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Apre gli occhi, la lampada è rimasta accesa, anzi l’ha lasciata accesa perché non gli piace svegliarsi al buio, e sa che sarà buio quando si sveglierà. Guarda l’ora dalla radiosveglia sul comodino: l’una e venticinque. Allunga il braccio, gli occhi ancora annebbiati dal sonno, prende il pacchetto di MS, ne tira fuori una, se la porta alle labbra, dov’è l’accendino? Ah, eccolo, è caduto a terra. Tira una boccata e sente il rantolìo del suo respiro, non è una buona idea fumare appena svegli. Una mezz’ora per trovare il coraggio di uscire dal letto, ma per fare cosa? E’ notte, fa freddo. Ah, il caffè. Entra in cucina, accende la luce, la gatta accovacciata sul tavolo, come lo vede scende, gli si avvicina, forse ha fame, sicuramente ha fame, anche se non ha fame vuole mangiare lo stesso. La ignora, per il momento, e mette su la vecchia ma fedele moka tre tazze. Per un iperteso il caffè è un ottimo rimedio contro il freddo, dopo averne bevuto una tazzina si inizia a sudare, ad avere caldo, anche se la temperatura esterna è rigida. Certo sarebbe meglio evitarlo in questi casi. Si accende la seconda sigaretta seduto a tavola con la tazzina fumante davanti, silenzio assoluto, il ticchettío della lancetta dell’orologio appeso alla parete è distinto e netto, le due e diciannove. Fissa un punto nel vuoto, non pensa a niente, anzi a tutto, quindi a niente. Solitamente, o fortunatamente, lo stato di coscienza della realtà, quando ci si sveglia, è parziale, in media lo si raggiunge gradualmente e completamente entro un paio d’ore. Per questo è buona abitudine scrivere i propri pensieri, o sogni, subito dopo il risveglio, perché non si è ancora condizionati, in parte, dall’esterno. Spesso, anzi quasi sempre, poi capita che rileggendoli a mente lucida ci sembrano delle sciocchezze, è vero, addirittura strappiamo tutto per la vergogna, ma questo non è molto importante. Quindi prende il blocchetto giallo di post-it da un cassetto, e scrive:
“Lo sento, lo avverto,
è alle mie calcagna,
mi tiene d'occhio,
quasi sotto tiro.
Non gli sfugge niente,
mi lancia messaggi,
come preavvisi.
Adesso ha altro da fare,
ma non si dimentica di me,
ed io non posso dimenticare lui;
ha lasciato troppi segni in me,
nelle sue visite brevi ma intense.
Ed io quasi lo attendo,
come il colpo fatale,
come la fine del tormento,
come la pace dell'animo.”
Ma questo non è molto importante.