Sotto al sole cocente vagava un Povero,
i pochi averi racchiusi in un fodero,
sul solco dell’omero un vestito lacero,
trovò riposo all’ombra di un acero.
Il fisico ridotto ad una maceria,
ma l’animo esente da cattiveria,
giaceva quieto cantando una nenia
trovando ristoro all’ultima meria.
Giunse un Ricco in quel frangente,
non domandò neppure niente.
Incalzò l’uomo, immantinente,
pretendendo, avaro, in cambio il valsente.
Continuò quello, con tracotanza:
“La legge non tollera certo ignoranza!
L’albero stanzia nella mia possidenza,
mi ripagherai con la manovalanza.”
Passava per caso vicino un Saggio,
teste di tanto, ignobile, oltraggio
e dando sfoggio d’arguto linguaggio
diede al pover’uomo un discreto vantaggio.
“L’ombra che dall’albero si staglia
si trova al di fuori della tua sodaglia.
Trattieni ‘l furor che t’attanaglia
ed acquieta questa vil schermaglia.”
Così terminata la sua lezione,
sentiva ormai vinta la loro tenzone.
Ma quello non volle sentire ragione,
chiuso nella mente, il crapulone.
Si sa che negli animi privi di scienza
l’unica guida è l’esperienza,
e il caso volle, per pur coincidenza
che un tordo arrivò quieto, a beccar la semenza.
Sorrise il Saggio: “colpa dei venti,
rubarono i semi ai tuoi possedimenti!
E una volta mangiati, per esser coerenti
dovresti riscuoterli come escrementi.”
Il Ricco si tinse nel volto feroce,
ma dentro al petto non si sciolse la voce.
Coda tra le gambe, fuggì via veloce,
come il cane sconfitto abbaia sottovoce.
Si sa che degli uomini pieni di scienza
boria e superbia sono quintessenza.
Il piacere di manifestar intransigenza
supera quello di qualsiasi indulgenza
Rimasti solinghi col rumore del fieno
cercò poscia le lodi di quel nazareno.
Ma ecco la vanità venire un po’ meno:
il Povero stava dormendo sereno.
Il Povero , il Ricco e il Saggio testo di L.L.