Storie sul sofà

scritto da Frizzella Dolls
Scritto 3 anni fa • Pubblicato 4 mesi fa • Revisionato 4 mesi fa
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Scrivere questo racconto è stata la mia cura per risalire dopo un periodo di attacchi di panico.
- Nota dell'autore Frizzella Dolls

Testo: Storie sul sofà
di Frizzella Dolls

CAPITOLO 1

C’era una volta un re, seduto sul sofà. che disse alla sua balia: “Raccontami una storia!”, e la storia incominciò…….

C’era una volta un bellissimo foglio di carta bianca, lindo, liscio, invitante. Era lì, in un atelier, su un bel tavolo di legno pulito, vicino erano disposte tante matite colorate in ordine come un arcobaleno.

Passò di lì un artista un po’ distratto, che per un attimo dimenticò la sua distrazione e si entusiasmò a tal punto da prendere una bella matita viola e disegnare un bel punto rotondo e importante nel bel mezzo del foglio bianco. Lo disegnò facendo attenzione che fosse esattamente rotondo e senza sbavature. La distrazione però riprese potere nella testa dell’artista, e questi se ne andò, abbandonando la matita sul foglio, preso da pensieri di tutti i colori e tutte le forme.

Il punto viola era proprio un bel punto. Era anche un punto un po’ particolare, era come dotato di vita propria. Pensava, addirittura. Poteva girare su sé stesso e si accorse di trovarsi su un magnifico foglio di carta bianca, una superficie tutta per lui.Si sentiva grande e potente, si sentiva un re, re di un magnifico territorio bianco pronto a diventare una magnifica opera d’arte.  Gongolava al pensiero di avere un potere così grande e si immaginava di poter fare grandi cose. Ma le matite non sentivano la sua voce e se ne stavano sempre lì ferme.

Però i giorni passavano e non succedeva proprio un bel niente. Il bellissimo punto viola cercò di portar pazienza nell’attesa di chissà quale evento che portasse un cambiamento. A dire la verità si sentiva anche un po’ solo, su quel foglio. Vedeva le matite accanto al foglio ma per quanto le chiamasse quelle non si muovevano nemmeno di un millimetro. Che smacco per uno che si sentiva un re.

Una mattina scoppiò un violento temporale, con vento, lampi, tuoni e fulmini. Il nostro punto-re si sentiva sollevare con il foglio dagli spifferi che entravano dalle finestre. Aveva una paura terribile. Improvvisamente dal soffitto di legno caddero alcune gocce d’acqua sul punto viola e sul foglio bianco. Il punto viola era stato disegnato con una matita acquarellabile, e sentì che gli stava accadendo qualcosa di speciale. Si sentì come ingrossare dalle gocce d’acqua, i suoi confini non erano più così stabili e vide suo malgrado che il suo bel colore viola si distribuiva in qua e in là spinto dall’acqua e dagli spifferi e formava linee di varia lunghezza e spessore. Alla fine del temporale era esausto e si addormentò.

La mattina seguente il nostro artista distratto ritornò nel suo atelier. Si avvicinò al tavolo di legno e improvvisamente la sua attenzione diede una gomitata alla distrazione per farsi spazio nella sua mente. Davanti a lui il bel foglio bianco con un punto viola si era trasformato in un meraviglioso fiore con tante sfumature di viola che pareva sorridergli. Si grattò la testa per essere sicuro di non avere le traveggole. In quel momento cadde una goccia dal soffitto al centro del fiore, la goccia scivolò sul foglio disegnando la riga di un bel gambo viola. Il nostro artista non più distratto spostò il magnifico fiore viola su un altro tavolo asciutto, aspettò che il foglio si asciugasse e poi lo incorniciò.

Il quadro fu regalato ad una bambina che compiva cinque anni e che adorava il colore viola. La bambina strinse a sé il quadro e poi se lo fece appendere accanto al suo letto, in modo da vederlo e rallegrarsene ogni mattina al risveglio.

