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La prima visita all’eremo lo aveva incantato; ora provava un bisogno profondo di comprendere il significato più autentico di quel luogo.
La chiesetta lo avvolgeva con la copertura semisferica a fasce cromatiche alternate, rammentando quasi un santo calice capovolto. Antiche colonne e maestosi candelabri in ferro battuto, incorniciavano le spartane pareti, addobbate circolarmente da quattordici discrete croci. Di fronte a lui al centro, un umile raccolto piccolo altare.
Rannicchiato di fronte alla spada conficcata nella roccia, si abbandonò alla meditazione. L'ombra dell’elsa proiettata sulla parete, sembrava danzare al ritmo di un insolito vento, creando un'atmosfera quasi ipnotica. Chiuse gli occhi e provò a immaginare il giovane Galgano Guidotti, turbolento cavaliere medievale, che rinunciò a tutto per abbracciare la sua vocazione.
In quel preciso istante, un presentimento cambiò ogni cosa. Fu come se un’antica voce ancestrale gli sussurrasse all'orecchio. Non era un suono udibile, ma una sensazione, un'intuizione profonda. Comprese che la spada non era solo un arcaico pregevole oggetto, ma un simbolo di scelta, di rinuncia, di un cammino interiore da intraprendere.
Nei successivi giorni, Francesco dedicò il suo tempo a studiare la storia dell'eremo e la vita stessa di San Galgano. Lesse le antiche cronache, ascoltò i racconti dei locali anziani che vivevano ancora in quei luoghi. Apprese che la leggenda della spada racchiudeva solamente una piccola parte di una storia molto più complessa, una narrazione di grande coraggio, di fede, di compassione.
Una mattina di buon’ora fece tappa alla biblioteca di Chiusdino. Mentre assorto sprofondava tra le decine di libri impolverati dal tempo, si imbatté in un vecchio manoscritto della seconda metà del XIII secolo. La sua attenzione fu catturata dalla logora custodia in cuoio, recante un’incisione a fuoco di un San Galgano penitente in preghiera. Era incredulo: si trattava di un consunto diario appartenuto ad un anonimo pellegrino, che aveva visitato l'eremo secoli prima. Tra le ingiallite pagine dignitosamente redatte, vi trovò un passo che lo colpì profondamente - “Qui, in questo luogo sacro, l'uomo ritrova la sua vera natura, la sua connessione con l’inspiegabile eccelso amore".
Francesco comprese da li a poco, che il mistero dell'eremo e la sua preziosa reliquia, non risiedeva in enigmi da decifrare o tesori nascosti da riportare alla luce, ma nella sua capacità di sfiorare l'anima delle persone.
Fu cosi che tornato alla spada, come mosso da un inesplicabile richiamo, la guardò con occhi nuovi. Non si trattava più di osservare uno splendido oggetto misterioso, ma un invito a riflettere sul percorso spirituale della propria vita, sulle proprie scelte e sul proprio rapporto con il divino.
Abbandonato l’eremo, si girò un’ultima volta ad osservare quella spada che pareva ringraziarlo: primordiale strumento di offesa, essa era divenuta un ponte fra terra e cielo. Lo stesso ponte sul quale, nella sua semplicità, quell'uomo si trovò ad attraversare, sentendo la brezza autunnale di quella magica terra accarezzargli il volto.