Ricordo n.2

scritto da Sdeh
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Autore del testo Sdeh

Testo: Ricordo n.2
di Sdeh

Ogni tanto volgo lo sguardo verso la parete della mia stanza e mi perdo a osservare alcune fotografie. Ce n’è una in particolare che trattiene sempre il mio sguardo: una spiaggia brasiliana al tramonto. Basta soffermarsi su quei colori perché si apra una porta segreta nella memoria e da lì riaffiori uno dei momenti più intensi vissuti laggiù: il “ricordo n. 2”.

Andai a Rio de Janeiro per motivi di studio e nei momenti di svago spesso volgevo lo sguardo verso le nuvole. Tante furono le volte in cui mi soffermai ad ammirare il volo dei deltaplani, che, come gabbiani, disegnavano traiettorie leggere nel cielo.

"Dev’essere un’esperienza incredibile…” pensavo, “ma anche pericolosa, se qualcosa lassù va storto il rischio di rimanerci secchi è alto”. Volevo farlo anch’io, ma avevo paura. Due mesi ci vollero per prendere quella decisione e una mattina, stanco di pensare, scelsi di farlo.

Andai al campo base con un amico, un caro amico. Si chiamava “A., sguardo sognante” e avrebbe aspettato sulla spiaggia di São Conrado fino al mio ritorno.
Ero silenzioso e il mio sguardo fuggiva nella foresta, ogni stimolo attorno era un buon motivo per scampare al pensiero di ciò che stavo per fare. 

- “Che hai?”, mi chiese A.
- “Niente, un po’ di paura”, risposi.
- “Nah, non hai paura, sei solo un po’ spaventato.”
- “Per l’appunto…”
- “Senti, è normale che tu ti senta così. Fidati di me: la paura durerà un secondo e sarà bellissima anche quella. Ora però, va’ lassù. E vola!”

A volte le parole di un amico valgono più di mille notti passate a riflettere. Mi diedero coraggio e mi ricordarono le ragioni che mi avevano portato lì. Così lo guardai e dissi: “Hai ragione. Grazie, davvero. Vado, ci vediamo dopo”.

Era arrivato il momento. Ancora una volta mi misi lo zaino in spalla e camminai fino alla vetta della montagna: la Pedra Bonita.
Bella lo era davvero, la pietra intendo, ma anche impressionante. Il salto era alto seicento metri. Eppure, stranamente non provai paura: il mio cuore era sereno, perfettamente certo di ciò che voleva e felice di essere proprio lì.
Mi sentivo un po’ come Jake Sully prima di lanciarsi dai monti Alleluia in groppa al suo Ikran, solo un po’ più basso e meno blu.

Fu qui che conobbi il mio maestro di volo: “R., cuore d’aquila”, pronto a insegnarmi le leggi del salto e del vento.
Era un personaggio particolare, apparentemente scherzoso e solare, ma estremamente serio e meticoloso nel suo lavoro. Mi guardò negli occhi per tutto il tempo, forse per capire che tipo di persona fossi. Quando hai la responsabilità di portare per aria qualcuno, credo sia importante intuire almeno un po’ chi hai di fronte.

Indossammo l’attrezzatura, era leggera, chiaramente progettata per il volo, facemmo alcune prove e ci mettemmo in posizione di partenza.
Respirai e respirai ancora, finché non mi sentii del tutto rilassato.
Vi fu silenzio per alcuni secondi… poi venne squarciato dal grido di R.: “One, two, three, go! Run! Run!!”
E così, senza pensarci due volte, corremmo a tutta velocità verso il dirupo e saltammo.

Adrenalina pura si sprigionò nelle mie vene fino a togliermi il fiato, ma solo per un istante. Da lì in poi fu solo pace: ce l’avevo fatta, stavo volando.
La visione era sconfinata. Lentamente ci allontanammo dalla Pedra Bonita per librarci verso i Dois Irmãos, colonne invalicabili tra São Conrado e Praia de Ipanema.

 Ad un tratto R. mi guardò e disse:
- “Wanna try my friend?”
- “What?”, risposi.
- “Yes my friend. Try!”

Sì, m’invitò a pilotare il deltaplano quel cuore d’aquila. Esitai un istante, poi misi le mani sulla barra di pilotaggio e provai. Vorrei potervi dire che scoprii d’essere un talento naturale, chiaramente non fu così, d’altronde, mica sono Tom Cruise. Però tentai e il brivido di vedere l’aliante rispondere ai movimenti del mio corpo fu davvero appagante.

Il volo in deltaplano è un’esperienza generosa, concede un istante per assaporarne ogni aspetto, dal gesto estremo del salto alla lentezza della discesa. È un’esplosione di immagini: cielo, terra e mare insieme.
Ricordo che a un tratto volsi lo sguardo sotto di noi e due gabbiani volavano pochi metri più in basso. Caspita… sembravano accompagnarci nella planata.

Ma anche sette minuti, per quanto sembrino tanti, finiscono.
Eravamo ormai a un centinaio di metri dal suolo. “Time to come back”, disse R. volgendo il becco affilato dell’aliante verso la spiaggia e cominciò la discesa. 

Il brusio dei bagnanti divenne sempre più forte e il silenzio dell’aria svanì: anche quel meraviglioso istante stava per finire. Ma nemmeno questo mi turbò. Atterrammo con un sussulto leggero sulla sabbia e per un attimo restai fermo, con il cuore ancora sospeso lassù, tra il cielo e la Pedra Bonita.
Abbracciai R. e gli dissi addìo, ringraziandolo come poche volte ho fatto in vita mia. Infine raggiunsi A., che sorridente mi chiese:
- "Beh? Come è andata?
- "Benissimo" gli risposi
- "E adesso? Che facciamo?
- "Caipirinha al primo chiosco che troviamo. Offro io"

Ed eccomi qui, otto anni dopo, a raccontare questa breve storia in attesa che la cena finisca di cuocere. Sono un po’ stanco, è stata una giornata difficile, ma stasera l’oceano e i cieli del Brasile mi sembrano un po’ più vicini.
Non so bene come chiudere, l’incipit e l’epilogo d’un testo mi mettono sempre in difficoltà, ma ora che ci penso, mi viene in mente il passo di un libro a me caro, Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare. Credo si sposi bene con quanto raccontato:

“L'umano accarezzò il dorso del gatto.
«Bene, gatto. Ci siamo riusciti» disse sospirando.
«Sì, sull'orlo del baratro ha capito la cosa più importante» miagolò Zorba.
«Ah sì? E cosa ha capito?» chiese l'umano.
«Che vola solo chi osa farlo».”



 

Ricordo n.2 testo di Sdeh
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