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A luce diurna trovar pace non posso,
mi fu pelle condannata, ferita da Apollo.
Fui da li dèi sottoposto a processo;
post sentenza mi salvò Ermes il collo.
Solo luce d’astro voleva il primo per l'uomo,
ma fiero volli io grandemente osare:
portai altra, e molta luce come dono,
il grande e nobile bagliore intellettuale.
Avrebbe voluto Apollo darmi la morte,
ma intervenne Ermes commosso,
proponendo per me una diversa sorte:
ne la luce del dì trovar gaudio non posso.
«Hai donato luce mentale all’uomo,
e dunque io di luce astrale ti priverò.
Titano senza nome, ti sia il giorno vano,
ma in compenso signor de la notte ti farò.»
Così ebbe a sentenziare il dio Apollo,
e indubbio mi convenne accettare.
Ma un patto con l’uomo non mollo:
la mia grande luce saprò riportare.
I raggi di mia luce tagliano catene,
ergo de li dèi la caduta è scritta:
disfatta per l'assai infame potere,
ed ancora la Gea resterà invitta.
A processo purtroppo anche lei hanno portata,
ma l’accusa d’immeritata libertà non ha senso.
Però la carta de la verità è oramai calata:
il loro sopruso fu ed è grande, immenso.
L’opera prometeica prosegue,
e fiero me ne faccio erede io.
L’uomo avrà il grido ch'or segue:
non più sarò servo d’alcun dio!