il Grande Architetto, colui che nelle visioni alchemico-cabalistiche aveva progettato il Tutto.
Infine, proprio al centro del quadro avevo disegnato quella specie di otto rovesciato che è il simbolo matematico dell’infinito: ma un solo infinito non mi sembrava sufficiente per un’opera così ambiziosa, per cui di fianco a questo ne avevo aggiunto un secondo; e poiché sulla cornice non avevo inserito un solo gancio per appenderlo alla parete ma addirittura quattro, in modo da poterlo girare a piacimento da ogni lato, ecco che i due simboli dell’infinito si potevano leggere anche come due numeri otto. E questo, immaginavo, doveva rappresentare il vertice del postmoderno: un surplus d’ironia, un accentuato gioco metalinguistico, un’enunciazione al cubo [...].