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Di felicità ci si ammala presto, il tempo di nascere e di distinguere la mamma dalla marmaglia, di riconoscere la mammella e la manna e di quanto sia buona la cioccolata con la panna e pure una piccola palla. Poi si cresce lentamente, si guarisce con una certa cura di solito molta lunga, a base di vitamine e rinforzati e idrogenati vari. Ci si fa le ossa e la carne -di solito sopra l’ anima-; la degenza ci farà allungare, fino a che una volta completata la crescita, ci si salva completamente. Decubito e incubazione a stadi terminati concluderanno l’ adolescenza, ultimo scorcio di malore di una reminiscenza felice. Ora si può correre finalmente da soli sui prati, slegati, liberi e infelici, a volte prati a volte pratici di ave Marie, tisane, manie e fobie e marijuane simili. Un’ altra piccola ricaduta avverrà con la scoperta de la coppia motrice fregna-pene che, a seconda del sesso e del suo moto, può andar in un verso oppure nell’ altro, tanto oggi fa lo stesso. Niente di che, è solo un piccolo malanno di stagione, niente di grave perché poi la felicità passa definitivamente e non serve più il vaccino e nemmeno più il richiamo. Diventiamo immuni veramente: è la felicità che passa per sempre. Come una malattia esantematica. Tu ce li hai avuti gli orecchioni? Bene avrai avuto pure la sesta e la quinta malattia, e non ci crederai eri pure lo stesso felice…