“E’ inutile, non riuscirò mai a finirlo in tempo!”
Sara stava osservando demoralizzata il display del suo computer. Erano ormai quasi le dieci di sera e lei sarebbe stata costretta a lavorare per almeno un’altra ora.
L’ufficio era deserto, immerso nel buio e nel silenzio più assoluto. Senza il chiacchiericcio dei suoi colleghi e il rumore delle stampanti e dei fax quel luogo sembrava essersi completamente trasformato, procurando a Sara un senso di solitudine e di inquietudine che non riusciva proprio a scacciare.
Si massaggiò lentamente le tempie con le dita. L’arrivo di un leggero mal di testa era il sentore che la stanchezza aveva preso il sopravvento su di lei.
“Che stupida! Ma come diavolo ho fatto a non salvare quei dati? Adesso sarò costretta a inserire daccapo tutti quei nomi nell’archivio, altrimenti chi lo sente quel rompiballe di Pascali! Già solo a sentire quella sua voce stridula mi sale un nervoso!” Emise un profondo sospiro: “Dio solo sa quanto ci impiegherò! Accidenti di nuovo a me e alla mia sbadataggine!”
Poi, facendosi coraggio: “Non è comunque il momento per piangersi addosso, Sara! Mettiamoci al lavoro!”
Iniziò di nuovo a picchiettare veloce con le dita sopra i tasti del suo computer.
“Sara”
Si bloccò all’improvviso. Una voce dietro di lei la fece sussultare. Si volse ma non c’era nessuno, l’ufficio era sempre deserto e buio; solo la luce della lampada sopra la scrivania spezzava un po’ quell’oscurità.
“Bene, ho anche le allucinazioni uditive adesso” disse tra sé, riprendendo a battere freneticamente sulla tastiera “Voglio finire al più presto e andarmene a nanna!”
“Sara”
Di nuovo quella voce che la fece sussultare. Si volse una seconda volta. Nessuno.
“Chi…chi c’è?” chiese con voce titubante e in preda a una sottile ansia.
Non ottenendo nessuna risposta, si alzò dalla scrivania e si diresse verso il corridoio. Accese la luce principale. Nessuna anima viva intorno a lei.
Tirò un profondo sospiro, ritornò alla sua scrivania e iniziò di nuovo il suo lavoro.
“Adesso inserisco questi altri nomi e poi me ne vado a casa perché non ce la faccio proprio più! Se resto un altro minuto qui, va a finire che impazzisco!”
Aveva inserito un altro nome quando vide qualcosa che la raggelò. Attraverso il monitor del suo pc vide riflessa un’ombra dietro le sue spalle.
Si alzò dalla sedia urlando, ma dietro di lei non c’era nessuno. Era sola in quella stanza, completamente sola.
Ritornò a fissare il monitor. L’ombra era scomparsa.
“Ora basta! Me ne vado a casa! Al diavolo il mio lavoro e quello stronzo di Pascali!”
Prese il suo cappotto e si diresse verso la porta d’ingresso. Qualcosa però la trattenne sulla soglia. Dal suo ufficio provenivano una luce e dei rumori, la luce del monitor del suo computer che lampeggiava e il suono di dita che premevano sulla tastiera.
“Come…come è possibile?” disse, avvicinandosi alla porta del suo ufficio. Entrò lentamente nella stanza. Il computer si era acceso da solo e i tasti erano battuti da una mano invisibile.
Sara guardò con spavento il display.
“Sarasarasarasarasarasarasarasarasarasarasaraaarasarasarasarasarasarasarasarasarasarasarasarasarasarasarasarasarasarasarasarasarasarasarasarasarasarasarasarasarasarasarasarasara”
Grida di paure proruppero dalla sua gola. Corse verso la porta principale dell’ufficio; con mani tremanti cercò la chiave dentro la giacca del suo cappotto, ma non la trovò.
“Merda! Merda! Merda! Merda!” urlò con le lacrime agli occhi, picchiando forte i pugni sulla pesante porta di legno.
“Sara, non puoi scappare da me!”
“Fatemi uscire! Vi prego, fatemi uscire! Aiuto! Aiuto!” urlava con tutto il fiato che aveva in gola, ma nessuno la sentiva.
