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Bora
una bestia cieca scende dal Carso,
affila i denti sull’asfalto.
Il sole a picco è
un dio impazzito che inchioda le ombre,
le cuoce vive.
Erba secca
ossa gialle sotto il tallone del vento
scricchiola
implora l'acqua
da un cielo taciturno.
Sibila il silenzio marcio di luce,
immobile come una bocca aperta
Tutto arde.
tutto trattiene il fiato.
Questa estate infucata è
una gabbia di fuoco
dove il tempo si disossa da sé.
Ndr
Perdonate l’intrusione
Ho scritto questo testo qualche notte fa, durante le forti raffiche di una Bora furiosa.
Ho immaginato quel vento cieco, arroventato da un sole impazzito, che scivola su erba secca e silenzi tesi. Ho lasciato che le immagini parlassero da sole.
Benché non si debba mai spiegare un proprio scritto, la reazione di un iscritto -più avvezzo a raccontare di Rottweiler che altro - è stata un commento che puzzava più di giudizio che di critica: “Interessante, ma un po’… fredda”.
Mi ha definita “banalotta” e “troppo ricercata” nello stesso respiro, aggiungendo che le immagini non trasmettono colori né forza. Ho trattenuto una risata: quell’ossimoro involontario meriterebbe di finire inciso su una targa.
Sarà forse un fine critico letterario nascosto tra queste pagine poetiche?
Può darsi. Ma ho capito che il problema non è il mio testo, ne il povero "critico " involontario.
È la lingua emotiva di gran parte di questo pubblico: amore, passione e dolore addomesticato sono quasi le uniche coordinate che riconoscono.
La poesia deve accarezzare, non graffiare; chiudersi con un tramonto, contorcersi nella sofferenza e rotolarsi in un amplesso furioso, non certo un chiodo arrugginito.
Io non scrivo più d’amore. Non per disprezzo, ma per rispetto. L’amore vero, se finisce in versi, dovrebbe avere addosso la ruggine e l’odore di pioggia, non il profumo del detersivo. E il dolore, se c’è, non si mette in vetrina: si tiene in tasca, insieme a uno scontrino stropicciato e ad un bottone senza giacca.
Così, quando porto poesie su vento, ruggine, gabbiani ladri o silenzi che sanno di benzina, mi guardano come si guarda un’opera astratta: “Eh… interessante… ma non scalda il cuore, non muove la pancia”.
E io penso che il cuore non è un termosifone.
La poesia è cosa seria: una lama, un sasso, una luce che acceca o un’ombra che ruba la strada. Non un gadget da tazza regalo.