L'acqua che non ho bevuto

scritto da Paola7
Scritto 6 giorni fa • Pubblicato 6 giorni fa • Revisionato 6 giorni fa
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Autore del testo Paola7

Testo: L'acqua che non ho bevuto
di Paola7

Sul tavolo c’è un bicchiere d’acqua.
Trasparente, fermo, apparentemente vuoto di intenzioni. La luce del pomeriggio lo attraversa senza chiedere permesso e lo tradisce: rivela un bordo imperfetto, una minuscola bolla intrappolata nel vetro, una linea d’ombra che non appartiene né all’acqua né al tavolo, ma allo spazio fra le due cose. È da lì che tutto comincia: da ciò che sta in mezzo e non sa come chiamarsi.

Guardo quel bicchiere come si guarda un oggetto quando si è rimasti soli abbastanza a lungo da iniziare a proiettare su di esso una biografia. L’acqua non è mai solo acqua; è tempo che ha imparato a stare fermo. È una promessa di movimento trattenuta per educazione. Ogni sua molecola conserva la memoria di un altrove: una nube, una tubatura, una mano distratta che ha girato un rubinetto senza pensarci. E improvvisamente mi accorgo che anche io sono così: un insieme di passaggi che finge di essere una destinazione.

Il tavolo sostiene il bicchiere con la pazienza delle cose che non verranno mai ringraziate. Non chiede nulla, non commenta il peso, non registra la durata. Eppure, se il tavolo venisse meno, tutta la geometria della scena collasserebbe. È strano come le strutture fondamentali della nostra vita siano quasi sempre mute: le chiamiamo “normali” per non doverle guardare troppo a lungo, perché guardarle significherebbe ammettere la nostra dipendenza.

La luce, invece, è arrogante. Entra, modifica, interpreta. Decide cosa è visibile e cosa no. Senza luce non ci sarebbe bicchiere, non perché non esisterebbe, ma perché non avrebbe una forma condivisibile. Penso allora che la realtà non sia altro che un compromesso fra ciò che è e ciò che può essere visto. Il resto lo chiamiamo silenzio, o inconscio, o notte, a seconda del grado di poesia che siamo disposti a concederci.

E io, che guardo? Io sono l’atto di guardare che si crede individuo. Sono un punto di vista che ha imparato a dire “io” per comodità grammaticale. Nel riflesso curvo del bicchiere il mondo si piega, si deforma, diventa più piccolo ma più intenso. È così che funziona anche la memoria: non conserva le cose come sono state, ma come hanno attraversato una certa curvatura emotiva.

A questo punto il bicchiere non è più un bicchiere. È una soglia. Potrei berlo e interrompere il pensiero, oppure lasciarlo lì e permettergli di continuare a diventare simbolo, metafora, pretesto. Scelgo la seconda opzione, come fanno quelli che hanno paura di concludere. Perché concludere significa scegliere una forma definitiva, e ogni forma definitiva è una piccola morte.

Così resto a osservare, mentre l’acqua evapora lentamente, impercettibilmente, come fanno le convinzioni quando smettiamo di difenderle. Nessun gesto eclatante, nessuna rottura: solo una sottrazione costante. Forse è questo che chiamiamo vivere dal mio punto di vista: assistere a una serie di trasformazioni minime, quasi invisibili, e decidere di tanto in tanto che valgono abbastanza da essere raccontate.

Il bicchiere, alla fine, rimane. Un po’ più vuoto, un po’ più vero.
E io con lui.

L'acqua che non ho bevuto testo di Paola7
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