La notte di Luna piena

scritto da Franc
Scritto 2 anni fa • Pubblicato 2 anni fa • Revisionato 2 anni fa
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Autore del testo Franc

Testo: La notte di Luna piena
di Franc

La fatidica notte era arrivata. Un sinistro silenzio incombeva sul villaggio, mentre nel cielo dominava una luminosa Luna piena. Babukar nella propria capanna stava cercando di dormire, sdraiato sul suo letto di paglia. Voleva ingannare il tempo, ma gli fu impossibile. La notte sarebbe stata lunga.

Nei giorni precedenti si era recato spesso a passeggiare oltre il fiume. “Vado in cerca di alcune erbe” diceva agli altri, ma in verità voleva soltanto distrarsi e pensare ad altro. Lontano da tutto e da tutti. In quelle passeggiate riuscì a trovare un poco di serenità, ma adesso non si poteva più scappare.

 Quanto avrebbe voluto veder sorgere il Sole in quel momento e liberarsi da quell’angoscia e da quell’inquietudine che occupavano la sua mente. “Che cosa abbiamo fatto di male per patire tutto questo?” Si chiedeva tra sé e sé. Ripensò a come erano felici prima di sapere, a come ballavano allegramente al ritmo dei tamburi, a come aveva conquistato lo sguardo di Wekesa, la sua preferita. Poi tutto cambiò. Loro erano cambiati, diventando sospettosi gli uni con gli altri.

In Babukar riecheggiarono quelle parole. “La notte di Luna piena ci sarà un omicidio. Uno di noi sarà ucciso da uno di noi.” Maledisse lo sciamano e la sua profezia. Sarebbe stato meglio se se la fosse tenuta per sé, pensò. Ma si pentì immediatamente di questo ultimo pensiero. Erano sopravvissuti ed erano quello che erano soltanto grazie ai suoi poteri e al suo altruismo. Da tempo non conoscevano guerre e carestie. “Ti chiedo perdono sciamano” disse dentro di sé.

Aveva riflettuto a lungo sulla possibilità di poter fare qualcosa per evitare la tragedia ma l’evento era inesorabile. Le parole dello sciamano erano chiare. Qualcuno del villaggio sarebbe stato ucciso quella notte e poteva anche essere egli stesso. Prese il suo coltello. Avrebbe affrontato fino alla morte chiunque fosse entrato nella sua capanna. “Devo essere vigile tutta la notte” si ripeté più volte. Magari a perire sarà l’attentatore stesso, pensò.  Ma chi poteva essere questo assassino? Chi si sarebbe potuto macchiare di un tale crimine? Quante volte si era posto questa domanda e quante volte la risposta non fu la stessa.

I suoi sospetti inizialmente erano caduti sul cacciatore Lumumba, sempre così litigioso. Temeva che in quel comportamento nascondesse una repressa voglia di uccidere. Raramente lo si trovava di buon’umore, sembrava sempre aver dormito male.  Si infuriava per un nonnulla e tendeva a vedere provocazioni ovunque. Difficilmente si poteva avere una normale conversazione con lui. Babukar cercava di trovarsi sempre in un posto diverso da quello in cui si trovava Lumumba, ancora di più dopo la profezia.

Poi aveva sospettato di Aye e della sua sete di potere. Più di una volta aveva esplicitamente dichiarato di voler sostituire Zulu come capo tribù. Aye ne contestava la troppa fiducia riposta nelle parole dello sciamano. “Un pazzo che non sa quel che dice”, questo era il suo pensiero a riguardo. Ma secondo Babukar e tanti altri se c’era un pazzo, quello era proprio Aye. Come si poteva mettere in discussione lo sciamano?

Infine, aveva dubitato anche del suo fratello Azekel. Negli ultimi giorni sembrava stesse pianificando qualcosa, qualcosa di oscuro. Il suo sguardo era mutato. Forse nessuno se ne accorse, ma Babukar sì. E a dar ulteriore conferma di quei sospetti fu proprio Azekel ed il suo strano discorso. “Chiunque sarà l’assassino non possiamo additarlo, non possiamo condannarlo, ma perdonarlo. Il crimine è previsto dal destino e contro il destino non si può nulla.” Babukar non concordava con quella tesi, ma si era limitato ad annuire.

 Ma adesso Babukar non riusciva a sospettare di nessuno. Solo, in quella capanna, nella lunga notte di Luna piena si rese conto che quelle erano soltanto delle congetture senza alcuna base. Nessuno dei suoi sospetti aveva il volto e gli occhi dell’assassino. Né Lumumba, né Aye, né tanto meno Azekel. Non lo aveva nessuno della tribù e questo lo inquietava. Erano tutti sullo stesso livello e di conseguenza non poteva escludere nessuno tra i possibili colpevoli.  Chiunque sarà l’assassino non ha importanza, l’importante è non essere la vittima, concluse infine. Contava solo la sopravvivenza.

Dal giorno della profezia, da quella maledetta sera, aveva posto la massima attenzione a qualsiasi cosa doveva dire o fare. Non voleva inimicarsi nessuno. Divenne sempre sorridente e sempre pronto a dare una mano. “Ci pensa Babukar, voi andate pure a divertirvi” diceva, mentre si spaccava la schiena per riparare alcune capanne. Spesso aveva anche ceduto la sua porzione di cibo. “Se hai ancora fame, prendi pure la mia. Non ti preoccupare, non ho fame” rassicurava, quando il suo stomaco in verità stava brontolando.  E quanti complimenti e ringraziamenti vari distribuiva copiosamente!  Chiunque fosse uscito nella lunga notte per uccidere e fosse passato davanti alla sua capanna, avrebbe dovuto pensare “qui dorme Babukar” e passare oltre.

