Genuflesso al lato del letto, Roberto martoriava un'unghia tra i denti nella contemplazione della coperta di fotografie che aveva allestito.
Attento alle chiacchiere ci stava sempre poco, che fossero della televisione o degli umani attorno di turno, così volatile la sua mente da schermare il superfluo; c'erano sempre pensieri male incatenati a distrarlo dall'immanente e, quella sera, uno in particolare aveva solleticato il suo interesse, portandolo a rimettere mano a quel cassetto dimenticato in cui aveva accumulato (e tumulato) foto.
Appena qualche anno prima (o secoli fa), non era poi tanto orso diffidente da spostarsi alla periferia dell'inquadratura; sorrideva spesso, almeno nel breve clic dello scatto, in istanti rubati di cui non ricordava il sapore.
Ricordava, però, le proteste polemiche dei genitori per la mancanza di pose, come si usava ai loro tempi, quando le foto si pagavano care e si teneva che fossero perfette riproduzioni delle fattezze, per spedirle ai parenti, per incorniciarle sul comò, per ricordare... Ok, forse si parlava di una generazione precedente, non proprio quella dei genitori, perché lui stesso non era poi così vecchio (dettagli!).
Ma aveva fatto sviluppare ogni negativo, con la mica speranza che si positivizzassero col tempo.
O anche no.
Ce le aveva, tutte quelle foto, perché gli andava di scartabellarle nell'ozio, all'epoca. Poi le aveva dimenticate, logicamente.
Nonostante non fosse peggiorato nella propria beltà, aveva iniziato a defilarsi, a parare i flash con le mani sul volto, a volgere altrove lo sguardo alla vista dell'inviso obiettivo. Nemmeno l'era dei selfie aveva attecchito nella sua indole immusonita dagli anni.
Roberto era la macchia di luce che non ci si aspettava nello sviluppo della pellicola, l'effetto mosso che confondeva la sicurezza del soggetto.
Avendole tutte sott'occhio, in quella preghiera insolita all'altare del letto, oltre alle riflessioni sul tempo trascorso, lo spremersi della memoria circa qualche amico sbiadito o qualche ragazza sullo sfondo (in foto scattate appositamente senza un preciso panorama), non era giunto ad alcuna pietra miliare della propria vita.
Se c'era stato un momento in particolare in cui era cambiato (maturato, avrebbero detto i suoi), la risposta non era in quelle foto, né ricordava più la domanda curiosa che gli era sorta prima di incasinare il letto.
Con un misto di nostalgia e delusione, le aveva ammonticchiate e scaraventate nel cassetto, come ciarpame insensato: i migliori ricordi erano quelli nella memoria e, lì, la polvere era benevola.
- E come mai hai tirato fuori le foto? -.
- Ma niente... Mi era venuto in mente un nome e non ricordavo bene il volto. Niente d'importante -: mentiva?
- E almeno l'hai trovato? -.
- No. Ma non ha importanza, ti ripeto. Il passato è passato -.
- Uomo o donna? -.
- Buonanotte -.
Qualunque sia il motivo alla base dello spoglio delle foto, la certezza invalidante é che si fanno i conti col tempo e, nel dare e avere, c'è sempre un oste furbo che si mette in tasca le monete delle emozioni.
Al mattino, Roberto era più ingabbiato del solito.
Nessun saluto biascicato, da casa all'ufficio, al massimo un cenno del capo e una strizzatina d'occhi sulla mascherina, per camuffare un sorriso assente.
Dov'erano andati a finire i suoi sogni enormi e la gioia bambina?
Cosa voleva farne della sua vita quando le porte erano tutte aperte?
Chi gliele aveva sbarrate, in un attimo di distrazione?
Perché rimuginava così spesso?
Perché scostava a spallate le cornici, inchiodandosi nell'ombra?
Perché tutte quelle domande dalle risposte furiosamente malinconiche?
Il malumore era nebbia a cappotto, il fastidio nelle scarpe e l'ansia nel taschino: era quel che accadeva a Roberto, esploratore random.
Ci vogliono pugnali e pantaloni cargo per inoltrarsi nella foresta del tempo.
Random, non si riconoscono le sabbie mobili, non si fa caso ai funghi commestibili, ci si sloga la coscienza.
A puttane, il tempo. E al diavolo. In buona compagnia.
La ragazza di fronte aveva le braccia distese in avanti e il cellulare in posizione orizzontale tra le mani; forse sorrideva, o il sole le faceva strizzare gli occhi a guisa d'ilarità ma, molto probabilmente, il soggetto messo a fuoco era lui, Roberto turbato.
A rischio di fare la figura del fesso (i turisti avevano bizzarre idee sulla bellezza dei luoghi visitati e chissà che, alle sue spalle, non ci fosse stata una porzione di muro artistico), Roberto aveva mosso le mani ponendo la domanda a suon di palmi alzati: perché lo stava fotografando?
La tipa aveva mimato allo stesso modo la risposta: perché non fotografarlo?
Indice puntato al proprio petto, Roberto di rimando: perché io?
Indice a mulinello vicino alla testa in risposta: testa tra le nuvole.
Già.
Testa random in incognito, la sua.
Non era molto all'avanguardia con la tecnologia, ma quelle foto rubate le voleva a disposizione e, con la certezza della condivisione, si era diretto verso la provvidenziale sconosciuta (non per adescamento, ché non era valido come corteggiatore).
La sua era, più che altro, curiosità: come lo aveva visto? In quale luce?
E, soprattutto, le foto digitali avevano lo stesso impatto emozionale a scorrerle col dito sul display?
Chi, meglio di una sconosciuta, avrebbe saputo interpretare le sue stramberie così a lungo farfugliate tra sé!
Esploratore random testo di Deaexmachina