Il nostro punto viola si era trasformato e con lui anche i pensieri. Non gli importava più di essere un re o di avere chissà quali poteri. Aveva trovato lo scopo della sua vita, portare la bellezza e la gioia a chi le sapeva apprezzare.

CAPITOLO 2 

Riecco il famoso sofà, nel bel mezzo della sala del trono, e il nostro re che stavolta nervosamente vi camminava intorno. Aspettava la balia per la storia della buonanotte, ma quella non arrivava.

Era stata una giornata difficile, i suoi generali volevano muovere guerra a tutti i costi al regno vicino. Il motivo non si capiva proprio, era molto confuso, fatto di paroloni che messi insieme non avevano alcun senso secondo il re, che si era sentito un imbecille non sapendo rispondere adeguatamente ai suoi generali. Gli era venuta una gran voglia di licenziare tutti quei generaloni, a cominciare da quello dalla pancia grossa e folti baffoni neri, che più di tutti voleva la guerra. “Un vero re fa le guerre e conquista altri paesi”, insisteva, guardandolo con disprezzo. Al re invece non importava un bel niente di quanto grande fosse il suo regno, a lui piaceva così com’era, con tanta campagna, boschi, valli, monti e tante persone allegre che lo salutavano al suo passaggio.

Finalmente arrivò la balia, che aveva impiegato più del solito a mettere in ordine la sala da pranzo e la cucina, dato che i generali nella discussione si erano messi a tirarsi forchette, pezzi di pane, foglie di insalata, a versarsi addosso il vino…. Insomma, ne avevano fatte di tutti i colori. La balia si sedette accanto al re sul sofà, gli accarezzò una mano per calmarlo, e la storia incominciò.

C’era di nuovo il nostro artista distratto, seduto al tavolo del suo atelier. Davanti a sé aveva un altro bel foglio bianco, lindo e invitante.

Doveva fare il ritratto di una principessa, di cui aveva una bella fotografia in bianco e nero appoggiata sul cavalletto. Era ripresa di tre quarti, con i capelli raccolti, un vestito bianco decorato da pizzi e merletti, un parasole appoggiato su una spalla, lo sguardo distratto, come se pensasse di essere in un altro luogo. Era proprio lei la bimba di cinque anni che aveva ricevuto il disegno del fiore color glicine creatosi magicamente grazie a un temporale notturno. Dopo quindici anni era diventata una bellissima giovane donna. Il suo ritratto era stato commissionato dall’imperatore suo padre, da mostrare ai vari possibili pretendenti affinché si facessero avanti per chiederla in moglie. 

Il nostro artista era lieto di poterle essere di nuovo utile con la sua arte. Gli anni erano passati anche per lui però, e dopo aver tracciato le linee del viso sul foglio bianco, disegnato l’acconciatura e l’abito, la stanchezza si fece sentire ed egli si addormentò distrattamente sulla sedia. Aveva lavorato con una tale accuratezza che la principessa sembrava viva lì, davanti a lui, intenta ad ascoltare il fruscio della matita sul foglio.

La sognò, ella lo guardava con occhi tristi, sembrava dirgli che lei non si voleva maritare, e che desiderava viaggiare in tutti i paesi del mondo, conoscere persone di popoli diversi, vedere le meraviglie della natura e delle opere degli uomini. Invece era bloccata a casa, finché non avesse trovato un marito. Al suo risveglio si era accorto di aver fatto distrattamente cadere sul tavolo i barattoli del blu, del rosso e del giallo, e la pittura si spargeva inesorabilmente sul suo disegno, i colori si mescolavano e si trasformavano in verde, arancione, viola, marrone.

Che pasticcio! Che fare adesso? Idea! Con i pennelli si mise a creare un meraviglioso paesaggio, un luogo magico, che si potesse visitare e scoprire con l’immaginazione. Il volto e l’animo della principessa erano racchiusi in questo paesaggio, e solo occhi attenti avrebbero potuto scorgerli.