A un tratto il rumore dei tasti cessò. Un nuovo rumore però giunse alle sue orecchie, quello di passi invisibili che si avvicinavano a lei.
La ragazza si appiattì contro la porta dell’ufficio, tremando di paura. I passi si fermarono e la porta dell’ufficio accanto al suo si aprì da sola, lentamente, senza far alcun rumore. Sara la guardò con occhi colmi di lacrime.
“Non è possibile!” disse piangendo “Tutto questo non può essere vero! Deve essere un incubo, solo un dannato incubo!”
“Sara”
Di nuovo la voce e adesso sembrava provenire da quella stanza. La ragazza si avvicinò alla soglia e vide con orrore che la stampante si era accesa da sola. Fissò con spavento le piccole luci verdi che spiccavano nell’oscurità come due piccoli occhi demoniaci e quel foglio che usciva lentamente dall’apertura della macchina.
Sara prese il foglio con dita tremanti. C’era un disegno sopra, il disegno di un corpo di donna steso in terra e martoriato.
“Ma cosa diavolo significa tutto questo!” Poi, in un parossismo di ira cominciò a urlare nel buio “Ehi, brutti stronzi! Guardate che se è uno scherzo non è per niente divertente! “ Cominciò a pensare che quello fosse un brutto tiro mancino perpetrato a suo danno da qualche collega.
Sentì qualcosa scivolargli tra le gambe. Qualcosa di umido, di bagnato. Guardò in basso. La scrivania stava sputando fuori sangue.
Sara era sul punto di svenire quando un tonfo la fece riprendere. Proveniva dal suo ufficio. Vide che la luce si accendeva e spegneva a intermittenza.
Entrò nella stanza. La luce si spense definitivamente, all’infuori della lampada situata sopra la sua scrivania. Il terrore prese possesso del suo corpo. O la follia.
Seduta sulla scrivania c’era una figura. Era di spalle. Sara notò che era completamente vestita di bianco e aveva lunghi e bellissimi capelli ricci legati con un nastro rosa.
Sara volle gridare ma nessun suono uscì dalla sua bocca. La figura si voltò. Il suo volto e il suo petto erano pieni di tagli profondi, tagli che sembravano essere stati inflitti da un tagliacarte.
“Sara, ti stavo aspettando”pronunciò la ragazza misteriosa.
Sara riuscì finalmente a urlare.
“E’ inutile che gridi, anch’io ho urlato tanto, fino a farmi scoppiare le tonsille, ma non è servito e non servirà neanche a te!”
Sara continuò a urlare. Poi tutto si fece buio intorno a lei.
Il giorno seguente Fabio Pascali, direttore dello studio dove lavorava Sara Martini, aprì la porta del suo ufficio. Tirò su le serrande e si avviò di buon passo verso il suo ufficio. Qualcosa però lo trattenne: il computer dell’ufficio di Sara era ancora acceso.
“Ma cosa ha combinato quella smemorata? Ha dimenticato persino il computer acceso? Non riesco proprio a capire a cosa diavolo pensi quella ragazza”
Entrò nella stanza e quello che vide lo raggelò. Sara giaceva in terra, il viso e il corpo martoriati da innumerevoli colpi di tagliacarte. Accanto al suo cadavere giaceva un nastro di colore rosa.
“Fabio, è finalmente arrivata la raccomandata che aspettavi da tanto tempo”disse una giovane donna bionda, avvicinandosi all’uomo con una lettera in mano.
“Ferma! Non entrare!” urlò l’uomo all’indirizzo della ragazza. Era troppo tardi; non riuscì a impedirle di guardare dentro la stanza.
La giovane vide il corpo torturato di Sara disteso in terra e urlò. Stava per perdere i sensi, ma Pascali la trattenne.
“Oh mio Dio…Sara…lei…lei…è…è…stata…” balbettò la ragazza, ma l’uomo la scosse quasi con violenza.
“Vai immediatamente a chiamare la polizia! Presto, sbrigati!”
La polizia giunse dopo poco tempo. L’ispettore di polizia, un uomo di circa cinquant'anni con un montgomery liso, stava osservando minuziosamente il corpo esanime di Sara.
“Che idea ti sei fatto?” chiese al suo giovane collega che gli era affianco “Secondo te chi può essere stato?”
