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C’è un’architettura nel suo volto,
fragile come guglie di vetro,
una bellezza che cade in mille schegge
e rimane intatta.
Gli occhi, pozzi eterocromi di rugiada,
portano il peso di ciò che manca.
Sembrano sapere
che ogni luna si spegne,
che ogni bosco scompare nella nebbia
lasciando solo il ricordo del freddo.
Cammina come un sussurro,
tra ombre che non chiedono nulla.
Non sorride, apostrofa
ma nel suo silenzio c’è tepore,
come il calore improvviso di una stanza
dopo il gelo.
Lei è il dolore che scegli di guardare,
una verità cruda,
umana,
reale.
E sotto quella malinconia
c’è una speranza che non sa parlare,
ma resta.