Il nostro artista distratto consegnò il ritratto al messo imperiale. Quando l’imperatore vide il quadro si arrabbiò e non voleva pagare il nostro artista; invece la principessa colse il suo riflesso nel quadro, e decise che avrebbe sposato solo chi fosse riuscito a scorgerla nel dipinto.

L’imperatore non poté che aprire le braccia in segno di resa – era la sua figlia prediletta! – e organizzò un fastoso ballo, a cui invitò i principi di tutti i paesi, vicini e lontani. Ciascun principe lodava la bellezza del dipinto ma non riusciva a scorgervi la principessa. Tiravano a indovinare, ma invano.

Nel frattempo, il nostro re era riuscito a dimenticare i suoi generali per un po’, ascoltando la storia della balia e si era addormentato, sognando di provare anche lui a scorgere la principessa nel quadro. La balia lo coprì con la coperta e se ne andò. 

CAPITOLO 3

La sera successiva il re era molto imbronciato dopo una giornata densa di discussioni e litigi e non aveva la testa per ascoltare storie quella sera. La balia lo guardò con affetto, come una madre guarda un figlio e disse semplicemente: “Ricordati che il re sei tu, e che quando si segue il proprio cuore la strada è sicuramente quella giusta”. Seguire il proprio cuore, bastasse questo per affrontare quei generali forsennati! Il re se ne andò a letto non molto soddisfatto. E invece…

Si svegliò la mattina riposato, si lavò, si vestì e fece colazione, poi convocò d’urgenza tutti i generali nella sala del trono.

“Signori generali”, disse, “io sono il re, quindi decido io. Chi non è d’accordo con me ha due opzioni: accettare le mie decisioni, oppure andare in prigione. Qui non si fanno guerre. Punto.”. Brusio generale. Il generalone dalla pancia grossa e i baffoni neri cominciò ad agitarsi: “Ma insomma, siamo generali, la guerra è il nostro mestiere, se non la facciamo e non conquistiamo altri regni che generali siamo?”.  Il re schioccò le dita e quattro corazzieri afferrarono il generalone per braccia e gambe e lo trascinarono in prigione.

Gli altri generali si guardarono smarriti. “E adesso cosa facciamo?”, chiesero. Il re diede a ciascuno un cavalletto, dei colori e dei fogli. “E cosa ci facciamo con questi?” chiesero. “Viaggiate nel mio regno e dipingete quello che vedete.”, disse. La maggioranza dei generali non sapeva nemmeno tenere in mano la matita. “Piuttosto la prigione!”. Il re schioccò di nuovo le dita e i corazzieri scattarono ad eseguire gli ordini.

Rimasero due giovani generalini, che erano diventati generali perché lo erano i loro padri. Con gioia presero i cavalletti, i colori e la carta e partirono per dipingere ogni luogo del regno. Tornarono dopo tre anni portando con sé una miriade di quadri che ritraevano luoghi, ritratti, persone affaccendate, albe, tramonti. Il re ne tappezzò le sale del palazzo, che divenne così un’immensa galleria d’arte, molto rinomata e visitata da turisti provenienti da ogni capo della terra.

CAPITOLO 4

C’era una volta di nuovo il re, seduto sul sofà, gongolando per essersi liberato dei generaloni guerrafondai, mostrando di saperci fare, di essere un vero re e di farsi rispettare. Era impaziente di udire dalla balia se un qualche principe fosse finalmente riuscito a scorgere la principessa nel dipinto.

La storia finalmente incominciò, riprendendo il filo del giorno prima: la principessa di soppiatto si era cambiata d’abito, aveva indossato un vestito più semplice e pratico, con un bel grembiule bianco, aveva scritto una bella lettera all’imperatore suo padre in cui lo ringraziava di ogni cosa e gli dichiarava il suo amore di figlia, e senza farsi notare era uscita dal castello, mentre ancora continuavano i festeggiamenti. Si era fatta dire dal messo imperiale come fare per arrivare dall’artista che le aveva fatto il ritratto, e lesta si mise in cammino.