“Un delitto di impeto, passionale. Ho notato che non ci sono effrazioni alla porta” aggiunse, guardando verso la porta d’ingresso “molto probabilmente la ragazza conosceva bene il suo assassino e gli ha aperto la porta, oppure l’aggressore era nascosto tra le stanze di questo ufficio, ma la vedo poco plausibile quest’ultima opzione”
“Lei conosceva la vittima, dottor…come ha detto che si chiama, mi scusi?” chiese l’ispettore a Fabio.
“Mi chiamo Fabio Pascali. No, non conoscevo molto bene Sara, il nostro era più un rapporto di lavoro, non ci siamo mai frequentati al di fuori”
L’ispettore colse uno strano tono di voce in Pascali; capì che lui avrebbe voluto ma la ragazza non era disposta a una conoscenza più approfondita con il suo datore di lavoro.
“Mmm…capisco” disse poi. “E lei?” si rivolse poi alla ragazza bionda che si chiamava Micaela “Conosceva la vittima?”
“Io…io…ci frequentavamo ogni tanto fuori dal lavoro, ci vedevamo per un aperitivo o per una pizza insieme ma non ci potevamo definire delle vere amiche”
“Le ha mai confidato di avere un fidanzato? O una frequentazione?” chiese il poliziotto.
“No, lei non mi ha specificatamente detto mai nulla ma so che si era da poco lasciata con il suo compagno, so che si chiamava Marco”
“Mmm…credo proprio che dovremo interrogarlo questo Marco e anche voi tutti” disse l’ispettore rivolgendo uno sguardo a tutti i presenti.
“E’ morta come Giorgia” disse all’improvviso Micaela.
“Che cosa ha detto?” chiese l’ispettore.
“E’ stata uccisa come Giorgia. Mia nonna ha abitato in questo palazzo per più di trent’anni e mi raccontò una volta di un terribile ed efferato omicidio che avvenne dieci anni fa proprio in questo ufficio, una giovane segretaria di nome Giorgia venne trovata trucidata proprio qui, dove ora giace il corpo della povera Sara, venne scoperta l’indomani dal suo datore di lavoro. Il suo assassino non venne mai scoperto, è tutt’oggi ancora un caso insoluto. Da allora si racconta che il suo fantasma si aggiri per queste stanze in cerca di giovane sangue e di vendetta”
“Ti prego Micaela” la interruppe Pascali “Ancora con questa storia? Credi ancora ai fantasmi alla tua età? Ma per favore! Purtroppo è stata solo una tragica coincidenza, nulla di più”
“Davvero una strana coincidenza però” disse l’ispettore di polizia, meditabondo.
“Dove diavolo è finito il nastro rosa?” chiese Pascali
“Di quale nastro sta parlando?” chiese l’ispettore.
“Il nastro rosa accanto al cadavere di Sara” Guardò in terra “Ora non c’è più”
“Non c’è mai stato un nastro rosa” disse l’ispettore “O perlomeno noi non l’abbiamo mai visto. È sicuro di ciò che dice, signore?”
Pascali non rispose. Un brivido freddo gli percorse la schiena.
Si fece sera. Erano quasi le ventidue quando Pascali fece ritorno al suo appartamento. Era spossato per quella lunga giornata, per i continui interrogatori da parte della polizia, per le ricerche scientifiche e i sopralluoghi che avevano letteralmente messo sottosopra il suo ufficio.
Si buttò sul divano e si passò la mano destra sulla fronte. Guardò poi quella mano, dove tra il pollice e l’indice era presente una piccola ferita da taglio mai completamente rimarginata.
La luce del suo appartamento si spense all’improvviso.
“Di nuovo quel dannato interruttore” disse, alzandosi in piedi e sbuffando.
La luce si riaccese. Una figura vestita di bianco, dai lunghi capelli ricci raccolti in un nastro rosa gli si parò davanti.
“Ma…ma…cosa…”
“Sono dieci anni che ti aspetto. Mi dispiace per te ma i fantasmi esistono”
Le luci dell’appartamento si spensero di nuovo. Pascali si ritrovò di nuovo al buio. Non rivide mai più la luce.
Il nastro rosa testo di Simona Antares