Ma questo non poteva certo dargli alcuna certezza. La vittima poteva benissimo essere ancora lui. Non poteva sapere cosa spingesse l’omicida ad uccidere. Poteva anche non essere in grado di ragionare ed entrare casualmente nella sua capanna. Non c’erano certezze su chi sarebbe stato ucciso. Nessuna certezza che sarebbe uscito vivo da quella notte. Si affacciò un attimo fuori dalla sua tenda: era ancora notte. Quanto tempo ci vorrà ancora? Si chiese. Sentì il suo cuore aumentare la frequenza, i suoi battiti stavano accelerando. Provava paura, non voleva morire. “Ci sarà un omicidio” disse ripetendo la profezia dello sciamano. “Un solo omicida e una sola vittima” rifletté. Ritornò nell’ombra della propria tenda. “Una sola vittima” continuava a ripetere. Chi era l’unico che avrebbe avuto la certezza di non essere la sola vittima? Si chiese. La risposta fu fin troppo facile. Quella certezza la poteva avere, la certezza di sopravvivere e di poter ancora godersi la vita, di non essere lui quel cadavere che il giorno seguente sarebbe stato trovato. Si toccò il volto, il naso, le orecchie. “Allora è questo il volto di un assassino.”

Babukar avrebbe ucciso per vivere, soltanto per quello. Non per rubare, non per vendetta o per sadismo. Disse a sé stesso, che qualunque Dio lo avrebbe certamente perdonato. Si diede forza.  In fondo è del tutto naturale lottare per la propria vita. Ma chi avrebbe dovuto sacrificare? A questa domanda non sapeva dare risposta. Era cresciuto e vissuto insieme a tutti loro; insieme a loro aveva gioito e cantato; conosceva le loro storie, le loro virtù e le loro debolezze; aveva combattuto accanto a loro; patito la fame insieme a loro.  Una scelta penosa e faticosa, ma una scelta che andava presa. Se c’era una cosa che a Babukar non mancava, quella era il coraggio. Si affacciò nuovamente fuori dalla propria capanna. La Luna era troppo luminosa per gironzolare per il villaggio quella notte, non c’era una sola nuvola e questo gli permise di stringere il cerchio. Nelle immediate vicinanze vi erano infatti soltanto tre capanne, di cui una era del fratello Azekel. Non ucciderò mai Azekel, pensò. La sorte dei due restanti candidati fu decisa dal caso: Babukar li sorteggiò tramite due fili di paglia estratti dal proprio letto. “Yaya deve morire. Per la salvezza di tutti” disse a voce sommessa.

Uscì silenziosamente. Nel villaggio regnava l’assoluto silenzio, non poteva causare il minimo rumore. Pochi passi ed arrivò alla capanna di Yaya. Si assicurò che non ci fosse nessuno e si costruì un varco tra la parete di canna. Entrò. Yaya stava dormendo quietamente. La notte non gli deve essere sembrata così lunga, beato lui, pensò Babukar. Si avvicinò con la massima cautela, voleva evitare una possibile colluttazione. Poi con le sue possenti mani cominciò a stringere il collo dell’inerte Yaya, ma si fermò subito. Yaya era già morto. Qualcuno lo aveva preceduto. A Babukar gli venne un sorriso: era salvo senza neanche doversi macchiare di un tale crimine. L’omicidio predetto dallo sciamano si era realizzato e lui non ne era assolutamente coinvolto.

Tornò nella propria capanna, adesso si sarebbe potuto addormentare placidamente. Quei pensieri che tanto lo avevano martoriato erano svaniti. Tutto sarebbe tornato normale. Ma appena mise piede all’interno, qualcuno comparì furtivamente alle sue spalle e gli tagliò la gola. Era Azekel. “Mi dispiace Babukar, spero capirai” sussurrò poco prima che Babukar spirasse. Con il dolore che ne scaturirà potrò espiare la mia colpa, questo fu il pensiero di Azekel. Il ricordo di aver ucciso il fratello sarebbe stato il suo castigo per essere sopravvissuto a quella notte.

Ma la stessa sorte di lì a poco toccò anche ad Azekel e a tutti gli altri.

Al mattino seguente nessuno uscì dalle proprie capanne, nessuno poteva raccontare quella notte di violenza e di follia. Le capanne erano diventate delle tombe. La tribù era stata cancellata. Una notte di sangue causata dalla paura di morire. Ognuno era andato alla ricerca della propria salvezza ad ogni costo e adesso in ogni angolo del villaggio non c’erano altro che cadaveri. L’unico superstite a quella mattanza fu lo sciamano. Lo spettacolo che gli si presentò fu orribile. Entrò in ogni capanna chiamando e urlando i vari nomi come se potesse svegliarli, come se potesse fare ancora qualcosa. Sperava di trovare qualcuno ancora vivo, ma capì che era la fine.   

Un’infinita tristezza lo investì. Si chiedeva se ne fosse responsabile. Tutti si fidavano di lui e dove li aveva condotti? Verso la morte, verso la distruzione. Nulla rimaneva. Si diresse al fiume e si abbandonò alla corrente.

La notte di Luna piena testo di Franc
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