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Era sospeso in alto,
troppo nitido per essere vero,
un arco di colori ordinati
come un cartello pubblicitario
messo in cielo.
Le persone lo indicavano,
si stringevano l’una all’altra
come davanti a un prodigio,
convinte che quel sorriso luminoso
fosse un segno,
un invito a credere
che qualcosa di buono
stesse arrivando.
Ma era solo un artificio,
un riflesso di vetri e luci,
una pittura d’aria.
Eppure bastava
a cambiare i pensieri:
i cinici diventavano incerti,
gli stanchi respiravano più lenti,
chi non sperava più
si trovava a farlo
senza saperne il motivo.
Il finto arcobaleno
non aveva poteri,
eppure smuoveva le menti
come una corrente sotterranea:
risvegliava attese,
mescolava illusioni e desideri,
faceva credere che la felicità
potesse essere semplice
come una linea curva di colori.
Poi spariva.
E nel vuoto lasciava
solo una memoria confusa,
una nostalgia priva di origine,
come se ognuno avesse perduto
qualcosa che non ha mai avuto.