Dovette camminare un bel po’, il villaggio dell’artista era un po’ lontano. Finalmente arrivò alla sua porta e bussò. Il nostro artista distratto dormiva della grossa da molte ore. Ma essendo distratto, aveva dimenticato di chiudere la porta con il chiavistello e la principessa poté entrare. Era affascinata dal tavolo pulito e ordinato con un bel foglio bianco ed invitante, attorniato dall’arcobaleno di matite acquerellabili, un barattolo di acqua pulita e pennelli pronti per essere utilizzati. Si sedette al tavolo e fu attratta particolarmente dalla matita viola. Notò che accanto c’erano diversi toni di viola, più tendenti al rosso o al blu. Il suo viola preferito era il glicine, ricordando il suo magico quadro della sua infanzia. Mentre l’artista distratto continuava a dormire saporitamente, la principessa disegnò tanti fiori di lavanda, utilizzando tutte le tinte disponibili e mettendo al centro un bel fiore di glicine.  

Il nostro caro artista distratto finalmente si svegliò e fu lieto di vedere la principessa accanto al suo letto. Vide il dipinto che lei aveva fatto e le chiese di poterlo incorniciare e tenere in suo ricordo. Poi decise di darle in dono tutte le sue matite, le sue tempere, i fogli, il cavalletto, gli acquerelli, ad una sola condizione: lei gli avrebbe mandato ogni mese un dipinto che raffigurasse il luogo dove si trovava.

CAPITOLO 5

C’era una volta il re, seduto su un sofà, che immaginava di viaggiare anche lui in tutto il mondo con il suo cavalletto e i colori. Chissà, magari avrebbe potuto trovare anche lui una principessa come quella della storia della sua balia. In verità si era un po’ stufato di fare il re, di sopportare quotidianamente una serie di noiosissime cerimonie dove tutti gli facevano tante moine ma lui si annoiava da matti. Fingeva apposta di essere stanchissimo per andare sul suo bel sofà e immaginare di incontrare la principessa, ogni volta la immaginava diversa, bionda, mora, castana, con i capelli corti o lunghi, ricci o lisci, raccolti o sciolti, se la immaginava con belle guance rosse e occhi verdi, e immaginava che profumasse di lavanda.

Ascoltava tutte le sere i racconti dei vari viaggi della principessa, come quello che aveva fatto in India, dove aveva perfino visto degli elefanti veri e aveva potuto montarne uno e percorrere un bel tratto di strada ammirando dall’alto i colori della foresta. E quando invece era arrivata vicino al Kilimanjaro, un monte altissimo che si scorgeva da molto lontano? Per non parlare della volta che in Malesia si era imbattuta in una enorme tigre, prendendosi un enorme spavento, e si era salvata buttandosi in acqua e nuotando il più velocemente possibile. Un posto davvero magnifico era stata la grande muraglia cinese, alta, imponente, lunga chilometri e chilometri a cavallo delle montagne. Per anni la balia gli raccontò le avventure più incredibili di questa principessa coraggiosa e molto curiosa.

Ma un giorno la balia si ammalò gravemente, e non poté più raccontargli le storie della buonanotte. Qualche dignitario aveva provato a proporgli qualche film alla televisione, ma il nostro re trovava tutto artefatto, finto e soprattutto assai noioso. La televisione finì presto in un ripostiglio, dove fu dimenticata.

CAPITOLO 6

Quando la balia morì, il re rimase in lutto per molto tempo. Tutto era silenzioso al castello, si camminava in punta di piedi, per non disturbare il re. Era severamente vietato ridere, correre, fare baccano, parlare o cantare.I dignitari del palazzo erano molto preoccupati dello stato di salute del re ed alla fine decisero di rivolgersi all’indovina del villaggio vicino. In verità non aveva una gran fama, si diceva che fosse un po’ una ciarlatana, ma d’altra parte valeva la pena provarci, dopo che il medico personale del re aveva allargato le braccia incapace di fare una qualsiasi diagnosi.

