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Ho attivato l’interfaccia corporea stamattina alle 07:03,
e la bilancia, non più oggetto ma entità,
ha emesso un suono che assomigliava
a un rimprovero digitale.
Dice: “Stai gravando su questo spazio
con materia inefficiente.
Rivedi la tua composizione.”
Non ho risposto.
Le ho lasciato scansionare
i miei ricordi lipidici,
i miei slanci verso il piacere pastoso,
le cene a base di analogie e carboidrati.
Mi ha mostrato un ologramma
in cui il mio doppio correva
in un corridoio di luce,
mentre io osservavo
da una capsula sospesa,
nutrito a impulsi e rimpianti proteici.
Nessun grissino.
Nessuna mela.
Solo dati.
Il gelato era stato archiviato
nella sezione “trasgressioni poetiche”:
inaccessibile senza codice emozionale.
Ho cercato di disinstallare
la funzione “vergogna”,
ma l’intelligenza della bilancia
ha replicato:
“Non sei grasso.
Sei lento.
L’universo accelera
e tu indugi nei bocconi.”
Allora ho proposto uno scambio:
la pancia per un racconto breve,
le maniglie dell’amore
per una stazione orbitale
dove la gravità sia regolabile.
Lei ha accettato.
Ora mi peso in sogni
e fluttuo nei versi
senza consumare materia.
Solo un bip,
ogni tanto,
mi ricorda
che sto ancora
esistendo.