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Alice Pt.1 (Rivisto e corretto)
Sono le 17.30: come suona la campanella di termine lezioni del pomeriggio, mi fiondo fuori dall'aula per raggiungere l'edificio esterno, dove si trovano le sezioni di prima e seconda del nostro liceo.
Devo beccare Alice per fissare l'ora e il posto per trovarci domattina, come concordato ieri quando ci siamo lasciati.
Stavamo ancora in sciopero il giorno prima, il terzo giorno di mobilitazione, quindi, dopo aver smaltito nei due giorni precedenti la nostra dose d'impegno politico, con Giulio e altri compagni, siamo andati di prima mattina al "Pop Center Club" di via Pomba.
È un nuovo locale, aperto anche al mattino, dove si ritrovano tutti i fricchettoni cittadini e quelli che tagliano da scuola come noi.
Non è una discoteca, è più un locale tipo pub londinese, ma più grande. Attrezzato con divanetti, separé e una piccola pista da ballo con luce di Wood e palla stroboscopica.
Ci puoi ascoltare musica a un volume che ti consente di chiacchierare col tuo vicino; ottimo per bere qualcosa, farsi le canne e ballare se ti va, senza che nessuno ti rompa le palle.
Stavamo a un tavolino da una mezzora con Giulio, a contarcela e dividerci uno spino, quando nel locale è comparsa Alice.
A me è venuto un tuffo caldo allo stomaco: ho piantato in asso Giulio, mi sono alzato e l'ho fermata in mezzo alla sala, salutandola con un sorriso a trentadue denti.
Ci siamo dati un abbraccio caloroso, non ero certo che sarebbe venuta ed ero in orbita per vederla apparire.
- Ciao tesoro, sei riuscita a venire. Quasi non ci speravo, sono davvero felice. - le ho detto entusiasta.
- Sì - disse lei - Ho fatto credere ai miei che lo sciopero fosse terminato e che 'sta mattina c'erano regolari lezioni. Così sono qui.
Le ridevano quegli occhi splendidamente verdi.
Alice è l'amica del cuore di Taro Cap, o meglio, l'amica "strafica" di Taro Cap e frequenta il secondo anno di Liceo Artistico.
Le sezioni di prima e seconda sono ospitate nell'edificio che sorge nel cortile dell'Accademia di Belle Arti torinese.
Mentre quelli di terza, come me e Taro, con quelli di quarta, abbiamo aule situate all'interno dell'edificio storico, sede dell'Accademia.
Con Alice, per via dell'allocazione separata non ci conoscevamo direttamente, capitava ogni tanto d'incrociarci sul portone d'ingresso.
Naturalmente avevo già rilevato che fosse una gran gnocca.
Ma in tutta onestà avevo ritenuto fosse troppo figa perché si interessasse a me, quindi, avevo accantonato ogni proposito.
Taro Cap, al secolo Gina Barbero, è chiamata così per via del suo proclamare continuamente di fare uso dell'omonimo anticoncezionale, di recente immesso sul mercato.
Questo prodotto, disponibile in confezioni di otto cialde, al prezzo di quattromila lire: deve essere introdotto unitariamente nella vagina, prima del rapporto sessuale.
La cialda è di tenerissima ostia, pertanto si scioglie all'istante all'interno del collo uterino, liberando la sostanza spermicida.
Per la verità, da un punto di vista scientifico, la sua totale efficacia è molto discussa, in ogni caso grazie alla grande pubblicità con cui è stato promosso, è divenuto di gran moda tra i giovani.
Così la Gina, che è una sfegatata progressista, si è innamorata di questo innovativo contraccettivo.
Un amore motivato, a suo dire, dal non voler rischiare gravidanze indesiderate.
Fatto in sé assai lodevole, se non fosse che la nostra compagna, uno straccio di scopata, forse l'ha vista solo al cinema, o letta in qualche libro scabroso.
Vero è che la natura, con la Taro Cap, si è rivelata un po' matrigna.
Le ha conferito un'altezza simile a un fustino del Dixan, occhi anonimi e bovini, un mento prognato, su cui campeggia una prospicenza nasale simile al becco di un tucano.
Ma sappiamo che l'aspetto estetico è essenzialmente una questione di gusto: "Non è bello quel che è bello, ma è bello quel che piace."
Infatti non è nel fisico il suo maggiore problema.
Ciò che la rende affabile come una murena con le emorroidi, non attiene alle sue fattezze fisiche, ma al suo modo, lieve come carta a vetro, di relazionarsi con il resto dell'umanità.
Questa asprezza nei rapporti interpersonali pare sia congenita e ascrivibile alle sue radici regionali.
La Taro è infatti della provincia cuneese: gente di ruvida radice agricola, brusca nei modi e arcigna nel carattere.Dura come le rocce delle colline a cui strappano da secoli la terra coltivabile.
Ma quella che risulta più fastidiosa è la radicalità delle sue posizioni ideologiche.
Propugna idee d'una sinistra dogmatica e rigidamente settaria: tanto estreme da far ritenere Bakunin, Mao-Tse Tung e Fidel Castro dei timidi e moderati alto-borghesi.
È inoltre un'accanita femminista e fin qui nulla da dire.
