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Non è relativo,
dici, e nella tua voce
scorre il teorema
di una certezza solida,
come se il mondo fosse
un triangolo isoscele
che attende solo
di essere misurato.
Cammino dentro
coordinate invisibili,
passo dopo passo,
lungo un asse cartesiano
che non perdona:
qui ogni errore è distanza,
ogni esitazione
è uno zero che pesa.
Eppure le cose oscillano,
funzioni periodiche
che ritornano su se stesse,
sinusoidi che fingono stabilità
prima di precipitare
in un nuovo ciclo.
Mi parli di angoli retti,
di linee parallele
che non si incontrano mai,
come certe vite
che scorrono vicine
senza toccarsi davvero.
Ma nelle pieghe dello spazio
anche l’infinito si curva.
Non è relativo,
ripeti,
mentre conti i secondi
come fossero vettori
puntati verso un punto fisso.
Io invece osservo
il mondo derivare,
cambiare pendenza,
trasformarsi sotto
la logica morbida
di un limite che tende
sempre altrove.
Forse la verità
è un’equazione incompleta,
un poligono irregolare
che nessuno
ha il coraggio di chiudere.
Forse la misura esiste,
ma si nasconde tra le cifre,
in ciò che non torna
e che pure continua a guidarci.
Non è relativo,
dici ancora.
E io, per un istante,
vorrei crederti.
Vorrei essere punto,
coordinata,
origine.
Ma resto ciò che sono:
una variabile libera,
in attesa di trovare
la giusta funzione d’esistenza.