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Ho paura.
Paura del buio che siede accanto a me,
che mormora il mio nome con voce di ghiaccio,
che mi carezza le tempie come amante infedele.
Paura del silenzio —
quel silenzio che odora di muffa e di carne stanca,
che graffia le pareti del mio cuore
come un topo rinchiuso nel sepolcro.
Non c’è più nessuno.
Gli amici — larve dissipate.
L’amore — un sogno che marcisce nella memoria.
Resto io, e la mia ombra,
a fissarci negli occhi come due condannati
che si attendono la morte a turno.
Le mie vene sono strade deserte,
dove scorre un sangue tiepido e stanco,
che non vuole più nutrire la vita.
Ogni battito del cuore è una bestemmia;
ogni respiro, una menzogna.
Il tempo si sbriciola come gesso fra le dita.
Le ore cadono a pezzi sul pavimento della mente.
Ogni pensiero ha il sapore del ferro,
ogni ricordo è un chiodo nella carne.
Eppure — non so smettere di ricordare.
C’è una voce — lontana, febbrile, spezzata —
che mi chiama dall’abisso,
come un canto d’amore sepolto sotto il gelo.
Vorrei urlare, ma la gola è pietra.
Vorrei piangere, ma gli occhi hanno dimenticato il pianto.
Solo la paura rimane —
lucida, viscida, immortale —
come un verme che mi rode il cuore da dentro.
Ah, se la Morte volesse!
Se aprisse la porta con un fruscio lieve,
e venisse a me —
non con falce, ma con mani di tenebra e velluto —
mi lascerei cadere nel suo grembo nero,
come un bambino che torna al seno della madre.
La bacerei — sì —
sulle labbra fredde, sulle orbite vuote,
e le direi: “Portami via.
Fammi dimenticare il rumore del mondo.”
Perché non c’è più canto, né luce,
né sguardo che mi chiami uomo.
C’è solo questa solitudine che m’invade
come marea putrescente,
questo terrore dolcissimo di restare vivo
quando tutto ciò che amo è morto.
Lasciami morire, o Morte.
Spogliami della mia carne e dei miei pensieri,
scioglimi nell’oblio come zucchero nel vino,
fa’ che io diventi ombra, vento, niente —
ma non più quest’uomo
che respira soltanto la propria fin