Scivola

scritto da Dyler
Scritto 7 mesi fa • Pubblicato 7 mesi fa • Revisionato 7 mesi fa
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Cavalcando l'onda "storta" ringrazio un colore per le parole.
- Nota dell'autore Dyler

Testo: Scivola
di Dyler

“Scivola”, dice il pinguino. Il pinguino è l’animale guida. Per lo meno, così Chloe aveva detto a Tyler.

Chi ha detto cosa a chi?, vi starete chiedendo. Allora, Chloe e Tyler sono due personaggi di Fight Club. Conoscete Fight Club? Sì che lo conoscete, e allora se lo conoscete vado avanti.

Ho letto di nuovo il film, oppure ho visto il libro, insomma un mix, tanto li conosco a memoria e uno vale l’altro. “Scivola”, dice il pinguino, solo che a cavallo del pinguino ci sono io, sto sognando e non sono Tyler, sono io. Scivoliamo giù per gallerie ghiacciate come fossimo in una pista da bob, come in un circuito, solo che ogni volta che lo guardo, il mio animale guida si trasforma. Al secondo giro è un maiale rosa, al terzo una tigre, andiamo sempre più veloci, ormai non distinguo più niente, sempre più veloci, ora sono su un canottino da bambini con la testa di unicorno, ancora più veloci, mi accorgo che “scivola” non lo pronuncia nessuno, è nella mia testa, e mentre tutto continua ad accelerare, la faccina buffa dell’unicorno rosa si gira lentamente verso di me e dice: “Sei morto”, proprio mentre ci schiantiamo contro una parete ghiacciata al suono di una campana.

“Mapofcapuffana”, biascico bavaticcio. Mi sono addormentato davanti allo schermo appoggiato col mento sulla mano. Ma si può?!

Suonano alla porta, le campane infernali del sogno erano il campanello di casa. Mi passo la manica sulla bocca – non è elegante aprire la porta sbavazzati –, e dico un paio di volte “il mattino ha l’oro in bocca”, così, giusto per essere un pochino intellegibile quando parlerò. Per la faccia non ci posso fare niente, chiunque sia si beccherà questa, prendere o lasciare.

“Salve!”, dico dopo aver aperto la porta, con un entusiasmo esagerato che cerca di mascherare lo stato comatoso.

“Oh, buongiorno”, dice il postino voltandosi verso di me, “pensavo non ci fosse nessuno e le stavo lasciando questo”. Dopo avermi mostrato il maledetto avviso di giacenza, lo appallottola e mi porge una busta verdolina. Entrambi sappiamo che qualsiasi cosa ci sia dentro finirà con me che pago – ma un po’ meno se lo faccio subito –, solo che lui me la tende come se fosse la prima volta che ne vede una in vita sua, e io la prendo come se mi stessero consegnando un buono per un viaggio omaggio all inclusive.

“Grazie, gentilissimo, buon lavoro”, dico col sorriso fuori e la morte dentro, dopo aver firmato per ricevuta.

“Si figuri, buona giornata a lei”, mi risponde, e mentre si gira per uscire giurerei di aver visto affiorare un sorrisino sotto quei baffetti radi.

“Mavaffan…”. Dopo aver chiuso la porta, lancio la busta lontano da qualche parte in direzione della scrivania. Non ho voglia di aprirla adesso: occhio non vede, cuore non duole, giusto? Appoggiato con le spalle alla porta, le braccia conserte, decido cosa fare.

L’idea di non aprirla sembrava ottima, però…

Se non la apro non so di quanto stiamo parlando. È venerdì e se fosse cosa da poco mi rovinerei il fine settimana per niente, perché tanto continuerei a pensarci, ma se fosse un bell’importo… mi rovinerei il fine settimana.

La vedo, ne scorgo un angolo verde pallido, laggiù, per terra, la mia multa di Schrödinger. Dentro, allo stesso tempo, c’è il mio portafogli sia vuoto che molto vuoto.

Vado da lei, mi siedo sui talloni e la scruto.

“Perché oggi?”, le chiedo.

Non risponde.

“No, dimmi, perché proprio oggi?”.

Silenzio.

Sospiro. La prendo. La poggio sulla scrivania, mi fissa.

Vado in bagno, mi lavo la faccia, mi lavo i denti. La vedo dallo specchio, e lei lo sa. Non gliene frega niente, se ne sta lì, verde, piatta, insensibile.

Prendo il giubbotto in pelle che avevo meticolosamente buttato su una sedia, lo indosso. Facendo finta di niente recupero la busta e la infilo in una tasca interna.

“Tu vieni con me”, le dico.

Chiavi, casco, guanti, apro la porta, sbatto la porta.

“Lo sai, vero, dove stiamo andando?”, dico aprendo il garage.

Metto in moto, parto, semaforo rosso, semaforo verde, viaggio. Non parliamo, ci potete scommettere che lo sa quanto stia pensando a lei.

Semaforo rosso. Mi guardo intorno, non voglio prestarle attenzione.
Hm? Quei baffetti li riconosco. È inchinato vicino al pandino giallognolo, sta cambiando una ruota.

Semaforo verde, sente la moto, si volta, mi vede, mi riconosce, giurerà di aver visto affiorare un sorrisino sotto il mio casco jet.

Scivola testo di Dyler
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