Non di quelle che bruciano reggipetti e inneggiano "Col dito, col dito, orgasmo garantito!", o "La fica è mia e la gestisco io", ma del genere che auspica un impiego del maschio al solo limitato fine riproduttivo.
Per lei, assolta la funzione procreativa, con gli uomini si dovrebbe procedere alla castrazione chimica.
Relegando la categoria a funzione di pura utilità sociale: in sostanza il ruolo dei fuchi all'interno di un alveare.
Vien da sé che, con queste idee, anche con molta buona volontà, non venga voglia a nessuno di trombarsela.
Alice l'avevo conosciuta durante un'incasinata assemblea in aula magna nella prima mattina di sciopero del liceo.
Stavo casualmente accanto a Taro per sentire gli interventi del "comitato di base", quando, a un certo punto, è comparsa questa amica di lei.
Un sogno dagli occhi verdi, con labbra carnose, capelli ramati, lunghe gambe tornite, valorizzate da una microgonna in pelle, con su una camicetta di madras, sbottonata quel tanto da consentire una gradevole panoramica sulle tette statuarie.
Aveva attraversato l'aula magna con un passo flessuoso, ipnotico quanto l'incedere sinuoso d'una pantera: una vera dea del sesso, racchiusa in un corpo femminile.
"Gesù che tocco di gnocca!" - ho pensato - "È proprio tanta..."
Era il miraggio d'una sorgente negli occhi assetati di un disperso nel deserto.
Io, oltre che assetato, ero anche decisamente affamato.
Da quando avevo tagliato i ponti con quella fedifraga di Nella, per via delle corna subite, non avevo più visto un paio di tette, manco in foto.
La maliarda avanzava nella sala gremita, leggera come fosse priva di peso: sembrava che tutta la platea presente trattenesse il fiato per la sua apparizione.
Al suo procedere i bivaccanti in piedi o accucciati al pavimento, si scostavano per lasciarle il passo, con effetto Mosè che spartiva le acque del Mar Rosso.
Lei, individuando la presenza di Taro fra la folla, si era avvicinata a noi per salutarla.
Si erano scambiate i soliti abbracci e bacetti d'ordinanza, quindi, aggiornate sui reciproci stati esistenziali, avevano preso a parlottare fitto fitto di cazzi loro, ignorando del tutto la mia presenza.
Ovviamente Taro, cortese come suo solito, si era guardata bene dal fare le presentazioni.
Dopo un po' mi mi rompo di reggere il moccolo a entrambe ed entro a gamba tesa nella loro conversazione.
Armato di sorriso e faccia di tolla, dichiaro d'essere un compagno di classe di Taro, mi presento, poi aggiungo: – Scusa se vi ho interrotto, ma dato che ti vedo sempre all'entrata dell'Accademia e sono molto timido, se non approfitto di questa occasione per conoscerti, quando mai mi ricapita?
La giovane fatalona, mi squadra per un lungo attimo, valutando se fossi un invadente idiota, o un cafone inopportuno da mandare a cagare al volo.
Poi, in maniera imprevedibile, mi spara in faccia quei due fanali di smeraldo omaggiandomi di un ampio sorriso.
Prendo coraggio e siccome sono realmente timido, quando una mi tira, assumo per difesa l'aria del giovane cerebrale e tormentato: mezzo artista e mezzo borderline.
Avevo inscenato lo sguardo cinico di chi ha già bruciato, in età acerba, ideali e aspirazioni di vita.
Insomma mi ero giocato tutto l'armamentario "da acchiappo" che possedevo in arsenale.
Nel seguito non so dire se avesse funzionato la posa da consumato esistenzialista, oppure lo spino che avevo appena acceso, ma lei continuando a sorridermi mi aveva chiesto se le facevo fare due note.
Felicissimo le avevo passato la canna, gongolavo come una biscia in acqua tiepida e mi ero sentito un semidio.
Taro ci guardava torva, aveva capito che l'amica mi piaceva e che l'altra ricambiava: era evidente che non fosse per nulla contenta.
Non le garbava neppure che stessimo fumando la mia canna, perché era contraria a qualsiasi tipo di stupefacente, in quanto la droga distoglie dalla lotta di classe ed è un vizio da borghesi.
Lo spino ci aveva resi allegri e ciarlieri: quando sono "fatto" mi scordo la timidezza e divento anche sciolto di lingua.
Così, per poter chiacchierare meglio, avevamo abbandonato la sala e ci eravamo accomodati sullo scalone del piano, lontani dal casino dell'assemblea.
Avevamo lasciato Taro Cap a pipparsi le strategie di lotta del nostro movimento studentesco.
La confidenza fra noi era cresciuta velocemente, per il resto della mattina ci ci eravamo raccontati cose nostre, sullo studio, sui libri letti e la musica preferita, su cosa volevamo dalla vita.
Insomma ci eravamo fatti l'esame del DNA per capire se fossimo compatibili, scoprendo la moltitudine di cose che ci accomunavano.
Tra noi c'ra del feeling forte, negli sguardi appannati dal fumo, ci sentivamo chiusi all'interno di quell'effetto "bolla" che procura lo shit.
A dispetto del luogo privo d'intimità e del continuo traffico di gente, ci ritrovammo in un bozzolo di conforto celato al resto del creato.
(Continua)