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Jean Andrè aveva raccolto poche cose e se n'era andato lasciando alla sorella maggiore la gestione della casa paterna. Quando giunse a Parigi era ancora inverno. Le poche cose che sapeva le aveva imparate dal padre, ma ora egli non c'era più e lui se n'era andato. Lungo la strada si fermò a mangiare un boccone in una locanda, poi si sistemò nella stalla per la notte. Arrivò a Parigi il mattino dopo. Vagabondando per le strade alla ricerca di un lavoro, si trovò la scena dinnanzi agli occhi: un padrone di bottega stava cacciando a pedate il suo inserviente sulla porta della stessa. Istintivamente Jean Andrè alza la testa e scoprì l'insegna. L'uomo era un maestro di scherma e d'armi. Il cartello sulla porta diceva "Cercasi Inserviente Tuttofare", faceva al caso suo. L'uomo sbraitando ancora se n'era rientrato; senza pensarci due volte, Jean Andrè toglie il cartello dalla porta ed entrò. Il maestro lo guarda con occhio critico, gli gira attorno, lo squadra da capo a piedi, poi dal basso verso l'alto; Jean Andrè con i suoi diciannove anni e i quasi due metri, non erano certo in molti a poterlo guardare dritto negli occhi. Non era un tipo che passasse inosservato, e non solo per la sua statura, ma anche per la naturale eleganza del portamento, la chioma bionda e gli occhi di un cilestrino singolare completavano il quadro. Il maestro grugnì con fare severo: "Sta bene!", e si misero d'accordo: paga, vitto e alloggio. Era stato fortunato, il suo primo giorno a Parigi, aveva già trovato un lavoro e non poca cosa un tetto sopra la testa. Avrebbe goduto di una mezza giornata di libertà alla settimana, più qualche lezione di scherma gratis. Subito gli capitò che dovesse accompagnare il suo maestro a far da secondo ad un duello. Era la prima volta che vi assisteva, ne restò impressionato; non per il sangue che vide, ma tanto perchè uno dei duellanti non sapeva neanche da che parte si cominciasse. Fu un vero omicidio. La superiorità di quello giovane e snello dei due, non era da mettere in discussione. In pratica, pensò Jean Andrè, quel duello non si doveva fare. Scoprì più tardi che il malcapitato e grassoccio avversario del giovane nobile, era stato ferito nell'onorabilità della di lui moglie - bella dama, corteggiata da molti - e sorpresa in fragrante amplesso con il bel giovine proprio dal grassoccio cavaliere, nel belvedere del loro palazzo. Un giorno Jean Andrè gironzolando per il mercato nei pressi di Notre Dame, imbattè in una bellissima zingara che, con la scusa di leggergli la mano, gli sfila abilmente la borsa dei quattrini ricevuti come paga. E' talmente incantato dalla bellezza della giovane che non si accorge di nulla, d'altronde è la sua prima esperienza a Parigi. "Ah! Canaglia di una zingarella! E' cosi che si tratta un povero giovine!" imprecò accortosi. Cercò di seguirla, non tanto per farsi ridare il suo guadagno - era troppo bella - e non se la sentiva di denunciarla ai birri. Già si immaginava le loro grosse manacce sulla giovane, ghermirla, trascinarla strillante e discinta tra la folla, e gli urli "Dalli alla ladra!" "Alla Bastiglia!" "Il ferro.. il ferro rovente!" Era in uso allora marchiare con la vistosa - V - di "Voleur" i ladri acchiappati dalla sbirraglia, portati ai tribunali e giudicati colpevoli. Si ricordò il racconto che il padre gli fece al rientro di uno dei suoi viaggi d'affari; aveva visto ad Amiens la marchiatura a ferro-e-fuoco di una servetta presa a rubare gioielli nella casa dove prestava servizio. La poveretta rubò non tanto perchè voleva arricchirsi per sua cupidigia, ma bensì perchè aveva una famiglia numerosa e con il ricavato dei gioielli sfamare i propri fratelli minori. Il giudice fu inflessibile e non volle sentir ragione. "La - V - è quello che si merita" sentenziò "Procedete!" Jean Andrè con la bocca aperta e gli occhi sbarrati " e allora padre che successe?"
Il buon uomo, per infondere al figlio paura e farlo desistere da cattive azioni prosegui. "Ero tra la folla quando il carretto della condannata arrivò nella piazza grande di quella città. La gente accorsa era bramosa di assistere allo spettacolo. Non che se ne facessero pochi di supplizi, ma uno in più non era certo malaccetto. La servetta in piedi sulla carretta e legata ai due sbirri, aveva il volto color di un cencio lavato da poco. Smorta e impaurita, balbettava parole che non capii quando la carretta mi passò dinnanzi. Al centro della piazza su un palco era già pronto il pancaccio per legare la donna. Stavano pronti su esso il commissario lettore della sentenza, e due suoi secondi. Devi sapere Jean - disse il padre - che era vezzo per i secondi chiedere alla folla qualche "livre" per non non roteare il pancaccio in posizione orizzontale, in modo che la marchiatura avvenisse in totale visione per gente accorsa; la condanna prevedeva la posizione supina. Era quindi più o meno godimento per folla lo spettacolo, in virtù del compenso dato ai secondi. Quella volta al comando del commissario, pronte le braci e rovente il ferro, legata la donna mani e piedi ai ganci del legno, il pancaccio rimase dritto; il marchiatore fece un cenno al compare che strappò la veste della ragazza fino alla cintola. Il vociare della piazza di colpo ammutolì. L'altro con mano ferma rimestò di nuovo il ferro nel braciere, con scatto ormai consueto arrivo alle carni della suppliziata e incise l'infamante "V" sopra un seno.
L'urlo straziante della giovane venne coperto della urla animalesche di quel popolino; e chi rideva, e chi gridava volgari insulti; si sprecaron i "Ben ti sta!" oppure "Ora porterai la veste al collo, carina!" e ancora "Ti riconosceremo ladrona!" La poveretta per l'atroce dolore svenne e il capo reclinò sul mento. Il commissario pronunciò nome della servetta, numero di condanna avvenuta e urlando a più non posso poichè il tumulto non era ancora cessato "Orsù buona gente ora tornate alla vostre faccende, giustizia è fatta!" Jean Andrè quando il padre finì il racconto rimase ammutolito - si immaginava nella sua testa - tutto l'orrendo supplizio; ne uscì solo un fil di voce: "Eh.. eh.. e della ragazza cosa avvenne poi?" "Svenuta che era" - rispose il padre - "Venne slegata, a peso morto adagiata sulla carretta e portata via; forse rimandata al suo paesello, ma dubito che la famiglia la ripigliasse. Penso bene che finì in un bordello di Amiens".
(..continua)