L’indovina si presentò al re portando con sé il suo armamentario: una sfera di cristallo, un mazzo di carte speciali, vasetti di vetro con piante e fiori colorati, un mortaio con il suo pestello, e un misterioso sacchetto vuoto di juta. Il re era seduto sul sofà con un’aria a metà tra il mesto ed il trasognato, tra l’annoiato e il concentrato in qualcosa di misterioso, e non badava all’indovina. Lei si sedette su una sedia vicina al sofà, tirò a sé un tavolino posto lì accanto e vi depositò accuratamente la sfera di cristallo, il mazzo di carte e i vasetti, mentre lasciò il resto per terra sotto la sedia. Restò in rispettoso silenzio osservando il re e il suo comportamento.

Il re emise un profondo sospiro e guardò la sfera, ma non vedendoci nulla mise le mani dietro la nuca e guardò il soffitto, sospirando di nuovo. L’indovina prese allora il mazzo di carte e chiese al re di pescarne una. Su quella carta era raffigurato un bel glicine. Il re si riscosse improvvisamente dal suo torpore e si ricordò delle storie della sua balia. Finalmente pianse al ricordo, e questo gli fece bene, una sensazione di serenità cominciò lentamente a farsi strada nella sua anima. L’indovina fece un largo sorriso al re, prese il vasetto con i fiori di lavanda e quello con i fiori di glicine, li pestò insieme nel mortaio riducendoli in una finissima e profumatissima sabbiolina con cui riempì il sacchetto di juta che prese da sotto la sedia. Mise il sacchetto nelle mani del re e disse, sibillina: “Il ricordo della felicità è la guida per ritrovarla”. Mentre il re annusava il profumo di lavanda e glicine l’indovina raccolse tutte le sue cose e con un inchino se ne andò.

Il re annusò a lungo il sacchetto profumato a occhi chiusi, quando si riebbe vide che l’indovina non c’era più e gli dispiacque di non averla potuta ringraziare come si deve. Aveva riacquistato il sorriso, aveva un’idea grandiosa che era impaziente di realizzare. Mandò il messo reale a cercarla, per darle un sacco pieno di monete d’oro, sentiva che quanto aveva ricevuto non aveva prezzo. Ma appunto per questo l’indovina non volle nulla, disse: “L’ho fatto col cuore e questo non ha prezzo, quindi non voglio soldi” e aggiunse ridendo: ”Mica sono una ciarlatana, io!”. Suggerì saggiamente al messo reale di distribuire le monete a tutti gli abitanti del villaggio, affinché la gioia ritrovata del re si diffondesse anche ai suoi sudditi.

CAPITOLO 7

Il re chiamò al suo cospetto i due generalini, ormai artisti affermati. Li nominò uno re e l’altro viceré, avrebbero regnato loro in sua vece; in cambio si fece dare un cavalletto, tempere, acquerelli, fogli bianchi e invitanti, matite colorate, pastelli a cera e mise tutto in un bello zaino capiente. Si cambiò d’abito, si mise un camice bianco ed un bel berretto da pittore. Prima di andarsene diede varie dritte ai novelli re e viceré, che, come tali, erano un po’ alle prime armi e un po’ disorientati.

Lasciò però anche un’ultima volontà, che riguardava il suo amato sofà nella sala del trono, dove ora chiunque avrebbe avuto libero accesso. Aveva fatto in tempo a scrivere all’indovina una lettera chiedendole umilmente di accettare la nomina a Indovina reale e di aiutare chiunque si fosse seduto sul suo sofà a indovinare le proprie storie e trovare come lui la propria strada del cuore.

L’indovina aveva accettato e il re, zaino in spalla e con un bel bastone da passeggio in una mano. alla chetichella, canticchiando, partì, finalmente LIBERO, ormai autore della propria felicità, potendo partire all’avventura lui stesso, vedere le meraviglie del mondo con i propri occhi e nutrirne la propria anima trasformandole in disegni, pitture, quadri e chissà cosa ancora.

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