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Io me le ricordo quelle domeniche di Pasqua di quando ero bambina.
C'era l'attesa che seguiva ad una rigorosa preparazione, di cui ricordo con più piacere quella fisica e tangibile che non quella spirituale e incerta.
Arrivavo già con i gomiti e le ginocchia sbucciate dopo aver scorrazzato tra la campagna e le dune a Capo Comino, mai paga di libertà e di nuove avventure, lì, dove nella casa dei miei nonni nei giorni precedenti erano state preparate sas casatinas, dolci con la ricotta e salate, con prezzemolo e menta, quella che mi mandavano a raccogliere dall'aiuola a ridosso della casa del pane, e su cocone pintatu, con le decorazioni floreali, opera esclusiva di mia zia Frantzisca.
La sveglia nel giorno di Pasqua era diversa, era gioiosa, era densa, concreta, non eterea.
Era piena di profumi che riempivano ogni angolo della casa:
sapeva di tiepido caminetto, dove l'agnello cuoceva lento, sapeva di armonia, come se ogni cosa occupasse il posto giusto, sapeva di primavera, quella giusta, non stordita e confusa da un clima bizzarro ed inconsueto.
Non li vedevo, ma l'aria sapeva di petali di fiori che si muovevano leggiadri e che si posavano, lievi ed invisibili, sugli animi delle persone: io li sentivo, sapevo di muovermi in mezzo a loro.
Dopo colazione non c'era verso, non resistevo, e non si trattava di trovare la sorpresa dentro un uovo di cioccolato quanto prendere in mano la mia pipiedda chin s'ovu, contemplarla per un attimo e poi mangiarne le strisce di pasta che incastonavano l'uovo, liberandolo.
Il resto lo avrei mangiato più tardi, forse, o più probabilmente l'avrei dimenticato, lasciandolo muffire.
E come ricordo quel vestitino rosso con il laccetto blu a incrocio sulla scollatura, mamma mia quanto mi piaceva!
Lo adoravo, come se fosse stato esclusivamente il mio e non smesso da mia sorella.
Poi ci si preparava per andare a messa e, anche mio padre, dopo aver curato l'arrosto nel caminetto non si perdeva la processione de s'Incontru.
Allora uscivo felice, saltellante, vestita a nuovo e, senza saperlo, ero una bambina forte: forte perché avevo una vita semplice e genuina, perché ero capace di vedere i colori dei petali che riempivano l'aria e di sentirne i loro profumi; ero forte perché stavo inconsapevolmente costruendo preziosi ricordi, proprio quelli che oggi mi rendono fragile e vulnerabile.